rivoluzione – Nicaragua http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua Fri, 27 Apr 2018 18:22:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.6.11 Sergio Ramirez: “La letteratura ci aiuta a vedere la realtà” http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=33 Fri, 18 May 2012 23:36:51 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=33 Continua a leggere]]>
sergio ramirez
«La rivoluzione fu una circostanza speciale e ognuno veniva chiamato ad assumere un ruolo. Non sarei entrato in politica per il gusto della politica, e se fossimo stati in un paese normale avrei fatto sempre solo lo scrittore».
Sergio Ramirez è un personaggio centrale nella società nicaraguense degli ultimi quaranta anni.

Nato nel 1942 a Masatepe, un piccolo centro a sud di Managua, ha iniziato a scrivere a 17 anni. I suoi libri sono tradotti in quasi tutto il mondo, anche se in Italia si trova con difficoltà solo Adios muchachos, sulla storia della rivoluzione sandinista. La sua storia è emblematica rispetto a quella del suo paese. Si è opposto alla dittatura di Somoza e quando la rivoluzione sandinista trionfò divenne vicepresidente della Repubblica. (Nella foto con Daniel Ortega a sinistra, Tomas Borge alla sua destra)

sergio ramirez«Il sandinismo aveva un’ispirazione etica, spirituale e poi politica. È stato un sogno, una spinta a lottare per cambiare il nostro paese, ma mai si sarebbe trasformato nella ricerca di apparati di potere».

La sua biografia è ricca di diversi ruoli. Scrittore di fama internazionale, docente, giornalista e certamente politico. Qual è la sua vera vocazione?
«La letteratura. Scrivo da quando avevo 17 anni. Occorre tener conto che siamo in America Latina e qui la mescolanza tra politica e scrittura è molto diffusa. Stupirebbe il contrario perché il pubblico chiede di sapere quali siano le opinioni di chi scrive. Fare diversamente verrebbe visto come la volontà di stare in una torre d’avorio».

Nel suo sito si legge che lo scrittore si ispira “dove finiscono le cose che si vedono e inizia l’oscurità piena di inquietudine per ciò che non si conosce”. È sempre la sua ispirazione?
«Ci sono cose che non si possono vedere e descrivere nella realtà. La letteratura aiuta molto in questo e lo scrittore percepisce il mondo con i suoi occhi e questa è la bellezza del mio lavoro».

Intervista realizzata a Managua con Valeria Ocampo Porras

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Eden Pastora: La rivoluzione con la “livella” http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18 Sat, 16 Jul 2011 23:14:10 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=18 Continua a leggere]]>

eden pastora comandante zero
Alle spalle della sua scrivania c’è una delle foto più famose degli anni SettantaEden Pastora, il mitico “comandante Zero”, alza le braccia al cielo

un piccolo mitra e nella mano sinistra un moschetto. L’immagine del rivoluzionario vincente.
Una foto che era il risultato della più importante azione politica e militare del Fronte sandinista prima dell’insurrezione finale del 19 luglio 1979. Un anno prima, il 22 agosto del 1978, Eden Pastora, e pochi altri uomini travestiti da Guardia nazionale, era entrato nella sede dell’assemblea nazionale prendendo in ostaggio tutti i parlamentari del Nicaragua. Somoza era stato costretto a scendere a patti garantendo la scarcerazione di decine di militanti del Fronte (tra cui Daniel Ortega e Tomas Borge) e un salvacondotto per Cuba per quanti avevano condotto l’azione.

