Che cosa hanno in comune Carlo Cracco, Massimo Bottura e Paolo Lopriore ? A guardarli bene, ma soprattutto a sentirli parlare, forse proprio nulla. Ospiti sul palco di Identità Golose 2016 a Milano, i tre Chef hanno, ciascuno a suo modo e con i rispettivi piatti, cercato dare una definizione del concetto di “libertà in cucina” , tema scelto dagli organizzatori del Congresso Internazionale degli Chef.
LA STAR : Carlo Cracco è il primo a prendere possesso del palco insieme alla sua brigata ed al suo fidatissimo braccio destro Luca Sacchi. Le grandi folle ormai non lo scalfiscono più; in pubblico è disinvolto, scherza con i suoi collaboratori, è a suo agio tanto davanti alle telecamere quanto ai fornelli. A Identità Golose 2016 Cracco presenta dei gamberi viola di Santa Margherita (Liguria) al vin cotto con saba (sciroppo d’uva), chiodi di garofano, cardamomo, anice stellato, mela e arancia, su di un letto di pesto di mandorle cotte sottovuoto.
E mentre il giudice di Masterchef racconta e spiega la sua passione per i primi piatti, i suoi collaboratori preparano un altro grande classico dello Chef vicentino, i bottoni. Ravioli dalla inconfondibile forma “a bottone” ripieni questa volta di mela cotogna. Poi corbezzoli a dare acidità, due tipi di castagne (normale e d’acqua, rosolate), polvere di alloro, scorzonera e fette sottili di carne di cervo di Zivieri rigorosamente cruda. I ravioli sono cotti in un’acqua aromatizzata con ginepro, serviti sopra un fondo ottenuto dalle ossa del cervo e cioccolato (per ispessire la salsa). Nota di affumicatura finale, al legno di ginepro: il profumo riempie la sala e la salivazione aumenta. Un piatto pieno di ingredienti, materie prime che lo Chef invita ad assaggiare prima una per volta “per assaporare una storia diversa ad ogni boccone” e poi invece tutte insieme per vivere “una storia completamente differente“. Ma quale sia il concetto di “libertà” dello Chef o come Cracco intenda la libertà di espressione nella gastronomia francamente non si è compreso molto (o almeno io non l’ho capito).
A meno che per libertà non si intenda quella lasciata ai fornelli al bravissimo Luigi Sacco che ha stupito con il suo dolce goloso e seducente. Un rocher (avete in mente quello della Ferrero?) di seitan cotto a vapore (dopo essere stato bagnato con acqua di nocciole e poi lavato, “così da fargli allentare la maglia glutinica“) e impanato con scaglie di nocciola. All’interno una ganache di gianduia con cuore di nocciola “soffiata” (bollita a lungo in acqua e poco latte, poi tostata con olio e sale). Il Roche è accompagnato da foglie d’oro ottenute con delle cialde di obulato (amidi giapponesi e maizena) : bellissimo !
Di certo Cracco una libertà se le è presa e cioè quella di rispondere alle accuse degli animalisti, scherzano in principio “Una volta in piazza Duomo era piena di piccioni, ma adesso li abbiamo cucinati tutti” e poi seriamente “il bello è che poi si scusano questi vengani che non si riconoscono in questa aggressività che non dovrebbero avere ma che hanno molto più forte di quelli che mangiano la carne”
IL CUOCO – Felice sorpresa invece quella di Paolo Lopriore (unico degli chef in pedana a sporcarsi le mani) che apre il suo intervento con una dichiarazione di amore per la mamma che gli “ha donato il palato” e di riconoscenza per Gualtiero Marchesi che invece gli “ha donato il Gusto”. Alle prese con l’apertura del Portichetto, il suo nuovo ristorante che aprirà i battenti ad Appiano Gentile tra qualche mese, Lopriore ha un solo chiodo fisso: tornare a cucinare. Il cuoco oggi si occupa di troppi aspetti della ristorazione dimenticando sempre più di frequente il suo ruolo. L’attenzione deve essere riportata al piatto e non all’impiattamento, alla sostanza e non alla forma, alla funzione conviviale (ed edonistica, aggiungo io ) del cibo. Ma soprattutto Lopriore auspica la riconquista dei ruoli e delle funzioni di chi mangia. E per spiegare la sua idea semplice e geniale, lo chef tanto caro a Marchesi porta a identità golose degli gnocchi alla romana, nella loro semplicità e originalità. Per condimento, del ragù di lumache in una salsiera con un cucchiaio. E la creatività dello Chef ? La creatività non ha confini, c’è nella salsa kefir (il gusto del mediterraneo), nel baharat ( spezia molto usata nella cucina ebraica) e nel tabulé ( menta prezzemolo erba cipollina) o nello spicchio di aglio nero che da un tocco di liquirizia al piatto.
