Mi è spesso capitato di avere conversazioni dove mi si chiedeva un’opinione circa i due “fenomeni” italiani che hanno avuto molto successo in questi ultimi anni: Ludovico Einaudi e Giovanni Allevi. Le opinioni che ho ascoltato si divaricano tra grandi critici e grandi estimatori, i primi infastiditi dal successo non meritato, i secondi grati di aver scoperto il pianoforte grazie a loro. Cos’hanno in comune questi due musicisti? Mi viene da dire la semplicità e la semplificazione. Se questo è vero l’interrogativo allora è perché la semplicità e la semplificazione hanno un così grande successo presso il pubblico? Forse questo merita attenzone piuttosto che addentrarsi in disquisizioni e giudizi sulle loro capacità musicali. Sono due pianisti normalissimi che non vanno comparati ai pianisti classici e neanche a quelli Jazz poiché si collocano appunto in uno spazio sospeso e nuovo che è lo spazio della rassicurazione. Entrambe (mi permetto di assimilarli, benché forse Einaudi ha un percorso più colto e consapevole, un po’ agganciato alla tradizione del minimalismo) hanno colmato un forte bisogno di ascoltare una musica semplificata, accessibile, fruibile e non destabilizzante. Questo fatto mi parla più di una condizione del pubblico piuttosto che della necessità di elaborare una critica a due pianisti che cercano di fare al meglio il loro lavoro e che hanno trovato un modo di essere musicisti a tutti gli effetti. I tempi difficili richiedono esperienze comprensibili, musica accessibile, emozioni piane e istantanee, progressioni armoniche morbide e prevedibili, melodie semplici e ripetute. L’incertezza del futuro, la complessità del nostro vivere in società veloci (liquide come direbbe Bauman) spinge il pubblico fruitore di arte a richiedere forme che lo rassicurino e lo intrattengono poiché l’esperienza dell’arte come rappresentazione del disagio del moderno, sarebbe troppo destabilizzante e faticosa. Così le sale si affollano e le “standing ovation” si sprecano ma forse qualche ascoltatore si sarà avvicinato al pianoforte solo, pronto – prima o poi – ad ascoltare qualcosa di più elaborato, moderno, complesso e rappresentativo dei nostri tempi. Immaginiamo che il loro successo sia propedeutico ad un’esperienza più completa. Questo rassicura anche me.