bambino – Mamma e bambino http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino Un nuovo sito targato WordPress Fri, 27 Apr 2018 18:10:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.6.11 Obesità: la dieta inizia in culla http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=317 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=317#comments Thu, 03 Jul 2014 09:27:59 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=317 Continua a leggere]]> bambino obesoBimbi grassi, sovrappeso o obesi? L’attenzione alla bilancia inizia già in tenera età: dopo un iniziale progressivo aumento nei primi dodici mesi di vita del rapporto tra peso e lunghezza corporea, si deve osservare nei successivi 4-6 anni un progressivo dimagramento, seguito da un nuovo graduale “rimbalzo” del peso e del grasso corporeo in concomitanza con lo sviluppo puberale. Se tale “rimbalzo” del peso avviene troppo presto, prima dei 5-6 anni di età, vi è un elevato rischio dello sviluppo di un’obesità persistente.

Il latte materno è sicuramente un cibo equilibrato, ma quando è la fase dello svezzamento è bene evitare comportamenti alimentari e comportamentali scorretti . Una dieta troppo ricca di proteine nei primi due anni di vita, quale quella assunta da bambini che succhiano in continuazione biberon di latte vaccino al di fuori dei pasti, può predisporre allo sviluppo di obesità, così come l’utilizzo del passeggino dopo i tre anni, benché in alcune circostanze sia comodo, limita il movimento del piccolo ed il consumo calorico favorendo l’accumulo di grasso. Una delle cause dell’obesità è anche la mancanza di sonno: « È un circolo vizioso: se uno dorme poco ha più occasioni di mangiare e la stanchezza porta a muoversi di meno».

Il professor Alessandro Salvatoni

Il professor Alessandro Salvaton

Insomma, la lotta all’obesità si comincia precocemente, anche perché dopo i sei anni è più difficile vincerla. Il professor Alessandro Salvatoni, pediatra all’ospedale Del Ponte di Varese è ottimista: « Negli ultimi anni si è assistito ad un rallentamento della crescita dell’obesità in età pediatrica ed in alcuni casi, come per esempio in un’ASL del Milanese, ad un’inversione di tendenza. Questo grazie a campagne di sensibilizzazione e culturali che producono effetti positivi. I pediatri lombardi da anni sono in prima fila in questa battaglia: tra i principali consigli  quelli di allattare al seno il più a lungo possibile e comunque per almeno sei mesi, limitare il consumo di bevande zuccherate, evitare il biberon dopo i 24 mesi, evitare il passeggino dopo i tre anni e incentivare i giochi di movimento.  Il problema principale, però, è legato ai ritmi della nostra società: è consigliabile non lasciar mangiare mai il bambino da solo. È fondamentale sedersi tutti insieme e consumare il pasto a orari fissi. Mai, poi, permettergli di mangiare da solo davanti alla televisione».

cibo La miglior cultura deriva anche dai numerosi progetti sull’educazione alimentare delle scuole: « A Varese una psicologa e una dietista insegnano agli alunni le buone regole dell’alimentazione. Si tratta del progetto “L’appetito vien pensando”».

E se entro i sei anni la lotta all’obesità è fondamentale, dopo l’obiettivo è quello di contenere il peso in vista della crescita. Ma come fare? « Ci sono diversi approcci. Noi consigliamo una tabella dei cibi con la metafora del semaforo: i cibi “rossi” sono da evitare, quelli “gialli” da limitare, quelli “verdi” si possono mangiare liberamente. È un messaggio immediato da cui si traggono le regole per un’alimentazione di qualità».

Nell’ambulatorio all’ospedale Filippo Del Ponte arrivano molti casi: « Non tutti, però, sono da seguire. Noi dobbiamo concentrarci su quelli che presentano famigliarità per rischi metabolici quali diabete, ipertensione, ipercolesterolemia. La risposta in ogni caso prevede la promozione di un aumento dell’attività fisica e consigli dietetici che propongano un’alimentazione sana, ma anche varia perché spesso si pasticcia per noia. Dopo il primo anno di vita, è importante verificare che l’aumento di peso rientri nella norma riferendosi alle curve dei  “percentili” dell’indice di massa corporea (peso in Kg diviso per la statura in metri elevata al quadrato) ».

