Che cosa vuole dire stare nel territorio con una cooperativa antimafia, che produce grazie a un bene sequestrato? Beh, quello che capita alla cooperativa Pio La Torre è emblematico. A San Giuseppe Jato, vicino a Corleone, i soci lavorano una vigna confiscata a un ex proprietario che aveva relazioni pericolose. Ma una parte della vigna è intestata a un parente, che non ha pendenze di stampo mafioso.
Così nello stesso appezzamento convivono la cooperativa antimafia e la famiglia di un uomo con condanne per reati di criminalità lavorano la stessa terra. “Che vuoi fare, è la concorrenza…” dicono i ragazzi mentre ci portano alle 6 di mattina nel terreno. Scherzano con ironia tutta siciliana. Paradossi possibili perché giustamente la legge è garantista. Ma ci dà l’idea di come sia profondamente radicata nel territorio la semina e la raccolta dei prodotti che diventeranno Libera Terra.
C’è però anche un aspetto positivo. Il direttore del consorzio Valentina Fiore dice con orgoglio che i loro agricoltori, quelli che lavorano fondi confiscati, non hanno nulla di diverso dagli altri. Quello che cambia sono le buone pratiche e legalità. Per cambiare il territorio, devi essere del territorio e nel territorio. E’ une delle ipotesi di lavoro che personalmente trovo più entusiasmanti. Francesco Citarda, il responsabile dei campi scuola. Libera terra non ha nulla a che vedere con l’idea romantica dell’antimafia, lui vorrebbe una società in cui ognuno sia corresponsabile e faccia il proprio dovere. L’idea è che questa esperienza possa produrre, piano piano, un contagio, visto che si vive praticamente gomito a gomito.