UN FLOP LA MANIFESTAZIONE DEGLI EBREI ULTRAORTODOSSI CONTRO LA VISITA DEL PAPA IN ISRAELE

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Gerusalemme, 12 maggio 2014

Papa Francesco verrà in Israele a fine maggio. Dov’è la notizia? La cosa infatti si sa da tempo e la visita è già stata organizzata nel dettaglio. Invece la notizia c’è, perché fino alle 19.30 di oggi 12 maggio 2014 la venuta del papa incominciava ad essere messa in forse a causa dell’opposizione degli ebrei religiosi ultraortodossi (una rumorosa percentuale non insignificante della popolazione) alla messa del papa al Cenacolo, che è situato sopra la presunta Tomba di Davide (un falso storico, ma questo non ha molta importanza in un paese dove contano piuttosto i simboli). E se al papa fosse stato impedito di celebrare la messa nel luogo stesso dell’istituzione dell’Eucaristia, è del tutto conseguente che egli avrebbe rinunciato a venire in Israele.

Fino a ieri sera la tensione a Gerusalemme e in Israele era alle stelle. Prova ne sia il fatto che un semplice manifesto di benvenuto esposto dai francescani sopra Il Christian Information Center alla Porta di Jaffa era stato interpretato come una “provocazione” e da più parti se ne richiedeva la rimozione. La risposta dei francescani era stata: “Noi non lo rimuoviamo, ma se volete potete rimuoverlo voi e noi non ci opporremo: ma le televisioni di tutto il mondo saranno lì a riprendere la scena”. Nelle settimane scorse erano aumentate in maniera considerevole le scritte contro i cristiani; addirittura il vescovo di Nazaret aveva ricevuto una lettera minatoria da un rabbino (o presunto tale). Domenica scorsa –cioè ieri- il patriarca latino Fouad Twal aveva denunciato questa escalation anticristiana durante un discorso ad Haifa. Tutto ciò si sommava anche alle ripetute violenze dei coloni israeliani perpetrate con maggior vigore negli ultimi tempi contro i palestinesi della Samaria. A queste si oppongono però settori della società israeliana, che ieri sera hanno manifestato davanti alla casa del primo ministro Netanyahu. E per oggi alle cinque era prevista la manifestazione convocata dagli ebrei ultraortodossi presso il cenacolo alla Porta di Sion., per raggiungere la quale la maggior parte delle persone deve passare attraverso la Porta di Giaffa, dove troneggia la foto di benvenuto dei francescani al papa. Su alcuni siti internet ebraici era inoltre apparsa la notizia che nelle operazioni di ripulitura del Cenacolo in occasione della visita del papa, era stata rimossa la mezuzah che sta all’ingresso di ogni casa ebraica (un simbolo religioso molto importante che contiene passi della Torah, la legge religiosa fondamentale degli Ebrei), tra cui appunto anche il Cenacolo, “occupato” da Israele nel 1967. Vedete dunque che confusione e che tensione.

E invece tutto tranquillo. Alla manifestazione c’erano al massimo quattrocento persone e i toni del discorso del rabbino principale non contenevano un’avversione diretta contro la visita del papa, ma “solo” la preoccupazione che la messa celebrata dal papa al cenacolo potesse un domani diventare una consuetudine e che ai cristiani potesse essere concesso nell’immediato futuro di celebrare ordinariamente la messa al cenacolo sopra la tomba di Davide (la qual cosa –detta tra noi- è proprio uno dei punti in discussione nel concordato che si sta preparando tra la Santa Sede e lo Stato di Israele). Il discorso del rabbino è stato seguito in silenzio, senza alcun tipo di esplosione emozionale da parte degli astanti. Poi è iniziata una lunga preghiera penitenziale, alla fine della quale sono stati esposti alcuni striscioni contro la visita del papa, quando però la maggior parte dei giornalisti se ne era già andata.

Io naturalmente mi ero messo in borghese, perché solo così avrei potuto scattare la foto esclusiva per Varesenews. In precedenza ero stato al Cenacolo, che però era chiuso; ma la tomba di Davide era aperta, con i pellegrini cristiani che entravano e uscivano. Anche la porta di Sion era aperta, segno che la polizia –benché numerosa- non si aspettava particolari problemi. Qualche ordine molto convincente da parte del governo è partito nella notte e le proteste si sono svolte nel modo pacato che ho descritto. Un altro ostacolo è previsto per mercoledì, perché un’altra manifestazione è stata convocata da un altro rabbino, e anzi quello che più di ogni altro sta soffiando sul fuoco. Ma la previsione è che non dovrebbero accadere fatti tali da impedire l’arrivo del papa.

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BUON NATALE DA BETLEMME

Betlemme Natale 2013

Cari amici,
dopo tre mesi di assenza dal blog torno a farmi vivo nel giorno di Natale per fare gli auguri a tutti voi e alle vostre famiglie.
La gioia del Natale del Signore sia la nostra forza.

Non torno a mani vuote ma con un regalo: le immagini in esclusiva che ho girato a Betlemme durante la messa della Notte di Natale. Vedrete l’ingresso in chiesa del Presidente Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) al momento del Gloria, quando il primo sacrestano francescano scopre la statua del Bambin Gesù, che viene incensata dal Patriarca Latino Fouad Twal. Cantano il Coro della Custodia di Terra Santa e il coro del Magnificat (la scuola di musica dove lavoro) diretti da Hania Sabbara con all’organo P. Armando Pierucci, che ha anche composto le variazioni sulla Messa degli Angeli.