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Perchè non cresci, figlio mio? http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=306 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=306#comments Mon, 16 Jun 2014 13:39:53 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=306 Continua a leggere]]> grafico crescita

Quanto crescono i bambini?

Quanto crescerà mio figlio? È uno dei tormentoni dei genitori: prima i percentili poi i centimetri, siamo spesso con il metro in mano per controllare lo sviluppo del nostro bimbo. L’altezza, però, non è solo un fattore ereditario: « È determinata da 200 geni circa – spiega il professor Alessandro Salvatoni pediatra dell’ospedale Del Ponte di Varese – è un mix che dà risultati sempre variabili. In una famiglia non si troverà mai la stessa altezza tra i diversi componenti, a meno di gemelli perfettamente identici».

Ma le caratteristiche dei parenti quanto influiscono? « Sicuramente sono un indicatore, ma non il solo. Prima dell’avvento del DNA, il professor Fraccaro, famoso genetista dell’Università di Pavia, proponeva la teoria del bilanciamento della Natura: da un padre e una madre alti nasce spesso un figlio più basso che sarà, a sua volta, genitore di un figlio più alto di lui. In questo modo, la Natura controlla lo sviluppo graduale della crescita, altrimenti ci troveremmo, nel giro di poche generazioni, ad altezze eccessive».

Il professor Alessandro Salvatoni

Il professor Alessandro Salvatoni

Un bambino cresce molto nei primi tre anni di vita, poi rallenta la corsa e procede lentamente (in media 5-6 cm all’anno) fino al picco crescita puberale, tra i 12 e i 17 anni. Successivamente, con il completamento dello sviluppo puberale, le variazioni in altezza si riducono fortemente fino ad azzerarsi.

Ci sono, però, casi di eccessiva o di limitata crescita: e qui parte l’indagine per capire le ragioni più o meno patologiche. «Di solito, scatta l’allarme quando la statura si colloca nei percentili bassi – spiega il professor Salvatoni – Nei casi di assenza o limitata crescita si deve sottoporre il bambino ad alcune indagini. Nella maggior parte dei casi tratta di un semplice ritardo di crescita e della pubertà che rientra nella variabilità individuale, magari difficile da accettare vista la tendenza della nostra società a raggiungere sempre più precocemente stature medio/alte. Essere bassi non è per lo più una malattia né un elemento di criticità e spesso dobbiamo tranquillizzare madri e padri preoccupati. Se nei primi tre anni di vita la crescita può essere incostante ed alternare accelerazioni e rallentamenti della velocità di crescita, dopo il compimento del terzo anno di età una velocità di crescita inferiore al 4 cm/anno è una condizione che richiede certamente l’esecuzione di alcuni indagini. Ci sono casi che si risolvono da soli, nel senso che, naturalmente, il bimbo recupera il suo ritmo di crescita, altri, carenti di ormone della crescita, che possono beneficiare di un trattamento sostitutivo con l’ormone della crescita stesso. Vi sono inoltre bambini nati piccoli per l’età gestazione, definiti “SGA” (Small for Gestational Age), che, indipendentemente dalla carenza o meno dell’ormone della crescita, possono essere trattati dopo aver acquisito il parere favorevole della Commissione regionale. In tal caso la terapia, che si effettua per i bambini dai 4 anni in su, si protrae per due anni: se si registrano vantaggi si prosegue altrimenti si interrompe».

crescita altezza

La crescita procede gradualmente fino alla fine della pubertà

Tra i 20 centri autorizzati in Lombardia a effettuare la terapia con l’ormone della crescita c’è anche l’ospedale Del Ponte di Varese: « L’ormone della crescita – spiega il professor Salvatoni – viene prodotto dall’ipofisi. Può accadere che questa ghiandola non lavori o lavori male: si tratta di un caso su 5000 nati. Ci sono, poi, i casi “Fuori Nota”, cioè bimbi molto piccoli dove non viene individuata alcuna causa particolare. Anche loro, dopo l’approvazione della Commissione regionale, possono venire sottoposti alla terapia con l’ormone della crescita»

