fotografia – Modus Riciclandi http://www3.varesenews.it/blog/modus-riciclandi Più rispetto, meno impatto Fri, 27 Apr 2018 18:15:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.6.11 Corto Circuito: in mostra scatti tra i rifiuti http://www3.varesenews.it/blog/modus-riciclandi/?p=1409 Thu, 26 Sep 2013 09:00:05 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/modus-riciclandi/?p=1409 Continua a leggere]]> Silvia Coluccelli è una fotografa di moda, originaria di Brusimpiano, che vive a Zurigo. Tra le sue attività, è impegnata a sensibilizzare in modo del tutto innovativo sui danni all’ambiente causati dall’abbandono rifiuti. Le sue foto ritraggono bambini vestiti di tutto punto che si trovano nei luoghi del territorio varesino più soggetti all’abbandono di rifiuti.

In un’intervista su Varesenews, quotidiano on line della Provincia di Varese, del 17 aprile 2013 riassume lei stessa lo spirito e gli obiettivi della sua opera.

Silvia ha esposto le sue fotografie il 20  e 21 settembre presso i Loft di via Quaranta a Milano con la mostra dal titolo Corto Circuito.Ecco come parla di lei e della sua opera Sandro Iovine, vera autorità del campo della fotografia:

“Mettere elementi al di fuori dell’ambito in cui vengono normalmente inseriti: decontestualizzare per riappropriarsi di una possibile lettura del mondo. È proprio attraverso l’esaltazione del non senso situazionale che è possibile accedere a una presa di coscienza circa l’assurdità di una serie di circostanze in cui ci imbattiamo quotidianamente, ma di cui abbiamo perso la percezione.

Le discariche che compaiono in queste immagini non insistono in luoghi deputati o isolati. Nel loro essere del tutto abusive creano al contrario una sorta di continuum spaziale (a volte concreto e fisico, altre solo ideale) con le aree abitate. Tutti i giorni finiscono nelle  zone morte del nostro sguardo, ma non le vediamo più… o facciamo finta di non vederle. Le ignoriamo. Per questo isolarle in inquadrature che le rendano avulse dal contesto avrebbe scarsa efficacia in quanto potremmo sempre immaginarle in luoghi isolati e
deputati appunto. Provare invece a inserirle nei contesti inappropriati in cui realmente si trovano da una parte non sarebbe sempre possibile e dall’altra finirebbe per farle codificare come immagini di denuncia che, passato il primo moto di calore e
risentimento, finirebbero presto per essere archiviate sotto la voce “da dimenticare”.

Mostrare invece bambini, ben vestiti e palesemente avvezzi alla frequentazione dell’obiettivo fotografico, posare in queste discariche paludose a un passo dalla nostra asettica quotidianità, induce a qualche riflessione in più. Chi è aduso consultare le pubblicazioni di moda per le età più giovani, si aspetterebbe di trovare sullo sfondo
campi da golf o spiagge rinomate. Invece abiti curati e volti ben puliti sono sbattuti all’interno di piccole o grandi discariche, tutte abusive, raccolte di rifiuti della nostra società  industriale e consumistica. Si mettono così in evidenza quelle schegge di devastazione che sfuggono, grazie anche a connivenze più o meno consolidate e
accettate, a quei controlli e a quella logica che dovrebbe salvaguardare l’ambiente. Diventano quindi un contraltare dissonante rispetto alla vita agiata e priva di problemi proposta dalle pagine delle riviste. Le immagini sembrano dunque proiezioni di un
apocalittico futuro per i nostri figli. Un destino che terrorizza, certo, ma di fronte al quale ci scopriamo assuefatti, almeno fino al momento in cui un corto circuito brutale non ci obbliga, attraverso la messa in scena di queste immagini, a risvegliare la nostra
attenzione.

Come in molti casi però occorre un ancoraggio al testo visivo che guidi verso una corretta lettura affinché questo non appaia come pienamente inserito all’interno di quei filoni consolidati della fotografia di moda che sfruttano ambienti inusuali e dissonanti con
l’abbigliamento proprio per sottolineare quest’ultimo. Se così fosse si tratterebbe dell’ennesima, triste, ripetizione di clichet consolidati. A fare la differenza però, come sempre, sono le intenzioni. Questo lavoro infatti non nasce sotto la guida di un art
director imbeccato da un consulente di marketing, bensì è la risultanza di un progetto personale che non si deve correlare a una committenza, ma si propone di creare un corto circuito nelle nostre menti, perché gli occhi ricomincino a vedere e le menti a ragionare.

Sandro Iovine, 2013

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