BUON NATALE DA FRA RICCARDO

MVI_7111 Gloria 24 dic 2013
se non funziona il link diretto, provate con quello che ho messo su You Tube:
https://www.youtube.com/watch?v=SpyXr7ML_oc&feature=c4-overview&list=UUkmgFdlV55OeZ00bSvnuiGA

La Madonna è tornata a Gerusalemme

IMG_5242 la veggente e la madonna

La Madonna è tornata a Gerusalemme, cioè a casa sua. Se è vero che sabato 24 agosto 2013 è apparsa alla veggente Viscka di Medjugorie nella chiesa di San Salvatore a Gerusalemme, allora la Madonna è tornata nella sua città natale, dove anche ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

Secondo una celebrata e antica tradizione, Maria di Nazaret è nata a Gerusalemme da Gioacchino ed Anna. E infatti l’8 settembre la Custodia di Terra Santa va in pellegrinaggio ufficiale non a Nazaret, ma alla chiesa di S. Anna a Gerusalemme presso la porta dei Leoni, dove si venera il luogo della nascita di Maria. A Gerusalemme Maria è tornata probabilmente dopo aver visitato la cugina Elisabetta ad Ein Karem, poi con il neonato Gesù per la Presentazione al tempio, poi una decina di anni dopo durante una Pasqua (quando lo perse di vista e lo ritrovò a predicare nel tempio), quindi durante i giorni della Passione, Morte e Risurrezione del Figlio, per poi risiedere stabilmente presso il Cenacolo sul Monte Sion, che fu la sua ultima dimora terrena, dove presiedette alla nascita della Chiesa nella Pentecoste e dove è morta, per essere poi sepolta nel cimitero della valle del Cedron presso il Getzemani, da dove è stata assunta in cielo anima e corpo. Poi più niente fino a ieri.

Io finora ci credevo a Medjugorie, perché ci credeva P. Livio di Radio Maria.
Perché P. Livio è “un carognino” –nel senso buono- cioè non è un credulone o un baciapile, non è uno che gliela conti su. P. Livio, secondo me, non è uno facile da convincere, e questa per me costituiva una garanzia su fatti di Medjugorie, visto quanto gli è devoto, e che ci va in vacanza tutti gli anni. E ancora ci credo: credo a quello che dice P. Livio e penso che la Madonna abbia a che fare con Medjugorie.

Ma non credo che questi veggenti siano tali. Dopo che ho visto questa Viscka in azione a Gerusalemme, e le ho parlato, e le ho fatto domande precise, alle quali lei ha risposto sinceramente e con molta disponibilità, non ci credo. Io non credo che veda la Madonna, ma credo che lei creda di vederla. E credo soprattutto che la Madonna si serva di lei per attirare conversioni.

Questa veggente di Medjugorie non fa del male a nessuno, anzi fa del bene. Mai avevo visto la chiesa di San Salvatore (che è la parrocchia latina di Gerusalemme), così piena di popolo: poco clero, poche suore, soprattutto popolo. Un popolo composto e composito (anche cattolici maroniti, melchiti e sicuramente anche cristiani ortodossi), ordinato e raccolto in preghiera; una preghiera che è durata tre ore nella calura di una chiesa senza finestre. Un evento preparato, atteso e organizzato alla perfezione. Con tanto di servizio d’ordine e servizio sanitario pronto ad ogni evenienza e per la liturgia il coro della Custodia di Terra Santa con all’organo P. Armando Pierucci, organista del Santo Sepolcro.

Alle 18 è iniziato il rosario, dopo il rosario l’apparizione davanti alla statua della Madonna: la veggente si inginocchia improvvisamente, sorride e incomincia a parlare con la Madonna una romanza senza parole udibili. La chiesa è in assoluto silenzio e ai più è negata la vista della veggente che dà le spalle a chi sta in navata. Solo una corista particolarmente mistica ha una crisi e poi sviene, subito assistita dai sanitari. Poi è seguita la messa presieduta da Mons. William Shomali, vescovo ausiliare e vicario generale del Patriarcato, che durante tutta la serata ha avuto un comportamento molto sobrio, come si conviene, diversamente da alcuni sacerdoti, alcuni dei quali ho visto presentare alla veggente bambini malati, veri e in fotografia, da benedire, come se la Madonna fosse lei. Infine, dopo il saluto del parroco francescano di Gerusalemme P. Feras Hejazin, la testimonianza della veggente.

Viscka dice le cose che qualsiasi parroco di campagna potrebbe dire. O meglio (visto che molti parroci di campagna di oggi sono sapientoni laureati che parlano in ecclesialese) dice le cose che predicavano i parroci di una volta, che si facevano capire da tutti perché ripassavano cose che tutti già dovevano sapere, ovvero i principii della dottrina e della pratica religiosa, densi di sapienza cristiana. Cosa ha detto Viscka? Che la Madonna chiede la pace e la conversione, e invita alla confessione, al digiuno e alla preghiera fatta col cuore. La Madonna è contenta quando una comunità prega il rosario, perché il rosario è un’arma formidabile contro satana; ma ancora più importante è la messa e quando genitori e figli pregano insieme.