Il parere della Commissione regionale è indispensabile: « Ci sono paesi dove l’ormone della crescita viene somministrato abbastanza liberamente. In Italia siamo più cauti perché, anche se non ci sono evidenze scientifiche in merito, ci si preoccupa di possibili effetti secondari della terapia, in particolare se impiegata a dosi superiori a quelle normalmente prodotte dal nostro organismo»

La mancata crescita, però, può essere spiegata anche con la presenza di determinate patologie: « La Sindrome di Turner, per esempio, colpisce le bambine a cui manca uno dei due cromosomi “X”. La carenza provoca, innanzitutto, alterazione alle ovaie, ma anche problemi di crescita. C’è poi la Sindrome di Prader-Willi: i bimbi nascono piccoli, ipotonici, fanno fatica a deglutire. Poi, attorno ai tre anni, iniziano a mangiare in modo compulsivo e diventano obesi perché non aumenta la massa muscolare ma solo il grasso corporeo. In questi casi, l’ormone della crescita interviene stimolando il tessuto muscolare. La sindrome colpisce circa un bimbo ogni 5000/10.000 nati: il Del Ponte è un centro di riferimento nazionale e segue circa 70 casi di bambini affetti da sindrome di Prader-Willi, provenienti da tutt’Italia, grazie anche al lavoro in equipe con la dottoressa Luana Nosetti e il Centro del sonno. I bambini affetti da Sindrome di Prader-Willi presentano infatti anche problemi respiratori nel corso del sonno».

L’altezza è un elemento su cui si fa sempre molta attenzione: rispetto a un secolo fa c’è stato un aumento della statura media, anche grazie alla miglior alimentazione e alla qualità della vita. Si stima che nell’ultimo secolo la statura media sia aumentata di 11 centimetri. 

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Arriva l’influenza. Vacciniamo? http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=158 Thu, 24 Oct 2013 14:38:46 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=158 Continua a leggere]]> Dal prossimo 6 novembre, prende il via la campagna di vaccinazione antinfluenzale da parte di medici di base, pediatri di libera scelta e distretti dell’Asl. La dose è gratuita per alcune categorie specifiche, ben indicate dal Servizio Sanitario Nazionale. Hanno diritto al vaccino:  bambini di età superiore ai 6 mesi, adolescenti e adulti fino a 64 anni, affetti da patologie che aumentano il rischio da complicanze da influenza
bambini e adolescenti in trattamento a lungo termine con acido acetilsalicilico, a rischio di sindrome di Reye in caso di infezione influenzale
donne che all’inizio della stagione epidemica si trovino nel secondo e terzo trimestre di gravidanza

Chi non rientra in queste categorie può acquistare il vaccino in farmacia a un costo variabile tra gli 8 e i 10 euro, più caro è il medicinale se adiuvato.

Ma cosa ne pensa il primario di pediatria del Del Ponte Luigi Nespoli?
«Il vaccino è consigliabile perchè si evitano fastidiose conseguenze o malattie ben più gravi come la broncopolmonite. Può capitare che l’influenza che si presenta sia meno virulenta di quanto annunciato, per cui il vaccino si dimostra superfluo. Ma quando si è in presenza di bambini deboli di salute o di bimbi che hanno già delle problematiche sanitarie, allora è bene non sottovalutare questa opportunità. Anche i bambini che frequentano molto i nonni sarebbe meglio che si vaccinassero, soprattutto per evitare un circolo continuo di contagi.

Si parla di vaccini adiuvati e non adiuvati che hanno un costo inferiore. Cosa preferire?
Sicuramente quelli adiuvati, la copertura è suoperiore. Ricordiamoci, comunque, che si tratta di una maggiore o minore garanzia di immunità ma per un periodo limitato nel tempo. La questione dell’adiuvante era assurta agli onori di cronaca qualche anno fa quando si utilizzò lo squalene. Ma è una storia passata

A quale età è meglio vaccinare i bambini?
La società di pediatria consiglia dal settimo mese. Comunque è bene alzare la soglia della prevenzione quando i piccoli iniziano a frequentare la “comunità”, andare al nido o all’asilo. Da una semplice influenza si può arrivare a complicanze più gravi

Ma non si dice che ogni malattia genera anticorpi?
In parte può essere vero ma se consideriamo che questi anticorpi sono destinati a durare poco, il discorso non regge. Inoltre, ogni anno il virus dell’influenza muta e ha bisogno di nuovi anticorpi per essere sconfitto. Insomma, il discorso potrebbe anche essere valido ma i costi che si pagano sono sempre elevati. Una volta guariti dall’influenza, nel nostro corpo i livelli di globuli bianchi è spesso bassissimo e il corpo esposto a nuovi contagi. Ne vale la pena?

