Guardo spesso negli occhi i miei allievi, almeno quelli più grandi, e cerco nel loro sguardo un segnale che mi parli di un risveglio o di una reazione a fronte del disagio che stanno vivendo. Cerco almeno di capire se li abita quella sana preoccupazione per tutto ciò che sta accadendo in Italia e mi sembra per lo più di non vedere nessun segno di reazione.
Il momento è difficile per tutti ma lo è soprattutto per i giovani poiché i provvedimenti presi da questa girandola di manovre e dalla politica economica nel suo insieme del governo non contempla alcun tipo di provvedimento in loro favore. Non ci sono prospettive, in una scuola pubblica che è progressivamente smantellata, non ci sono provvedimenti sul lavoro precario, sulla formazione, non ci sono idee per tenere i cervelli in Italia. Per i giovani solo un deserto arido. Questo fatto è drammatico per noi osservatori della realtà e preoccupante per noi nel nostro ruolo di genitori. Ma la domanda è: come mai ancora in Italia non si è levata la loro voce? Perché tacciono, perché sono immobili? Perché non cominciano ad indignarsi, a scendere pacificamente in piazza a dire che esistono e che sono importanti per il nostro futuro prossimo? Perché non sono in grado di organizzarsi, di dibattere, di arrabbiarsi e di chiedere qualcosa che spetta loro? Di presentare le loro istanze e rivendicarle come diritto sacrosanto?
In molti paesi del mondo sono i giovani a guidare il cambiamento, in Nord Africa, in Israele, in Siria, in Spagna, ma anche oltre oceano come in Cile, sono loro i protagonisti di una svolta epocale, che parte dal basso, che parte dal disagio di non vedere un futuro che sarà migliore di quello dei loro genitori. Chiedono più attenzione al loro futuro, al lavoro, alla scuola, all’uguaglianza, una lotta contro i privilegi, una retribuzione adeguata, accesso alle decisioni democratiche, vogliono partecipare, decidere, confrontarsi, rimettere in discussioni vecchie logiche del sistema produttivo, ripensare la socialità, ripensare la comunicazione, la formazione i consumi e l’accesso alle risorse. Sono pieni di vita, di idee, di voglia di fare e di cambiare, così come lo fu alla fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70.
Ma da noi il silenzio è assordante, sono rinchiusi nella paura del futuro, nelle loro famiglie che sono il vero welfare state italiano, nella confusione dell’appartenenza politica (i simpatizzanti della Lega non sanno con chi prendersela, così come gli appartenenti a Comunione e Liberazione oppure alla nuova destra berlusconiana) poiché sono queste forze che non hanno mosso un dito per loro. E gli altri? Anche coloro che non hanno colore politico, dove si nascondono? E i giovani di sinistra? Cosa fanno? Almanaccano sulla caduta del governo?
Sembra che siano abitati da fastidio e disagio che muta in rifiuto verso la politica, e prende forma infine la paura di perdere il poco che hanno e non sanno come organizzarsi e a chi rivolgersi e infine il senso di impotenza e di immobilità domina su tutte le alternative possibili. Attendono ma nessuno li interpella e forse non sanno che nessuno andrà verso di loro perché il tempo in cui gli adulti si fanno carico della loro esistenza è finito. I giovani devono trovare la forza e la determinazione dentro di loro e tra di loro. I loro genitori devono gestire la crisi, la precarietà, la quarta settimana e i debiti per farli studiare. Non possono esserci a risolvere i loro di problemi. Devono capire che è questo il momento per cominciare a far sentire la loro voce. Troppa energia è tenuta ferma e rischia di dissolversi in depressione e paura o sfociare in violenza. Loro hanno la soluzione ma devono trovare il coraggio per diventare protagonisti. Solo così, ho l’impressione, qualcosa può cominciare a cambiare.