eden pastora comandante zero

Una foto che passerà alla storia non solo in Nicaragua.
Oggi Eden Pastora si occupa del “suo” Rio San Juan in qualità di responsabile dei lavori al delta del fiume.
È un 75enne in splendida forma. Capelli bianchi, fisico asciutto, è padre di 21 figli e altrettanti nipoti. La più piccola gironzola intorno al suo nonno e lui si scioglie, tira fuori il cellulare per farci vedere le foto della piccola.
«Conosco bene l’Italia. Ci sono stato tante volte e la mia famiglia ha origini siciliane e si chiamava Pastori. Quando nel Settecento emigrarono in Nicaragua il cognome venne spagnolizzato».
La sua storia ha dell’incredibile ed è anche piena di elementi a prima vista contraddittori. Con la vittoria del Fronte Sandinista acquisì ruoli di responsabilità, senza però entrare nella cerchia ristretta della direzione che comprendeva nove comandanti e Sergio Ramirez. Fu vice ministro dell’Interno e della Difesa e leader della milizia popolare. Fu lui il comandante partito con una brigada di 13mila uomini a fronteggiare le prime azioni della Contra al confine con l’Honduras già pochi mesi dopo la vittoria.
Dopo fasi alterne, oggi il “comandante Zero” non ha dubbi sulle scelte politiche da fare per il suo paese.

eden pastora comandante zero

A novembre ci saranno le elezioni presidenziali. Con chi si schiererà lei?
«Io sto con la rivoluzione popolare sandinista e il leader è uno solo: Daniel Ortega. Lui sta proseguendo il cammino rivoluzionario in libertà e democrazia. Mi basta una sola ragione tra le cento che potrei avere per votare Ortega. Lui è l’unico che può garantire i 39 programmi sociali. Se non ce la farà lui, la controrivoluzione antisandinista smantellerà tutto. Del resto lo abbiamo già visto vent’anni fa cosa sanno fare. Hanno privatizzato 400 imprese tra cui 46 strategiche. Sono riusciti a smantellare tutta la rete ferroviaria perché era in odore sandinista. Il brillante risultato che hanno ottenuto è stato quello di produrre oltre 500mila sfollati senza lavoro in Costa Rica».

Molti però oggi criticano Ortega. Qual’è il bilancio dei suoi cinque anni di governo?
«Abbiamo meno poveri e meno povertà. A me basterebbe il progetto Amor che intende tirare via i bambini dagli incroci delle strade per dire che Ortega ha lavorato bene. Daniel ha insegnato all’ambasciatore americano a rispettarci».

Ma se lei ha questo legame con Ortega perché nel 1982 lasciò il Fronte Sandinista?
«Non ho mai abbandonato il Fronte, sono loro che mi hanno abbandonato. Sono loro che hanno tradito gli ideali volendo abbracciare il marxismo leninismo. Nel 1981 mi staccai e la storia mi diede ragione. Il popolo punì il Fronte con la sconfitta del 1990».

Si, ma intanto lei con l’Arde aprì un fronte sud della Contra per combattere contro…
«Non fu Contra. Ero un dissidente, e iniziai una battaglia politica, ma non feci mai la guerra. Furono i comandanti del Fronte a mettere in pericolo lo stato rivoluzionario».

eden pastora comandante zero

Ma si sarebbe potuta evitare quella guerra sporca con molte decine di migliaia di morti?
«No, perché tutte le rivoluzioni hanno una controrivoluzione. Potevamo renderla meno sanguinosa, dolorosa e violenta. L’imperialismo non è monolitico e ha sempre delle crepe. Noi non siamo stati capaci di entrare lì dentro. Dovevamo contrastare politicamente Reagan, ma non fu possibile perché chi aveva il vero potere era Sergio Ramirez e i nove comandanti. Ortega era sempre in giro per il mondo a difendere la rivoluzione e in Nicaragua decideva Ramirez che giocava a fare il più radicale e il più antimperialista. Josè Martì diceva che “in politica la realtà non si vede” e questo vale anche nel nostro Paese».

Come mai lei con tutta la popolarità e la lotta militare fatta non entrò nella direzione politica del Fronte?
«Perché non ero comunista! Ero marxista e interpretavo il pensiero Sandinista che è la concretizzazione del materialismo storico. I comandanti volevano saltare tutte le tappe e questo è antimarxismo».