Quando un bimbo si ammala, quando bisogna rivolgersi allo specialista?
Se la febbre permane elevata per più di tre giorni o la tosse è catarrale allora è bene far visitare il piccolo. Io, come indicazione generale, direi che se il bimbo associa i sintomi dell’influenza a un’indolenza, mancanza di voglia di fare e giocare, inappetenza, allora vuol dire che l’influenza sta degenerando magari in otite, sinusite o bronchite.

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Al Del Ponte un ambulatorio dedicato alla dislessia http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=40 Mon, 06 May 2013 06:54:08 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=40 Continua a leggere]]> senza_titolo_2Cinque o sei mesi. Questo è il tempo di attesa all’ospedale di Varese per la prima visita con il neuropsichiatra infantile.
La crescente richiesta di valutazione dei disturbi dell’apprendimento ha mandato in tilt il sistema dell’assistenza pubblica: per veder riconosciuto il disturbo, il bambino ha bisogno di una certificazione che, di solito, non si riesce ad ottenere prima di un anno. I tempi lunghi portano spesso i genitori a scegliere la strada dei professionisti privati, più costosi ma più rapidi.

La prima visita, quando si tratta di un disturbo dell’apprendimento, è poi solo l’inizio del percorso. Per accertare problemi come la dislessia o la discalculia, infatti, occorrono almeno 10 ore di test e verifiche da parte dello specialista. Un iter lungo che si complica con i tempi d’attesa quasi infiniti.

Per tentare di arginare i tempi d’attesa crescenti, il primario della neuropsichiatria infantile dottor Giorgio Rossi ha ottenuto fondi dalla Telecom da destinare esclusivamente a un ambulatorio dedicato, che sarà gestito da uno dei più quotati esperti di disturbi dell’apprendimento, il dottor Cristiano Termine. Attivo già da un mese,  conta di poter effettuare 150 valutazioni entro settembre, un numero congruo vistoche, attualmente sono circa 100 i pazienti che attendono la visita: « Avere un ambulatorio e una persona dedicata è un passo avanti – commenta il dottor Rossi – anche perchè, fino ad oggi, i neuropsichiatri infantili non potevano distinguere tra le diverse patologie».
«Le valutazioni per i Disturbi Specifici di Apprendimento – tiene a precisare ildott. Cristiano Termine, referente per il centro dei DSA di Varese e coordinatore nazionale dell’intero progetto per l’età evolutiva -sono complesse perché comprendono l’esame di molteplici fattori, dalla memoria alla capacità di lettura e scrittura, piuttosto che alla capacità di concentrazione, e richiedono pertanto molto tempo da dedicare a ciascun paziente. Questo aspetto, legato al sempre maggior numero di ragazzi, ma anche adulti, che ne hanno bisogno, ha determinato un allungamento dei tempi d’attesa tra la prima visita e gli accertamenti successivi».

E se questo è un buon punto di partenza, una svolta potrebbe venire dai pediatri di libera scelta.Sono, infatti, in corso dei confronti , coordinati dall’Azienda sanitaria, per dotare i pediatri di strumenti di valutazione per effettuare un primo monitoraggio della situazione: oggi il 50% dei casi analizzati non sono riconducibili alla dislessia. Poter effettuare sul territorio una prima valutazione, permetterebbe di ridurre le necessità e migliorare i tempi di attesa. Nei prossimi giorni, il confronto tra specialisti neuropsichiatri e pediatri proseguirà per definire linee guida condivise

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Dislessia e disturbi dell’apprendimento http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=37 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=37#comments Mon, 06 May 2013 06:52:02 +0000 http://www3.varesenews.it/blog/mammaebambino/?p=37 Continua a leggere]]> senza_titolo_2Il 5 % dei bambini in età scolare soffre di dislessia. Lentamente la scuola si sta attrezzando, grazie anche alle iniziative scientifiche e alla Consensus Conference che ha riunito le principali associazioni che si occupano del problema, sotto l’egida del Ministero della Sanità.
Il disagio di chi è affetto da questo disturbo ha indotto anche ilMinistero dell’Istruzione ad adottare linee guida ampiamente condivise per accompagnare il percorso formativo in classe e a casa.