Forse non c’era bisogno di scomodare la Madonna per sentire queste cose. Mancano poi quei contenuti esclusivi che nelle rivelazioni certificate dalla Chiesa (Lourdes, Fatima) c’erano.Inoltre quello che Viska riferiva non era il messaggio che aveva ricevuto qui un’ora prima, ma presumibilmente il compendio dei vari messaggi avuti in precedenza, senza attinenza con i luoghi delle apparizioni, Gerusalemme compresa. Possibile che la Madonna che appare a Gerusalemme non abbia niente di specifico da dire alla chiesa di Gerusalemme, che è la Sua Chiesa, la Sua Casa?

Ed è proprio quello che ho chiesto alla veggente. Che mi ha dato una risposta generica che si può riassumere così: “La Madonna ha detto che è molto contenta di essere qui e dice di pregare”. Questa indifferenza della Madonna per la storia e la geografia dei territori in cui appare grazie ai tour di questa veggente mi sembra ancora più “incredibile” trattandosi di Gerusalemme. E infatti non ci credo. Però, d’altro canto, ci avrei creduto ancor meno se avesse detto: “Maria deplora che per recarsi da Betlemme a Gerusalemme per circoncidere il Figlio, oggi avrebbe dovuto passare il check point israeliano mostrando i documenti e le autorizzazioni e pregare Iddio che non la rimandassero indietro”.

Ma se spostiamo l’attenzione dalla veggente a tutto quello che le sta intorno, cioè a questa umanità orante e piena di speranza, vediamo veramente l’opera di Dio, che in una maniera o in un’altra chiama i cuori alla conversione.

E allora realizziamo che non è così interessante che qualcuno veda la Madonna, ma è sempre consolante sapere che la Madonna vede noi.

Santa Maria Vergine,
non c’è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne,
figlia e ancella dell’altissimo sommo Re, il Padre Celeste,
Madre del santissimo Signore Nostro Gesù Cristo,
sposa dello Spirito Santo;

prega per noi,
con san Michele Arcangelo,
e con tutte le Potenze dei cieli e tutti i Santi,
presso il tuo santissimo diletto Figlio,
nostro Signore e Maestro.

(San Francesco)

IMG_5270 veggente e parroco a san salvatore

Il posto dei cristiani tra Occidente e Medio Oriente

chiesa e moschea

Cari amici,porgo alla vostra attenzione un estratto dell’interessante commento di Riccardo Redaelli, uscito sull’Avvenire del 17 agosto dal titolo “Il posto dei cristiani”, scritto a seguito dei recenti attacchi alle chiese cristiane in Egitto e in Medio Oriente (che in realtà sono iniziati da almeno un paio di anni).

Non è purtroppo una novità: in Medio O­riente, negli ultimi decenni, non vi è stata crisi politica e di sicurezza che non abbia vi­sto le minoranze cristiane quali vittime de­signate, dall’Iraq post-Saddam all’Egitto, dal­l’Algeria degli anni 90 alla Siria oggi scon­volta dalla guerra civile. Agli occhi dei setta­ri, quelle comunità appaiono infatti come una presenza pericolosa: ora accusate di complottare contro i partiti dell’islam poli­tico – e quindi di essere il nemico subdolo che mina la rivoluzione – ora additati come portatori dei deprecati valori “occidentali” e dell’idea di democrazia. Dei “diversi” da al­lontanare o da schiacciare, perché testimo­niano la pluralità culturale e religiosa che è stata la caratteristica storica del Medio O­riente e che gli islamisti vogliono cancella­re a favore di una tetra e fittizia uniformità dottrinale.

Ed è paradossale pensare che le minacce ai cristiani del Medio Oriente vengano proprio perché essi incarnano i valori della tolleran­za e della democrazia, della pluralità reli­giosa e culturale, mentre in Europa avviene l’inverso: sempre più, la testimonianza del­l’essere cristiani è infatti dipinta come una sfida di retroguardia alla democrazia e alla tolleranza. Sulla sponda sud del Mediterra­neo vengono accusati di introdurre una de­mocrazia che minaccia la religione domi­nante, lungo quella settentrionale sono in­dicati come coloro che – in nome della reli­gione – sminuiscono la tolleranza e la ric­chezza culturale occidentale.
(…)
Tutto ciò avviene perché si è diffuso il pre-giudizio – sbagliato e autolesionista – che al­la crescente pluralità etnica e culturale del­le popolazioni europee si debba rispondere nascondendo le proprie radici e omettendo ogni riferimento alla cultura cristiana che permea le nostre società. È quel fenomeno che viene chiamato di “neutralizzazione” del religioso. Apparentemente opposto a quel­lo che sembra un “eccesso di religione” dal­l’altra parte del Mediterraneo, e che invece a esso è strettamente collegato.
Perché tut­to ciò fa parte di una difficile, faticosa presa di coscienza del mutamento delle nostre so­cietà e del problema conseguente di rico­noscersi nella pluralità senza per questo di­venire una società di “indistinti”.
“Riconoscere” significa accettarsi e non negare ad alcuno e ad alcun gruppo e comunità di fede che accetti le sem­plici ed essenziali regole dell’autentica de­mocrazia piena cittadinanza, libertà di esi­stere e di dare significato e contributo alla vita delle società di cui è parte.