I diversi ministri come i due Cardenal, D’Escoto e altri non potevano spingere in una direzione diversa?
«Occorre dire che allora c’erano situazioni davvero difficili e dobbiamo tenere conto di quattro elementi: 1) il radicalismo allora era di moda; 2) la guerra radicalizza; 3) la minaccia dell’imperialismo radicalizza; 4) la disciplina verticale faceva si che i comandanti fossero vissuti e visti come degli dei. Ricordo una volta che alcuni “compagneros”, sempre con Il capitale di Marx sotto braccio mi dissero che non ero abbastanza in linea. Così mi fecero entrare in una ferramenta a comprare una livella per tenerla sulla mia scrivania. Se non ci fosse stato un grande dramma, direi che era davvero una commedia».

Oggi quali sono i suoi sogni?
«Che vinca Daniel e si possa proseguire l’azione rivoluzionaria. Su un piano personale invece sogno di terminare il mio lavoro di dragaggio del rio San Juan perché quella è una pratica concreta di sovranità nazionale. Quando recupereremo tutto il fiume e incorporeremo quel territorio dentro il nostro Nicaragua avremo fatto qualcosa di importante per la nazione».

L’intervista al “comandante Zero” potrebbe continuare per ore, ma ci sono diverse persone che lo stanno aspettando, e questo giornalista italiano non era previsto, ma il ricordo di tanti luoghi che gli sono rimasti nel cuore nei diversi viaggi in Italia lo ha sciolto. Sorride ed è ironico quando inizia a parlare di politica. Distingue bene le varie correnti del marxismo e si ferma a fare battute sull’allora partito comunista italiano antisovietico. “I nostri comandanti interpretavano a modo loro il centralismo democratico”.
L’ingresso della sua nipotina piena di allegria e sorrisi per il nonno mette fine alla nostra chiacchierata. Tra tre giorni si terrà l’imponente manifestazione per i 32 anni della rivoluzione. In Nicaragua oltre il 40% degli elettori non erano ancora nati quando Ortega governò la prima volta. Lui lo sa e non può bastare la retorica per vincere. Ma lo sa anche Eden Pastora che, dopo essersi presentato contro Daniel nel 2006, stavolta lo appoggia senza alcun dubbio.

