Raccontare con le immagini (in movimento)
“Che focale devo scegliere? Il diaframma quanto deve essere aperto? Che programma uso per montare? Come devo comprimere i file?”: queste sono le tipiche domande che mi vengono rivolte durante il primo incontro del corso di linguaggi del cinema. Mentendo, dico che non so rispondere.
“Non sono queste le cose che devo sapere? Se queste non sono le cose essenziali, quali lo sono?”: quello di cui ci si preoccupa sono tecnicismi che si acquisiscono con l’esperienza, tuttavia, non sono il cuore di ciò che vi renderà un buon videomaker.
In particolare, ai fotografi che si vogliono cimentare nella realizzazione di video, faccio osservare che possiedono già la maggior parte delle competenze tecniche: regole dell’immagine fotografica, composizione dell’immagine, bilanciamento del bianco, uso della profondità e del campo etc. Quali sono dunque gli aspetti peculiari che differenziano il video dalla fotografia?
L’immagine fotografica vive di forza propria, tutto il significato è contenuto in essa. Il video, diversamente, è una successione di fotogrammi che vivono e che hanno significato grazie ai fotogrammi che li precedono e li seguono. Il messaggio dunque non è racchiuso in un’unica immagine, ma in una collezione di fotogrammi che raccontano ciò che l’occhio della camera “vede”. Le inquadrature sono tante e diverse e le immagini sono montate nei modi più disparati: le azioni quindi vengono “scomposte” durante le riprese e ri assemblate in montaggio, per produrre senso.
La fotografia però non fa i conti col movimento e deve congelare l’azione nel momento della sua massima espressione emotiva. Il cinema, invece, utilizza diversi strumenti per amplificare la potenza emotiva di un gesto, di un’azione. Ad esempio, importanti in questo senso, sono il movimento della macchina da presa, la luce, la colonna sonora, la recitazione e i dialoghi: tutti questi elementi hanno un ruolo fondamentale nel veicolare le emozioni. L’abilità del regista sta nella scelta di questi strumenti, in modo che raccontino la sua visione e la sua idea nel modo più efficace possibile.
In questi anni passati ad insegnare mi sono resa conto che la maggior difficoltà è quella di raccontare e rendere esplicito il significato di cio’ che si sta riprendendo. L’approccio di chi si avvicina al mondo della macchina da presa rispetto a quello che devono raccontare è superficiale e poco attento. Mi spiego meglio: quando vi trovate di fronte ad un evento, soprattutto se irripetibile come un matrimonio, non potete iniziare a filmare senza aver prima aver in chiaro il significato di ciò che state vedendo: è essenziale capire da cosa o da chi è composto, con quale sequenza di immagini e di momenti volete raccontare di quell’evento. Non dimenticate, inoltre, di aver ben in chiaro lo stile con cui volete raccontare e quindi cosa volete “dire” di quell’evento, in particolare se lo stile vi è eplicitamente richiesto da terzi. Idee chiare prima di tutto! Osservare, capire quello che sta succedendo e quali saranno le inquadrature che racconteranno meglio quel momento: dall’alto? Dal basso? Mosse o su cavalletto? Strette o larghe? Ogni indicazione appena citata racconta e dice qualcosa di diverso: avete una tavolozza di strumenti (piani e campi, movimenti della macchina da presa, suoni, musica, luci, montaggio) e potete scegliere quelli più congeniali a raccontare e a emozionare il vostro pubblico.
Siete convinti ora che la parte più importante non è usare il programma di montaggio o la telecamera? La parte più difficile è la comprensione e la traduzione in immagini di quello che volete raccontare, perché, alla fine, “solo” di raccontare si tratta.