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Deve molto al fenomeno editoriale del libro, ma Uomini che odiano le donne è decisamente un bel thriller: avvincente, non banale, che rispetta tutti i canoni del genere. Certo non reinventa nulla, come invece fece quasi vent’anni fa Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, di cui riprende certe atmosfere, come il i ricordi di Lisbett da bambina, oppure il dialogo finale tra i protagonista e il serial killer. Il libro di Stieg Larsson non l’ho letto, non ancora. Non mi piace leggere i libri dopo aver visto il film. L’ultima volta che lo feci fu con proprio con Il silenzio degli innocenti tratto dal libro di Thomas Harris. In quel caso, poi, mi divorai anche il libro precedente, Il delitto della terza luna (da cui fu tratto un altro mirabile film dal titolo Munhunter, frammenti di un omicidio che mi fece scoprire e adorare il regista Micheal Mann).

Oggi, dopo aver visto il primo film tratto della trilogia di Larsson, mi convinco che romperò ancora la regola e leggerò il libro dopo la visione. Voglio capire le atmosfere, vedere come l’autore ha rappresentato la violenza, se la fascinazione del cinema ha aggiunto o, come spesso capita, tolto qualcosa al libro.

Resta comunque il fatto che quest’opera porta la singolare firma di una coproduzione tra Danimarca e Svezia (anno d’oro per quest’ultima che ha portato all’attenzione internazionale una meravigliosa storia di vampiri, Lasciami entrare, la risposta d’autore a Twilight).
Uomini che odiano le donne

ha quel giusto equilibrio tra storia, intreccio, narrazione, originalità ed emotività che il cinema hollywoodiano ha dimenticato da tempo, abbandonandosi a storie tutte uguali. Il racconto del giornalista incaricato di indagare su un omicidio di 40 anni fa e che grazie alla collaborazione di un hacker professionista, l’androgina Lisbett, scopre un pericoloso serial killer, è rappresentata con intelligenza senza dialoghi che spieghino tutti o immagini superflue e televisive. Fa paura a tratti, è inquietante in altri. Mai ridicolo. E la protagonista, non certo un esempio di classica bellezza, è il caso di dire che buca letteralmente lo schermo.

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