Siria: un interessante reportage del Washington Post

combattente islamico

Oggi mi sento meno solo. Le notizie e le preoccupazioni sula deriva islamista della Siria (non solo islamica ma islamista) che da tempo vi segnalo sul mio blog, finalmente vengono riconfermate da un reportage di un giornale prestigioso e autorevole, il Washington Post, che avrà forse la sua influenza nel modificare – o almeno rettificare- le strategie politiche e comunicative dell’Occidente. La giornalista Liz Sly, scrive dal Libano, che è sempre stato il miglior orecchio per origliare gli affari siriani e dove i canali di comunicazione con la Siria sono i più storicamente collaudati.

E cosa scrive Liz? Quello che i lettori di Varese Terra Santa Blog già sanno:
– che il tentativo di rivoluzione iniziato da alcune parti della società siriana contro il regime di Assad sta per essere assorbito e soppiantato completamente dai terroristi di Al-Qaeda,
– che i ribelli di nazionalità siriana (compreso il loro Libero Esercito) hanno un’influenza sempre più marginale sia dal punto di vista militare che politico-organizzativo (e dunque –aggiungo io- possono dire addio alla loro lotta di liberazione nazionale),
– che i militanti di Al-Qaeda e i loro affiliati provengono soprattutto dall’estero,
– che il passaggio privilegiato per l’intrusione è la Turchia (leggi il mio blog del 5 febbraio 2012, ovvero prima che la guerra iniziasse) oltre all’Iraq,
– che i rapimenti e le vessazioni (l’articolo parla anche di decapitazioni) sono all’ordine del giorno nei luoghi dove questi gruppi sono presenti, e colpiscono indistintamente la popolazione, compresi gli attivisti politici, gli amministratori locali e gli operatori di pace, e che le zone sotto il loro controllo vengono interdette agli stessi ribelli siriani non islamisti,
– che però dei rapimenti non bisogna parlare per non fare aumentare il prezzo del riscatto e ostacolare le trattative (l’articolo cita specificamente il rapimento del gesuita italiano Paolo Dall’Oglio).

Liz Sly ci dà anche altre informazioni di cui non ero a conoscenza (anche perché io ho solo la conoscenza di dettaglio delle notizie che mi provengono da fonti dirette). Il più grosso di questi gruppi islamisti legati ad Al-Qaeda, nelle zone sotto il suo controllo, sta tentando un salto di qualità per costituirsi come uno stato vero e proprio, di cui ha già coniato il nome, che è tutto un programma: Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Questo gruppo sta tentando di inglobare nel suo progetto anche gli altri gruppi islamisti, i più grandi dei quali (come Jabhat al-Nusra) sono riluttanti; per non parlare dei gruppi di liberazione siriani i quali, vedendosi togliere la loro terra e svanire il loro sogno per mano di chi teoricamente era venuto in loro aiuto, vi si oppongono.

Dunque lo sviluppo della situazione siriana è tragico e prevedibile: oltre alla guerra contro Assad ci sarà la guerra per il potere dei gruppi islamisti tra di loro. Di conseguenza i profughi aumenteranno. Lasciatemi giocare un po’ alla fantapolitica, cosa che è concessa in un blog: se Assad resisterà a lungo controllando una parte significativa del paese (Damasco, Aleppo, il porto di Latakhie), nel resto della Siria verranno a costituirsi dei califfati in lotta tra loro. Una situazione peggiore dell’Afghanistan e dell’Iraq in una zona ben più strategica per l’Occidente dell’Afghanistan e dell’Iraq. E ciò richiederà un intervento diretto dell’Onu o delle principali potenze. Che dovranno tornare a riconsiderare la loro politica nei confronti di Assad.

È questo che il reportage di Liz Sly paventa, con interviste mirate ad esperti che lasciano insinuare il dubbio che la politica degli Stati Uniti sulla Siria sia stata finora fallimentare e controproducente per gli stessi interessi degli USA e dell’Occidente.

Leggi qui l’articolo completo del Wahington Post:
http://www.washingtonpost.com/world/al-qaeda-expands-in-syria-via-islamic-state/2013/08/12/3ef71a26-036a-11e3-9259-e2aafe5a5f84_story.html

Comunicazione dalla Siria: la morte come problema collaterale

Fare comunicazione dalla Siria presenta un problema collaterale: il rischio della vitafotografo. P. Murad –leggi il blog di giugno- è stato ammazzato perché aveva parlato con fonti giornalistiche occidentali contro i “ribelli” (chiamiamo così il variegato arcipelago anti-Assad composto in minima parte da oppositori siriani e per il resto militanti di Al Qaeda, avventurieri e fondamentalisti vari provenienti dall’estero attraverso la Turchia; P. Murad è stato ucciso da un commando composito di ceceni ed egiziani). Ma i “ribelli” hanno le loro basi in Occidente, che rimandano indietro le informazioni; e così chi parla diventa un bersaglio. Non ho idea se anche nel campo governativo usino lo stesso sistema.