Ed è qui la novità (che sa tanto di antico) perché il modello di tavola che Lopriore propone è un modello di tavola conviviale che consente di proporre al commensale più scelte. “Chi mangia decide cosa e quanto mangiare, decide se gli gnocchi dovranno avere più ragù piuttosto che una salsa. Lo Chef certo fornisce una logica (e per questo diventa fondamentale il personale di sala), ma poi lascia la scelta a chi mangia, senza l’imbarazzo dell’identità del cuoco circoscritta al piatto, perché l’identità del cuoco è cucinare: mi sono ripreso il mio gesto, non sono più creativo nella costruzione del piatto.”
IL GURU – Massimo Bottura arriva a ora di pranzo, quando in sala si abbassano le luci e solo i fornelli rimangono illuminati. Lo Chef c’è ma non si vede. Si sente però la sua voce fuori campo mentre legge, talvolta incespicando, il Bottura Pensiero. La composizione del piatto è lasciata al suo Sous Chef, mentre sugli schermi si alternano immagini delle campagne emiliane ( o romagnole ? ) a foto dell’Osteria Francescana. “In Osteria guardiamo ancora il mondo da sotto il tavolo, come bambini curiosi. La nostra attenzione in cucina guarda a come le idee prendono forma… ispirate dalla cultura e motivate ora più che mai da scelte sociali. Creare una ricetta nuova è un gesto intellettuale che suppone il coinvolgimento di materie prime, tecnica e memoria. In sintesi comprimiamo tutto ciò in bocconi di cultura masticabili che hanno il sapore delle nostre passioni, utilizzate come veicolo di trasmissione di emozioni.”
Quello che è stato subito definito il manifesto del cuoco contemporaneo va avanti per altri 15-20 minuti, il tempo necessario per la realizzazione del piatto (A volte Germano a volte Pernice). Si accendono le luci e Bottura finalmente fa il suo ingresso in pedana accompagnato da una vera e propria ovazione per me incomprensibile come incomprensibili sono le sue parole, di grande effetto certo ma prive di significato (almeno per un semplice “mangiatore” come il sottoscritto) . La concretezza tanto agognata da Lopriore in un attimo è svanita. Tanta pomposità, tante parole, tanti concetti che a me però sembrano un po’ lontani. Si può fare filosofia con un piatto di pasta (io sono quello che si commuove con le polpette al pomodoro), ma con Bottura nemmeno un piatto di pasta è solo un piatto di pasta, eh no, perché un piatto di pasta può essere “espressione del palato mentale del cuoco, elemento essenziale di un’idea, un ragionamento di testa, cuore e istinto.”
Per me è un piatto di pasta e non me ne voglia lo Chef! Ed in questo momento in mezzo a tutti questi applausi ad Identità Golose mi sembra quasi di avere a che fare con una élite colta e autorevole che detiene il vero sapere, la verità. Peccato, perché a me piace mangiare, mi piace capire come nasce un piatto, scoprire cosa ha portato l’uso di un ingrediente piuttosto che un altro, con la semplicità con la quale si spiegano le cose ai bambini… ma con Bottura sembra quasi impossibile.
“Non ci si improvvisa grandi cuochi”, conclude Bottura nel suo manifesto, “ma i grandi cuochi improvvisano”. E allora la domanda è una sola: perché ai fornelli oggi non c’era lui a improvvisare un bel piatto ?
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