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Miguel D’Escoto: “Abbiamo urgente bisogno di un nuovo Onu” http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=13 Tue, 12 Jul 2011 23:06:36 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/nicaragua/?p=13 Continua a leggere]]> miguel d'escotoCi accoglie con un sorriso dolcissimo e inizia a raccontarci dei malanni di un suo caro amico e dei problemi sanitari del suo paese. Miguel D’Escoto è uno dei protagonisti della nuova storia del Nicaragua. È stato ministro degli Esteri del primo governo sandinista dal 1979 al 1990. “L’unico a esser rimasto per tutto il periodo nello stesso incarico”, dice con una punta di orgoglio.
“Io non sono né un diplomatico, né un politico. Sono un sacerdote al servizio del popolo, ma quando il presidente Daniel Ortega mi chiese di impegnarmi nel governo non potevo nascondermi sotto la sottana. Siamo nicaraguensi e siamo uomini, e tutti dobbiamo accettare le nostre responsabilità”.
La sua casa è la testimonianza diretta dell’amore per la cultura del suo popolo e di tutta l’America Latina. In ogni angolo ci sono sculture e le pareti sono piene di quadri e di foto di ogni epoca storica. Gandhi, Fidel Castro, Che Guevara, ma anche immagini che lo ritraggono con i potenti della storia come Bush e altri. Del resto il suo impegno al massimo livello della diplomazia mondiale, con la presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2008 al 2009, lo ha portato a incontrare moltissimi capi di stato.
Torniamo indietro di 31 anni. Con il ricordo più bello di quella stagione rivoluzionaria.
«Era l’unità nella lotta contro l’impero aggressore, la lotta per la sovranità e l’indipendenza. Rischiavamo la nostra vita per la vita del popolo. C’era una forte autenticità e per me, come sacerdote, era vivere nella quotidianità il cristianesimo non solo come ideale. Facemmo un buon lavoro non per le capacità del singolo, ma di tutto il gruppo. Eravamo la testimonianza diretta del popolo in lotta, e quando andavo in giro per il mondo vendendo la rivoluzione non facevo fatica. Non perché fossi un bravo venditore, ma perché avevo un ottimo prodotto. Questo ci permise di vincere la demagogia imperiale».
miguel d'escotoCome mai divenne ministro degli esteri?
«Il mio impegno iniziò ancora prima della vittoria del Fronte sandinista. Entrai a far parte dell’Organizzazione degli Stati Americani perché mi cedette il posto Panama. Mi trovai così di fronte al ministro di Somoza e a quello statunitense che voleva proporre una forza di pace per evitare la rivoluzione. Fu la prima sconfitta per gli Usa. Una volta andati al potere il presidente Daniel Ortega mi chiese di assumere l’incarico di ministro degli esteri».
Cosa ha fatto dopo la sconfitta del Fronte sandinista alle elezioni del 1990?
«Sono tornato a fare il sacerdote nei quartieri più poveri. Quello che avevo fatto in Cile nel Cerro Blanco di Santiago. Allora, il primo problema, con la vittoria della destra, era la fame.  Era importante proseguire nell’azione di formazione perché le persone si rendessero conto dei propri diritti. Un lavoro che avevo già conosciuto anche a Managua dopo il terremoto del 1972. Allora io non vivevo in Nicaragua, ma tornai e fondai una delle prime ONG per la costruzione di mille alloggi per i terremotati».
miguel d'escotoDa un punto di vista politico quali sono stati i suoi rapporti con il Fronte sandinista?
«Ho sempre fatto parte dell’Assemblea generale, ma poi fui nominato nella direzione del Fronte occupandomi delle questioni internazionali».
Da qui, diversi anni dopo arriva l’importante carica che lo porterà ad assumere la presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2008-2009. Come è stato possibile?
«Non ne sapevo niente e venni informato da un funzionario che mi disse che il presidente Ortega riteneva possibile una presidenza a un nicaraguense. Un evento storico che non si sarebbe ripetuto per i prossimi 200 anni. Non mi tirai indietro anche perché ero certo che non sarei stato scelto. Gli Stati Uniti lavoravano in collaborazione con il Vaticano perché non passasse la mia candidatura. Su questo si impegnarono direttamente diversi nunzi apostolici con i capi di stato di alcuni paesi. Io speravo che vincessero loro perché non era davvero un mio desiderio salire su quella poltrona. Invece alla fine fui eletto per acclamazione e nessuno si oppose. Furono gli stati africani e quelli latinoamericani a proporre questa soluzione. Il Vaticano mi perdonò e alla fine divenni amico del nunzio apostolico all’Onu, tanto che scaduto il mandato venne fatta anche una solenne messa in mio onore concelebrata dal responsabile della mia congregazione»
miguel d'escotoCome è stata la sua presidenza?