Proprio per questo durante questa guerra noi frati abbiamo tenuto un profilo comunicativo molto basso, per non esporre i nostri fratelli e le nostre comunità a questi rischi. Solo dopo la morte di P. Murad c’è stata un’apertura, di cui però ci siamo già pentiti. Infatti i rapimenti di religiosi e di fedeli cristiani in Siria sono all’ordine del giorno e parlarne aumenta il loro valore sul mercato trasformando queste persone in merce appetibile. Non sono più casi isolati, è un vero e proprio commercio. Questo non accade solo ai cristiani, in verità, ma anche ai musulmani (nei prossimi blog forse vi racconterò storie interessanti a riguardo). Per questo aumentano i profughi. All’inizio invitavamo i nostri fedeli a rimanere, anche per non farsi espropriare le case, ma ora il rischio è troppo alto. Nei villaggi cristiani dell’Oronte ormai resistono solo i frati e poche altre decine di persone.

Il problema di fare comunicazione dalla Siria è questo: se ne parli, ti ammazzano o ti rapiscono o si rivalgono sui tuoi beni e sui tuoi famigliari, se non ne parli devi sottostare ad ogni sorta di abuso. Servirebbero “missionari indipendenti dell’informazione” quelli che con una parola oggi un po’ svalutata si chiamano “giornalisti”. Non so se ce ne siano in questo momento in Siria. Intendo quei giornalisti che si intrufolano di nascosto nel paese, costruiscono i loro contatti, verificano le fonti e testimoniano gli eventi per esperienza diretta.

Oggi i giornalisti sono per la maggior parte, se non tutti, “accreditati”, ovvero sono presenti sul territorio e hanno accesso alle informazioni grazie al permesso e alla “protezione” di una delle parti in causa. Per cui è difficile che possano parlarne male. Inoltre di solito non si muovono dai quartieri e dalle postazioni che vengono loro assegnate, cosicché, benché presenti sul territorio, si riducono a filtrare e a rigirare le informazioni interessate che ricevono dagli uffici stampa delle parti che li proteggono o da agenzie “certificate”. E quando si muovono sotto scorta, il giretto non può che prevedere una “visita guidata” a siti già preventivamente considerati “interessanti” dai loro accompagnatori.

Questo è il problema del giornalismo nelle guerre moderne: quintali di video e notizie, ma nessuna vera informazione. Di questi “missionari dell’informazione” ce ne sono stati (ricordiamo la nostra Ilaria Alpi, uccisa in Somalia nel 1994) e sono sicuro che ce ne sono e ce ne saranno ancora. Esiste ancora chi lavora per vocazione e con dignità professionale. Solo che oggi –a differenza di un tempo- è più difficile e meno gratificante. Perché non conta più il valore della notizia: basta che dici qualcosa al fine di riempire lo spazio che ti è concesso dalla tua testata. E allora perché rischiare, se lo scoop viene pagato uguale o quasi al video che ti passano nel tuo albergo già pronto da far girare? E anche nel caso di testate virtuose, la tua voce libera non riuscirà a farsi sentire nel marasma dell’informazione internazionale. Il valore dell’informazione in sé non è più sufficiente affinché possa circolare, ma deve arrivare da determinati canali. Se fai uno scoop ma la Reuters non lo riprende, non troverà posto in pagina o sul video. Che è poi quello che è successo con l’omicidio di P. Murad, che ha trovato spazio solo nei circuiti della stampa cattolica.

Escalation anticristiana in Siria

Cari amici,
è molto tempo che non aggiorno il mio blog dalla Terra Santa, ma questa volta non posso sottrarmi, a causa di tragiche notizie che provengono dalla Siria.
Ieri, domenica 23 giugno, i ribelli hanno distrutto il convento francescano di Ghassanieh, nell’Oronte, vicino al confine con la Turchia e ucciso P. François Mourad, un monaco cattolico eremita siriano formatosi nella Custodia di Terra Santa, che spesso aiutava i nostri frati a Ghassanieh. Ecco come ci è giunta la notizia: vi riporto la mail che il superiore dei frati della Siria è riuscito a farci pervenire qualche ora dopo l’accaduto, e che è “politicamente scorretta” rispetto alla linea che la stampa occidentale ha scelto sulla Siria. La mail è in italiano (che è la lingua comune della Custodia di Terra Santa) e la copio così come ci è arrivata, errori grammaticali compresi: “M.Rev.Padre Visitatore, Rev.mo padre Custode….. Poco fà ho ricevuto una brutta notizia da Ghassanieh. La prima versione diceva che una proiettile è penetrata nel convento nostro di Ghassanieh ed ha ammazzato il padre Francois che stava con il nostro padre XX. La seconda versione dice che i ribelli sono entrati nel nostro convento di Ghassanieh per rubare tutto, ammazzarono il padre Francois e rubarono tutto quello che era nel convento. Il padre YY che sta supplendo il padre KK a Kanaieh è riuscito in questo pomeriggio a giungere a Ghassanieh ha visto la distruzione di tutto, le suore spaventate il padre Francois ammazzato, carico’ le suore con la salma di padre Francois e ritorno’ a Kanaieh verso le cinque del pomeriggio farà i funerali e la sepoltura di padre Francois. Queste sono le ultime notizie. Vorrei che tutti lo sappiano che l’Occidente nell’appoggiare i rivoluzionari appoggia gli estremisti religiosi, e aiuta ad ammazzare i cristiani. In questo passo non rimarrà nessun cristiano in quelle parti. Il padre Filippo stanco dalla situazione è andato per qualche giorno a Latachia, dove sta ora. Se avro’ qualche altra notizia o dettaglio ve lo faro’ sapere. fr. X Y.”