Cosa sia e come colpisca la dislessia, però, è ancora presto per dirlo: è stato stabilito quale atteggiamento possa essere ricompreso tra i disturbi della DE ( dislessia evolutiva) ma quali e quante implicazioni ulteriori ci siano è tutt’ora allo studio.

Uno dei maggiori esperti di DE è il dottor Cristiano Termine che lavora nel reparto dineuropsichiatria infantile all’ospedale Del Ponte di Varese. Ha recentemente pubblicato un articolo che riassume lo stato dell’arte, facendo un po’ di chiarezza sulle diverse posizioni riconosciute dalla stessa Consensus Conference.

«Questo lavoro intende affrontare una delle questioni discusse nell’ambito della Consensus Conference sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, ma ancora aperta, ovvero la comprensione delle diverse espressioni cliniche della dislessia evolutiva. Si tratta, infatti, di undisturbo eterogeneo all’interno del quale si possono isolare diversi “sottotipi” riconducibili a meccanismi patogenetici diversi. Lo studio neuropsicologico di soggetti dislessici può mettere in evidenza deficit in diversi domini cognitivi (abilità fonologiche, processamento visivo e uditivo, attenzione, automatizzazione), i quali possono presentarsi in modo isolato o variamente associati tra di loro.Verranno esposte le più recenti acquisizioni scientifiche in questo ambito, con particolare riferimento alle implicazioni cliniche.
La DE è un disturbo specifico dell’apprendimento caratterizzato da significative difficoltà nella lettura,che risulta significativamente lenta e/o inaccurata, a fronte di un livello intellettivo nella norma, in assenza di deficit sensoriali e nonostante adeguate opportunità scolastiche (AID, 2009). In molti casi, inoltre, la DE si presenta in comorbilità con altri disturbi, quali ad esempio il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, difficoltà di adattamento sociale, disturbi d’ansia e depressione,disturbi che devono essere sempre valutati durante la fase diagnostica, per le importanti implicazioni cliniche e riabilitative.
Teoria fonologica
La Teoria Fonologica postula che i soggetti con DE abbiano un deficit primario e specifico nella codifica (cioè rappresentazione), nel recupero, nell’utilizzo e nella consapevolezzaesplicita dell’informazione contenuta nel lessico fonologico. L’acquisizione della lettura è strettamente collegata allo sviluppo della consapevolezza fonologica e in particolare alla capacità di stabilire in modo efficiente un legame stabile tra fonemi e grafemi.
Teoria del deficit di processa mento uditivo
Questa seconda teoria è stata costruita in seguito all’osservazione che i soggetti dislessici presentanorisposte comportamentali e neurofisiologiche anomale a vari stimoli uditivi: in particolare, difficoltà in compiti di tipo psicofisico di percezione e categorizzazione dei suoni linguistici, con stimoli sonori brevi o caratterizzati da rapidi cambiamenti di ampiezza e frequenza. Alcuni autori, tuttavia, sottolineano che solo una minoranza dei dislessici presenta risultati inferiori alla norma nei compiti di processamento uditivo
Teoria del deficit di processamento visivo
Alcuni autori ritengono che all’origine della DE vi sia un disturbo specifico dell’elaborazione visivae, più in dettaglio, un difetto nella funzione inibitoria del sistema magnocellulare – che permette la localizzazione visiva e la rilevazione automatica delle variazioni dinamiche delle informazioni visive, mediante i movimenti saccadici- con conseguente abnorme durata della traccia visiva, che creerebbe così una sorta di affollamento di immagini (crowding) nel momento della lettura di un testo
Teoria del deficit attentivo
L’ipotesi alla base della teoria del deficit attentivo è che, in molti casi, il disturbo di decodifica derivi da deficit visivi high level passando, quindi, da una spiegazione prevalentemente sensoriale-percettiva, ad una di tipo cognitivo attenzionale. Studi longitudinali mostrano che le abilità di attenzione selettiva visuo-spaziali, in età prescolare, costituiscono un predittore valido dell’apprendimento della lingua scritta: si evidenzia una prestazione di lettura peggiore nei bambini che nel compito di ricerca visiva mostrano un aumento significativo nei tempi di risposta e nel numero di errori, all’aumentare del numero di distrattori (Plaza & Cohen, 2006).
Teoria del deficit cerebellare
Questa teoria è nata in seguito all’osservazione che alcuni dislessici mostrano difficoltànell’apprendimento procedurale, nelle abilità motorie, nell’equilibrio (Fawcett & Nicolson, 1996)e nella stima del tempo (Nicolson, Fawcett, & Dean, 1995), tutte abilità controllate dal cervelletto. Gli autori che sostengono questa teoria hanno ipotizzato che una disfunzione cerebellare avrebbe implicazioni dirette sul processo di lettura in quanto, a causa di un deficit nel controllo motorio dell’articolazione dei suoni ne comprometterebbe le rappresentazioni fonologiche, e allo stesso tempo, a causa del difetto di automatizzazione, renderebbe lento il processo di conversione grafema-fonema (Nicolson et al., 2001).