«È stata la più turbolenta (Miguel D’Escoto sorride divertito nel raccontare questi momenti) perché questionava su tutto. Portai all’Onu esponenti politici ed economici mondiali che non avevano mai avuto diritto di parola. È stato un anno di lavoro intenso e so che ora verrà pubblicato un libro a cura di una università americana, e Roberto Salinas sta ultimando le riprese per un film coprodotto da Italia, Francia e Stati Uniti».
Lei sta lavorando a un nuovo progetto per la rifondazione dell’Onu. Come mai?
«L’Onu è una organizzazione fondamentale e non si deve permettere a nessuno di trattarla in modo abusivo come fosse una proprietà privata. La nuova dottrina passata come “responsabilità per proteggere”, tanto invocata di questi tempi, altro non è che un nome diverso per il “diritto” perverso di aggredire e occupare alcuni paesi. Con questo sistema si sovvertono completamente i principi e i valori della carta dell’Onu. Per questo credo si debba ripartire da una nuova organizzazione che metta al centro la pace e la tutela dell’ambiente».
Com’è oggi la situazione internazionale?
«La vostra Europa, Italia compresa, e gli Stati Uniti stanno perdendo tutta la credibilità. Questi ultimi non hanno mai creduto all’Onu e continuano nella loro politica imperiale e non si impegnano per il diritto, ma credono solo alla legge della selva, del più forte. Tutti saremmo incantati se gli Stati Uniti pensassero al bene del mondo intero, alla pace, alla solidarietà e alla giustizia, ma non è così. In questo momento dobbiamo ancora impegnarci per scolonizzare le nostre menti. Dobbiamo farlo perché il modello di sviluppo dei paesi ricchi porta il mondo alla deriva fomentando il desiderio dei popoli a volere sempre di più a qualsiasi costo. Il capitalismo è il peggior peccato e il più grande nemico rispetto agli insegnamenti di Gesù».
miguel d'escotoNemmeno con l’elezione di Barack Obama vede possibili cambiamenti della politica statunitense?
«Riponevo grandi speranze in Obama, convinto che il suo potere gli permettesse di cambiare. Oggi dico che è stato solo un grande equivoco. Lui è solo la maschera buona dell’impero, ha ossigenato la speranza dei popoli, ma è stata tutta una grande bugia. Gli Stati Uniti non vogliono la pace perché necessitano della guerra per realizzare la propria ragione di essere che è il controllo e la supremazia totale e assoluta del pianeta».
Il suo progetto prevede dei nuovi organismi, ma soprattutto la centralità della pace e l’abbandono di ogni intervento armato. Alla luce anche dei recenti fatti come la Libia, come pensa possa essere approvato un simile documento?
«Ho lavorato a lungo sul testo avvalendomi di tanti collaboratori. Oggi questo progetto è già in discussione tra tanti capi di stato. Vogliamo che venga approvato e assunto come proprio dal G77, il gruppo dei 140 paesi del terzo mondo. A quel punto alcuni lo presenteranno all’Assemblea generale, ma avremo i numeri per far passare la proposta. se seguissimo un iter diverso tutto si impantanerebbe».
Che tempi richiede l’approvazione?
«Ci vorranno due anni, che sono niente rispetto ai tempi a cui siamo abituati alle Nazioni Unite. Dobbiamo muoverci perché abbiamo bisogno dell’Onu, è indispensabile però che si lavori per la salvezza e non la morte della nostra Madre terra».
Quando D’Escoto si alza, con una punta di orgoglio indica un’imponente scultura. “Lui è uno dei più grandi ceramisti vivente”. Da lì si sofferma a guardare un angolo della stanza dedicato ai disastri nucleari. C’è la Madonna di Hiroshima e con questa alcune immagini di morte che contrastano con l’allegria dei colori che invadono la casa. Il suo studio è pieno di libri e di fotografie. Si sofferma sorridente di fronte a un Castro visibilmente invecchiato e sofferente. Tra i due c’è un sincero abbraccio vicini a una bella signora bionda. “Lei è la moglie di Fidel. Non si fa mai fotografare, e questa è davvero rara”. 

La mitezza di Miguel D’Escoto, per chi arriva da un paese ricco e potente come l’Italia, sembra contrastare in modo forte con alcuni suoi giudizi netti sulla storia. Basta poi uscire dalla sua casa e attraversare un paio di “quadre” o isolati, come li chiameremmo noi, per trovare bambini scalzi, mezzi nudi e sporchi che giocano tra l’immondizia. Managua, malgrado siano tornati al potere i sandinisti, si presenta ancora come una delle città più brutte e povere dell’intera America Latina. I giganteschi manifesti pubblicitari inneggianti telefonia mobile, auto o fast food che sia, contrastano con quello che avviene sotto i piloni che li sostengono. Immagini di una contraddizione tra una ricchezza ostentata e raggiunta da pochi, e la vita dei tanti disperati senza lavoro e futuro, che Miguel D’Escoto ha il coraggio di guardare dritta negli occhi chiamando le cose con il loro nome. Ci piaccia o meno.

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