Scusate se prudenzialmente ho omesso i nomi citati. Nel numero di aprile dei “Frati della Corda” il notiziario ufficiale della Custodia di Terra Santa, il Custode P. Pierbattista Pizzaballa aveva divulgato altre notizie sulla Siria e in particolare su Ghassanieh (http://it.custodia.org/default.asp?id=2188&ricerca=corda&id_n=23294 ; altre notizie con foto potete anche trovarle sul sito www.proterrasancta.org  ).

Ormai è risaputo e verificato che la gran parte dei ribelli non è composta da cittadini siriani ma da combattenti affiliati ad Al-Qaida che provengono dall’estero. Quello che è meno noto, ma estremamente interessante per capire la politica di Al-Qaida, è che questi combattenti si portano dietro le loro famiglie, le quali vanno immediatamente ad occupare le case che i profughi hanno abbandonato. Oggi mi è arrivata la segnalazione che questi occupanti sono libici. I siriani dei villaggi dell’Oronte infatti scappano, e quelli che non possono scappare, sia cristiani che musulmani, si rifugiano nei conventi. Nelle notizie che avevamo ricevuto a gennaio i nostri confratelli ci comunicavano la gravità umanitaria della situazione, ma che i conventi e le chiese erano stati rispettati sia dai ribelli che dall’esercito regolare. Ora è evidente che ci troviamo davanti a un’escalation anticristiana da parte dei ribelli, perlomeno di quelli che provengono da fuori, che nel frattempo hanno conquistato posizioni.

nella foto in alto P. François Mourad, il monaco ucciso; in basso l’entrata del convento di Ghassanieh

TENSIONE IN PALESTINA (sottotitolo: quanto bruciano i lacrimogeni)

Tra le elezioni politiche, l’addio del papae e gli insulti di qualche politico tedesco ad alcuni politici italiani, è normale che la stampa italiana non abbia posto una particolare attenzione su un evento che sta scuotendo la Palestina. Si tratta della morte di un giovane uomo palestinese, Arafat Jaradat, arrestato dalla polizia israeliana. Secondo la versione palestinese Jaradat è morto per le torture subite in carcere, mentre secondo la versione israeliana i segni riscontrati dalle autopsie sul cadavere sono dovuti ai tentativi di rianimazione da un attacco cardiaco che ne avrebbe causato la morte. Se ve ne parlo nel mio blog non è solo per segnalarvi una notizia poco nota, ma perché di questo evento, nel mio piccolo, ho subito anch’io le conseguenze (e come sempre riporto solo i fatti di cui posso dare una testimonianza diretta).

Sono incominciati i lanci di pietre in prossimità dei check point israeliani. La Repubblica, riportando la notizia tre giorni fa, parla del rischio di una terza Intifada. Ogni volta che per diversi motivi ricominciano i lanci di pietre, la stampa internazionale paventa il rischio di una nuova insurrezione popolare. In realtà il popolo palestinese in questo momento mi sembra più depresso che animato da istinti di ribellione. Non hanno la sensazione che una reazione possa portare a qualche risultato; prevale invece lo sconforto (dovuto sia alle divisioni interne, sia all’impotenza della comunità internazionale a risolvere la questione) e l’abitudine a subire un’oppressione quotidiana nelle cose piccole (che poi piccole non sono, come i limiti alla circolazione) e in quelle più grandi (la costruzione di insediamenti israeliani su terreni palestinesi).

Però. Però se si desse l’occasione di un evento di ribellione legato a un fatto simbolico che possa attirare l’attenzione di tutto il mondo, che cioè riuscisse a far diventare cronaca internazionale ciò che finora è stato comunicato come cronaca locale (in questo caso la morte di Jaradat) qualcosa potrebbe succedere. E l’occasione ci sarebbe. A costo di passare per cattivo profeta (sia nel senso di profeta di sventure nel caso l’evento si realizzi, sia di falso profeta nel caso che non si realizzi) ve la voglio segnalare. Domani, 1 marzo, a Gerusalemme è programmata la terza maratona internazionale. Il primo anno la maratona passava anche in alcune zone di Gerusalemme Est (dai palestinesi considerata città occupata) e non è successo niente, invece l’anno scorso hanno evitato e quest’anno pure (ovvero pressapoco; c’è un breve passaggio in città vecchia tra Porta di Giaffa e Porta di Sion, che prima del 67 erano sotto il controllo Giordano, e un altro all’Università Ebraica sul Monte Scopus, che comunque è sempre stata una enclave Israeliana). Questa mattina la radio palestinese avvertiva che le organizzazioni politiche palestinesi invitavano a boicottare la maratona, salvo poi tristemente annotare che sulle modalità del boicottaggio sono divise tra loro. Però –come insinuavo- c’è il rischio o l’opportunità (a seconda dei punti di vista) che questo boicottaggio, legato ad una manifestazione di carattere internazionale, che ha luogo però in concomitanza di una tensione generalizzata, si trasformi in qualcosa di più. Io ve l’ho detto: staremo a vedere.

