Qualcosa non torna nel dibattito attuale intorno alla richiesta dei magistrati di Taranto di sospendere le attività pericolose dell’acciaieria Ilva. La contrapposizione è tra chi vuole salvaguardare il lavoro a tutti i costi e chi, volendo tutelare la salute di lavoratori e popolazione, chiede la sospensione e la bonifica delle aree inquinate. Non torna il fatto che questi siano i reali termini della questione. La salute dei cittadini non può essere sacrificata e svenduta in nome dell’industria italiana. Non è possibile pensare che per mantenere vivo un polo produttivo – benchè strategico e fondamentale – si debbano sacrificare un certo numero di vite umane. Ancor meno pensare che per poter stare sul mercato e garantire profitti all’impresa bisogna “risparmiare” sui processi industriali evitando di spendere le cifre adeguate a mettere in sicurezza l’azienda e modernizzarla per renderla compatibile rispetto all’area in cui risiede.
I termini della questione dovrebbero essere: chiediamo all’azienda di modernizzarsi, bonificare a proprie spese le zone pericolose e risarcire tutti coloro che hanno avuto un lutto dovuto alla cattiva gestione dell’impianto e alla scarsità dei controlli, se non alla malafede di voler occultare l’orribile verità della loro responsabilità. Prima la salute dei cittadini e poi le prospettive industriali. E a chi obiettasse che molti lavoratori perderebbero il lavoro risponderemmo che sta all’azienda che ha mal gestito l’impianto, garantire i salari ai lavoratori. Chi sbaglia è responsabile e paga sui propri errori commessi. Bene hanno fatto i giudici ad andare – con coraggio – fino in fondo non lasciandosi impaludare nella pratica tutta italiana di “lasciar correre”. Finalmente siamo di fronte al fatto che la legge fa il suo corso e chi fa danno alle persone e all’ambiente comincia ad assumersene la responsabilità. E lo deve fare fino in fondo, fino cioè al rischio di chiudere definitivamente. Non può esistere un’impresa che per stare sul mercato uccide con i veleni le popolazioni che le vivono a fianco. Non si può scambiare la salute con il salario. Proprio no. Meglio fare altro allora, una grande opera di bonifica e incentivare il turismo nel golfo di Taranto. Quando si tratta della vita umana le mezze misure non possono essere la soluzione.
E’ facile parlare di cose che stanno a 1200 km. di distanza e disquisire sui “massimi sistemi” (su cui si puo’ essere anche d’accordo), meno facile parlare dei problemi locali: se il prof. vuole interessarsi fattivamente di politica scenda dalla cattedra e si sporchi le mani intervenendo sui problemi concreti di questa citta’, ad es. legga le lettere su VARESE NEWS a proposito della vertenza sul mantenimento dell’ospedale Del Ponte (problema non proprio di scarso interesse per la citta’) ed esprima chiaramente il suo illuminato parere in proposito……tanto per cominciare.
Gentile lettore,
apprezzo il calore del suo intervento e concordo con lei che a volte disquisire sui massimi sistemi può risultare un po’ “facile”. Però questo tema del rapporto tra profitto di impresa e tutela dell’ambiente mi sta particolarmente a cuore perché, come vice-presidente del Comitato Ambiente Verbano (www.comitatoambienteverbano.org), mi occupo attivamente della problematica del co-incenerimento del CDR presso la cementeria Colacem di Caravate. Come lei può ben immaginare, non posso occuparmi di tutte le questioni che accadono a Varese. Ma mi riprometto di porvi il massimo dell’attenzione. Sull’agenda poi dei miei interventi, mi permetta di conservare la libertà di decidere di cosa parlare e quando, in funzione anche delle cose che conosco e di cui mi sento in grado di dire qualcosa di sensato.
La ringrazio per avermi risposto. Non saro’ certo io a dettarle l’agenda degli argomenti da trattare nel Suo blog, comunque spero che anche Lei si interessi ai problemi di questa citta’, da tempo cosi’ bistrattata da politicanti inesperti e/o incapaci, ed intervenga in proposito su questo suo blog. Vive cordialita’ Giovanni Dotti – Varese, 2sett.2012