Ogni teoria è facilmente sostenibile nel caso di soggetti dislessici che presentano un singolo deficit cognitivo, mentre non tutte possono spiegare in modo convincente perché alcuni soggetti dislessici presentano deficit cognitivi in più di un dominio. Esistono due modelli teorici che contemplano una causa comune alla base dei deficit cognitivi, singoli o multipli, riscontrabili nei soggetti con DE: la teoria magnocellulare (Stein, 2001) e il modello neurobiologico di Ramus (Ramus, 2004).
La Teoria Magnocellulare ipotizza che le alterazioni a livello del sistema magnocellulare  risulterebbero generalizzate a più modalità sensoriali (visiva, uditiva, tattile) e strettamente legate al funzionamento del sistema cerebellare, che garantisce una progressiva automatizzazione e un efficiente timing tra le diverse operazioni sequenziali di tipo visuo-attentivo e linguistico-fonologico, implicate nel compito di lettura (Stein & Walsh, 1997). Questa teoria ipotizza, quindi, un’unica causa biologica cross-modale alla base delle manifestazioni visive, uditive, tattili, motorie e fonologiche osservabili nei soggetti dislessici.
Il Modello Neurobiologico di Ramus
Ramus (2004) sostiene che la DE sia imputabile ad un disturbo della migrazione neuronale che interesserebbe primariamente la corteccia perisilviana, compromettendo elettivamente il processamento fonologico. In alcuni casi, le alterazioni della migrazione neuronale potrebbero essere più estese, ed interessare altre strutture encefaliche
Le diverse teorie esposte nella nostra rassegna sono supportate da solide evidenze cliniche e sperimentali. Se a conclusione di questa rassegna non è semplice rispondere alla domanda: “Una o più dislessie?” certo è chiaro che la dislessia evolutiva è un disturbo specifico dell’apprendimento assai eterogeneo dal punto di vista clinico e neuropsicologico. Nella pratica clinica è possibile identificare fenotipi cognitivi differenti. La valutazione diagnostica deve dunque essere allargata ai diversi domini cognitivi implicati nella lettura, un passaggio indispensabile per poter impostare un trattamento riabilitativo individualizzato sul profilo cognitivo del singolo bambino, e poterne cogliere le implicazioni didattiche e pedagogiche.  Al momento, le evidenze disponibili in merito all’efficacia dei singoli trattamenti riabilitativi e al confronto tra gli stessi (es. training metafonologico o sub-lessicale, trattamento tachistoscopio o potenziamento dei meccanismo attenzionali e percettivi) sono ancora troppo limitate per fornire indicazioni definitive al riguardo».
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