Intanto io –per tornare nel mio piccolo- ho completato il mio percorso di iniziazione in Terra Santa: dopo aver schivato tre anni fa i sassi dei ragazzotti palestinesi del villaggio di Silwan ai piedi del Monte degli Ulivi, non ho invece schivato ieri il lacrimogeno sparato da un soldato israeliano presso il check-point di Qalandia. Sia ieri che oggi, infatti, mi è toccato di passare due volte di lì per alcune riunioni che avevo a Ramallah e a Tulkarem, nei Territori Palestinesi. Sono andato volentieri perché non esco mai; senza sapere dei subbugli perché ormai lavoro, prego e basta. Ieri il lacrimogeno, oggi un fucile spianato a tre metri da me in direzione dell’archetto della montatura dei miei occhiali. Ieri ero una delle decine di macchine in coda e per fortuna non guidavo io; perché il lacrimogeno non è che ti fa solo piangere: non ti fa vedere proprio, non riesci a tenere gli occhi aperti perché se li apri bruciano di più; come altro effetto, la gola prende fuoco. Ecco come sono avvenuti i fatti: i ragazzi palestinesi, il più vecchio dei quali avrà avuto quattordici anni, andavano a tirare i sassi al militare che stava in una delle garitte poste a guardia del muro di separazione tra Israele e Palestina. E poi scappavano riparandosi dietro le macchine in colonna. Il soldato a un certo punto –casualmente un punto che coincideva con il mio passaggio- senza considerare che in quelle macchine in coda c’erano solo persone che tornavano dal lavoro, dalla scuola o dagli acquisti (erano circa le cinque del pomeriggio) ha sparato il lacrimogeno, che prima è rimbalzato su un pullmino e poi è finito sotto la mia macchina. Oggi invece alla stessa ora non c’era coda (e si spiega anche il perché). C’erano però dei ragazzi che si riparano dietro a un ruotone di legno, mentre qualcun altro scappava, segno che qualcosa avevano combinato. Poi sento lo sparo di un fucile e vedo un soldato che arretra, proprio mentre sto passando io, unica auto in quel momento: è stato in quel frangente che mi sono fatto una cultura sulla dotazione balistica dell’esercito israeliano. Io avrei dovuto fare il cronista di guerra, perché in queste situazioni sono di una freddezza impressionante. Ho fatto anche due foto con il rischio che mi fermassero. Un po’ per la situazione, un po’ perché la mia macchinetta vale poco, sono venute mosse: accontentatevi.

 

 

 

 

Gerusalemme sotto la neve

10 gennaio 2013. Mentre l’Australia si infiamma sotto il sole, a Gerusalemme nevica. Una coltre di una quindicina di centimetri ha ricoperto la città santa. I più attenti lettori di “Varese Terra Santa Blog” ricorderanno che era già accaduto l’anno scorso, ma all’inizio di marzo. A gennaio è più normale, specialmente per una città che –benché in Medio Oriente- è situata ad un’altitudine di quasi 800 metri. La notizia dunque non ci sarebbe, ma siccome ci sono le foto “esclusive” scattate dalla terrazza del convento di San Salvatore, la postiamo volentieri. E poi fa sempre un certo effetto vedere le chiese, le moschee e le sinagoghe sotto un comune manto bianco che viene dal cielo. A proposito: sia ieri sera che stamattina, mentre nevicava ci sono stati pure dei tuoni. Nelle religioni e nelle mitologie il tuono rappresenta spesso una teofania, la voce di Dio, e quando risuona su Gerusalemme fa sempre una certa particolare impressione.

Dal tempo atmosferico a quello liturgico: lo sapete che siamo ancora nel Tempo di Natale? La liturgia conclude infatti le celebrazioni della nascita e della manifestazione del Signore con il Battesimo di Gesù sul Giordano, la prima domenica dopo l’Epifania. Anche lì c’è una teofania, una voce dal cielo, che a differenza del suono indistinto del tuono porta un messaggio chiaramente comprensibile a chi ha orecchi e cuore per intenderlo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. Domenica il Custode di Terra Santa con tutti i frati e il popolo si recheranno sulle rive del Giordano, presso Gerico, per la commemorazione solenne di questo evento.

E allora, visto che dunque siamo ancora nel tempo di Natale e che non vi ho ancora fatto gli auguri …
Buon Natale e Bianco Natale da fra Riccardo.

Bombardato il parlamento israeliano. E altre bufale in diretta

Da Gerusalemme il vostro corrispondente non ufficiale, fra Riccardo. Una testimonianza diretta, piccola piccola. Quello che i telegiornali non vi dicono. Giustamente, in questo caso. Perché giornalisticamente sono “bufale” (salvo smentite delle prossime ore), ovvero notizie non vere o non vere completamente, o non ancora verificabili, fatte girare ad arte per scopi non informativi bensì politici, che rimbalzano nella rete di sito in sito e che però, alla fine, mietono comunque degli effetti concreti piccoli o grandi. Sto parlando dei missili lanciati da Gaza su Gerusalemme venerdì 16 novembre, cioè oggi, la data in cui sto scrivendo.

Oggi avevo un sacco di lavoro arretrato da sbrigare, e per star tranquillo decido di staccare i telefoni. Nemmeno scendo in refettorio a mangiare, ma verso l’una del pomeriggio salgo in terrazza a prendere una boccata d’aria. Dalla terrazza del convento di San Salvatore, situato nella parte più alta della città vecchia, si vede tutta Gerusalemme Est. Alla porta di Damasco c’è un assembramento di persone, in cielo un elicottero continua a girare, cose normali di un venerdì a Gerusalemme.

