De Chirico: il terrore della pittura.

de-chiricoDichiarazione di Giorgio de Chirico

…”C’e un fatto ormai sicuro: che mai come oggi gli uomini si sono talmente occupati di pittura e mai come oggi si è parlato cosí poco di pittura. Il critico moderno ha in orrore di parlare di pittura; è un tema che egli sfugge come la peste bubbonica; uno scoglio che cerca di evitare con la massima prudenza.

Quello che oggi il critico cerca è l’aneddoto, oppure la chiacchierata a tono “intelligente”, anzi addirittura furbo, con cui si sforza di apparire un uomo superiore, acuto, uno spirito lirico e complicato, una persona al corrente dei piú recenti fenomeni artistici. Infatti, quando si leggono i testi delle numerose monografie dedicate ai differenti Cézanne, Gauguin, Van Gogh ecc., non vi si trova altro che aneddoti, pettegolezzi e vita romanzata; di pittura nemmeno una parola. Cosí per pagine intere ci vien raccontato delle relazioni che correvano tra il “Maestro d’Aix” ed Emilio Zola, con relative fotografie e corrispondenze in fac-simile (…) Tutto ció avviene per tre ragioni importanti e fondamentali. Anzitutto molti di coloro che oggi scrivono di arte non capiscono un’acca di pittura. In secondo luogo quello che essi cercano non è di parlare della pittura, che è un tema profondissimo ed inesauribile, ma difficile a trattarsi e arido, in modo che non permette di pigliare quegli atteggiamenti che oggi sono considerati una prova di intelligenza e di finezza spirituale, mentre altro non rivelano che una mancanza assoluta di vera intelligenza, di vera cultura, di chiaroveggenza e di coraggio. Finalmente perché la pittura di cui parlano in fondo “non è una pittura” ed anche se fossero abbondantemente forniti delle quattro sopraccitate virtú, non saprebbero lo stesso cosa dire (…) Il critico moderno, l’intellettuale moderno, hanno terrore della pittura. Come il somaro sente l’approssimarsi del temporale, essi sentono che se il fatto pittura riesce finalmente a chiarirsi, a svilupparsi e a prender piede in modo definitivo e non con le solite balle dei neoclassicismi e dei ritorni alla tradizione, essi sono definitivamente fregati. Allora addio pretesti a voli lirici; addio critiche ermetiche, addio testi incomprensibili, addio prefazioni illeggibili; non piú possibilitá di fare gli intelligenti a buon mercato, i colti con poca fatica, gli sputasentenze senza correre nessun rischio. Non piú scappatoie, non piú modo di passare per un brillante scrittore mentre non si è capaci nemmeno di comporre una novella per la “Domenica del Corriere”; non piú occasioni magnifiche per fare in Italia gli Apollinaire ed i Cocteau”…
in: Vittorio Sgarbi, La stanza dipinta, BUR 1993

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