Alessandro Biavaschi, in arte Biava, è un vero talento musicale “made in Varese”.

Al giorno d’oggi realizzare un contenuto musicale, a prescindere dal genere, è molto più accessibile. Questo ha ampliato la concorrenza in maniera incredibile, dando la possibilità a chiunque di dar vita a progetti musicali, abbattendo i filtri tanto sui contenuti quanto sull’importanza mediatica. Oggi per fare musica è più importante essere un personaggio che un musicista.

Biava è un ragazzo di 23 anni che vive un amore sconfinato per la musica. Dopo aver studiato chitarra dai 10 anni fino alla fine delle scuole superiori, si è diplomato in produzione musicale, per iniziare poi a lavorare come produttore indipendente. Alessandro registra, mixa e suona le sue canzoni da solo. Con l’uscita del suo ultimo singolo, “Phàrmakon”, ha raccontato a YAAAS il suo progetto musicale e cosa lo ha portato a voler diventare un cantautore.

 

Ho scoperto la musica in modo completamente casuale – racconta – Ero piccolo, avrò avuto dieci anni ed ero a casa dei miei parenti a Bologna. Lì mi è capitato di ascoltare mio zio suonare la sua chitarra acustica. Incuriosito dalla forma, gli chiesi di farmela toccare, così lui mi prese sulle sue ginocchia e mi insegnò “Smoke on the water” dei Deep Purple. Appena imparato questi accordi molto semplici, chiamai mia madre e le chiedi di comprare una chitarra. Cosa che si realizzò appena una settimana dopo. Da quel momento ho cominciato ad appassionarmi e non mi sono più fermato”.

Biava è cresciuto ascoltando alternative rock, pop punk e post-punk. Alla fine del liceo ha cominciato a studiare produzione musicale, e si è appassionato della scena Indie angloamericana e italiana. “Il mio progetto musicale è nato quest’anno e a livello di contenuti è difficile parlarne adesso – prosegue – Per me è complicato trovare un’identità artistica riassumibile in due parole: credo di potermi inserire nella schiera di nuovi cantautori che mischiano musicalità legate al pop rock e all’Indie italiano, però ci tengo a rivendicare le mie influenze rock. Infatti, cerco di inserire il più possibile assoli di chitarra e punto molto sulla parte strumentale”.

Phàrmakon, il suo ultimo singolo, è nato da un momento molto difficile della sua vita: “volevo esprimere un insieme di stati d’animo legati all’ansia, alle brutte esperienze, agli scheletri nell’armadio. E’ quasi come una catarsi, prende tutto quello che ho di brutto alle spalle al fine di bello, puro, dandogli un nuovo senso”. Ogni sua canzone nasce da un momento particolare in cui le emozioni hanno cucito la necessità di tradurle in musica. “Phàrmakon in greco ha due significati, vuol dire sia medicina, che veleno, droga. Questa cosa ha più risvolti nella mia canzone: da una parte mi riferisco all’atteggiamento tipico di molte persone di tenersi dentro le proprie paure e ansie, come se fosse una strategia per andare avanti, in qualche modo una medicina, ma allo stesso tempo, comportandosi in questo modo il male resta dentro, come un veleno, impedendoti di affrontarlo”.

La pandemia è stata un vero tracollo per quanto riguarda le esibizioni dal vivo, ha privato musicisti e cantanti della possibilità di farsi conoscere “sul campo” e di suonare davanti ad un pubblico. Per gli artisti emergenti, però, che ancora non producono musica per guadagno, ma solo per passione, l’avvento della pandemia non è stato così determinante. “Personalmente, essendo un artista piccolo, la promozione del mio brano è stata interamente online, perciò le restrizioni non hanno intoccato più di un tanto il mio lavoro – conclude – Per me il lockdown è negativo dal punto di vista personale, a livello emotivo, il che si ripercuote inevitabilmente sulla mia musica. Io mi auguro che alla fine di questa pandemia avvenga un rimbalzo di senso opposto, che ci permetta di recuperare tutto ciò che abbiamo perso dall’inizio di questa emergenza sanitaria fino ad ora”.

28 Aprile 2021

di Francesca Marutti

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