Finita la pausa, mentre sto per tornare giù, un nostro impiegato palestinese mi dice che un missile è stato sparato sulla Knesset, ovvero il parlamento israeliano che ha sede a Gerusalemme. Siccome il tipo è un po’ strano, penso ad una presa in giro. Infatti, la mia terrazza dà anche su Paratrooper Road, la strada di grande comunicazione che fino alla guerra dei sei giorni del 1967 ha segnato il confine tra Israele e Giordania e oggi divide idealmente Gerusalemme Est (palestinese) da Gerusalemme Ovest (israeliana); qui anche nei giorni normali è tutto un baccano di sirene tra autoambulanze e macchine della polizia che cercano di farsi largo nel traffico e dunque, a maggior ragione, bisognerebbe aspettarsi un ulteriore traffico di mezzi di soccorso e polizia se il parlamento fosse stato bombardato. Invece niente. Perciò penso ad uno scherzo e torno a lavorare in camera per conto mio. Prima però dò un’occhiata a un po’ di siti internet israeliani, palestinesi, giordani ed egiziani, e nessuno riporta la clamorosa notizia.

Verso le quattro del pomeriggio mi trasferisco nel mio nuovo ufficio sopra la scuola dove lavoro, che è all’interno del convento. Alle 17, entra la segretaria e mi dice:
“Padre, stanno sparando missili su Gerusalemme, è stata colpita anche la Knesset e la direttrice ha mandato tutti a casa e chiuso la scuola”.
“Non mi risulta”, rispondo alla segretaria, che senza chiederlo esplicitamente voleva il permesso per andare a casa anche lei con due ore di anticipo sul suo orario.
“Ma come –ribadisce lei- è scritto su internet e ci sono un sacco di messaggi su Facebook; e poi, non ha sentito la sirena di allarme?”

In verità, l’allarme c’era stato, ma io non l’avevo sentito, perché avevo messo di sottofondo una musica ad alto volume. Tuttavia, se anche l’avessi sentito, non ci avrei fatto caso. In questa stagione infatti, tra le quattro e le cinque del venerdì pomeriggio inizia lo shabbat –il giorno settimanale di festa per gli ebrei- e suonano la sirena. Oggi però avrei dovuto far caso che le sirene erano state due, ma io – preso dal lavoro e coperto dal sottofondo musicale- non mi ero accorto né della prima, né della seconda. Torno a guardare un po’ di siti, ma nessuno parla di missili sulla Knesset. Però ci sono lacunose notizie su altri missili che avrebbero colpito zone periferiche e desertiche di Gerusalemme, senza far danni. C’è poi un’altra notizia abbastanza clamorosa: un aereo militare israeliano sarebbe stato abbattuto. Continuo a lavorare, ma spengo la musica. Poco dopo si sentono degli spari. Se non fossi stato influenzato dall’impiegato, dalla segretaria e dai siti internet, anche questa volta non ci avrei fatto caso. Infatti è normale per gli arabi sparare botti e fuochi di artificio durante le feste e i matrimoni dai terrazzi delle loro case, soprattutto il venerdì, giorno di festa dei musulmani. Nel dubbio però prendo la macchina fotografica e torno in terrazza, ma gli spari nel frattempo sono finiti. C’è anzi abbastanza tranquillità, insolita, e Paratrooper road è quasi vuota, ma penso che sia per il fatto che gli ebrei osservanti di shabbat non possono guidare, cosicché le strade di venerdì sono sempre libere.

Si sono fatte le otto. Dopo i vespri il padre guardiano avvisa che sono stati sparati un paio di razzi su Gerusalemme, ma che non c’è da preoccuparsi. Un frate palestinese puntualizza che –da sue personali informazioni ricevute tramite facebook- un razzo avrebbe colpito la periferia degli insediamenti di Gilo e di Maale Adumin, entrambi appena fuori di Gerusalemme, e che un aereo israeliano era stato abbattuto e su facebook c’erano le foto. Una mia amica mi aveva in precedenza confermato che nel centro di Gerusalemme Ovest (la capitale Israeliana) c’erano stati momenti di panico perché le esplosioni si erano sentite e ad esse era seguito il suono delle sirene.

In conclusione: nessun missile ha colpito la Knesset, nessun aereo israeliano è stato abbattuto, a Gerusalemme Est e nella città vecchia tutto è calmo, ma la mia scuola è stata prudenzialmente chiusa per un mix di notizie vere e fasulle in libera uscita, che rappresentano una nuova arma, pulita, non convenzionale, che al posto di uccidere modifica opinioni e comportamenti. Quest’arma è l’informazione, o, meglio, la comunicazione. Infatti la mia scuola (che essendo nella zona araba sarebbe comunque teoricamente al sicuro) è stata chiusa sulla base del sentito dire. Purtroppo questo virus ha colpito anche testate giornalistiche importanti on line. Una volta i giornalisti controllavano le informazioni, ora –quando va bene- si limitano a citare le fonti, lasciando passare qualsiasi cosa e così prestandosi al gioco politico di chi quelle informazioni ha interesse a diffondere. Tornerò in futuro su questo argomento. Ma a questo punto mi domando: io le due ore che la mia segretaria è andata via prima senza permesso, gliele devo trattenere o no?