“Con il mio lavoro non si diventa ricchi, ma scopri il mondo”

Marcello ha 25 anni, vive a Varese e fa il musicista di strada. Racconta la sua storia e i passi fatti per riuscire a vivere con la sua passione per la musica e i viaggi

“Con il mio lavoro non si diventa ricchi, ma scopri il mondo”

Chi non ha mai sognato di vivere la propria vita viaggiando?

Marcello ha 25 anni e nella vita fa l’artista di strada. Cresciuto a Varese, ha iniziato a viaggiare giovanissimo. A diciassette anni, dopo essersi reso conto che gli studi non facevano per lui, partì per frequentare uno stage per diventare animatore. Prima a Napoli, poi in Puglia, per un anno impara a lavorare in mezzo alla gente e si innamora dell’arte di fare spettacolo.

“Dopo la Puglia sarei dovuto partire per l’Egitto, ma a causa di alcune guerriglie interne del Paese, mi annullarono il contratto e mi ritrovai improvvisamente senza lavoro. Così decisi di tornare a Varese. Sentivo la necessità di fare qualcosa della mia vita, trovare una strada. Così un giorno decisi di prenotare un volo per Edimburgo. Quella che doveva essere una breve vacanza di due o tre giorni per schiarirmi le idee e cambiare casa, si è poi trasformata in una permanenza di due anni, durante i quali ho trovato casa e iniziato a fare qualche lavoretto che mi permettesse di mantenermi. Quando per tutta la vita ti sei sentito dire di non essere bravo in nulla, finisci col crederci. Per questo motivo nessun lavoro mi appagava e spesso venivo licenziato. Un giorno, seguendo il consiglio di uno chef con cui lavoravo, entrai in un negozio dell’usato e comprai una chitarra. Una chitarra elettrica verde”.

“Nel mio piccolo – prosegue Marcello – avevo sempre suonato. Da bambino ero stato costretto da mio padre a prendere lezioni di pianoforte, ma non sono mai stato portato per pratiche così formali, così dopo qualche lezione presi coraggio e per paura della reazione di mio padre gli scrissi un biglietto dove affermavo di non voler più studiare piano. Fortunatamente non si arrabbiò e mi permise di lasciare. A quattordici anni avevo iniziato a strimpellare con la chitarra, ma non avevo mai pensato alla musica come un possibile lavoro. Quando quel giorno, però, presi in mano quella chitarra da quindici sterline, sentii qualcosa. Te lo giuro, sentii un’energia, una voce che diceva “Marcello, tu non hai mai combinato nulla, ma con questa chitarra riuscirai a fare qualcosa”. Proprio in quei giorni mi capitò di incontrare una persona che mi raccontò di lavorare per strada e di vivere di quello. Io ero sempre stato attratto dai musicisti di strada, l’ho sempre visto come un mestiere romantico, libero, affascinante. Così decido di provare. La prima volta mi buttai a vuoto, senza attrezzatura e senza amplificatore. Fu un vero fiasco e guadagnai una sterlina. La seconda volta acquistai in un altro charity shop un amplificatore usato e un microfono della play station, mi metto davanti all’Hotel dove lavoravo e inizio ad esibirmi. Suonai e cantai per sei e guadagnai 30 sterline. Non era molto ma dentro di me mi sentivo milionario, perché finalmente ero riuscito a guadagnare qualcosina con la musica. Così iniziò un periodo della mia vita in cui il pomeriggio mi esibivo e la sera lavoravo nell’Hotel. Suonavo canzoni mie, scritte ispirandomi a piccole vicende accadevano intorno a me. Finalmente sentivo di star facendo qualcosa che riusciva a rendermi felice e che mi dava soddisfazione”.

Ecco la chiave per la libertà: non doveva chiedere soldi, non doveva impazzire per trovare un lavoro. Marcello suonava nella città scozzese con la sua chitarra e un cartello, “TRAIN TO LONDON”, così che la gente sapesse che i soldi che guadagnava con la mia musica, sarebbero serviti per raggiungere Londra, il traguardo che ai suoi occhi sembrava molto lontano, quasi impossibile da raggiungere.

“Una volta arrivato a Londra rimasi completamente spiazzato, perché ad Edimburgo eravamo pochissimi ad esibirci per strada, mentre lì erano in tantissimi, tutti bravissimi, capaci di creare veri e propri spettacoli. Oltretutto, la gente protegge il suo territorio, ti rispetta solo se con la tua performance riesci a creare una grande folla intorno a te, ed io mi sentivo insignificante. Una sera incontrai un gruppo di ragazzi spagnoli, erano simpatici, fumammo e chiacchierammo a lungo. Non so come fu possibile, davvero non me lo so spiegare, ma l’incontro con quei ragazzi fece scattare qualcosa nella mia testa: fu come se improvvisamente avessi compreso la maniera giusta di connettermi con le persone. Si tratta di un’energia astratta, eppure concreta nel contempo. Iniziai a proporre nuovi tipi di spettacoli, che coinvolgessero il pubblico, e la gente cominciò fermarsi”.

Passato un po’ di tempo, le cose cominciarono a cambiare. Gli spettacoli andavano molto bene, ma Marcello cominciava a sentirsi una marionetta: faceva sempre la stessa cosa, sempre nello stesso posto. I gruppi che si affollavano attorno a lui erano giganteschi, ma si rendeva conto di star perdendo la sua essenza: non era più felice come lo era stato ad Edimburgo. “Il fatto che sentissi la necessità di un forte cambiamento coincise con la rottura con la mia fidanzata. Ufficialmente, tutto iniziò a collassare. Così dopo quattro anni a Londra e due a Edimburgo, decisi che era ora di iniziare un nuovo capitolo”.

Quando il coronavirus cominciò a diffondersi a macchia d’olio in tutta Europa, Marcello ricevette un duro colpo. Non poteva più suonare, non aveva più niente.

“Usai la quarantena per riflettere sui prossimi passi da fare e a luglio, dopo il lockdown, tornai a Varese. Sfortunatamente, a casa trovai una situazione famigliare peggiore di come l’avevo lasciata. Ero chiuso nella mansarda di mio padre, con un computer per registrare cercando di concludere qualcosa con la musica che andasse oltre alle esibizioni per strada. Ma la situazione non era semplice e mi ritrovavo sempre a riflettere su cosa potessi fare. Ero depresso, non vedevo vie di uscita. Fu grazie ad una mia amica che mi invitò a passare qualche giorno da lei a Vienna, che mi resi finalmente conto che la soluzione a quella sensazione tremenda di vuoto interiore che mi aveva pervaso, era unire la mia passione per l’arte di strada, al viaggio. Quando suonavo a Londra, come anche a Edimburgo, ero sedentario, non solo sempre nella stessa città, ma soprattutto sempre nella stessa piazza. Così, seduto sulla ruota panoramica di Vienna, mi sorpresi a pensare “Marcello, torna a Varese, prenota un biglietto per Genova. Se non riesci a guadagnare abbastanza per pagare l’ostello e riuscire a mangiare, torna a Varese. Se invece ce la fai, passa alla città successiva”

A Genova andò bene, e successivamente ha continuato ad andare bene anche in Toscana, in Puglia, in Calabria, fino ad arrivare in Sicilia. Mai più di tre giorni nella stessa città, nessuna destinazione. Solo la passione per la musica e per la strada. Un giovane Kerouac, on the road tra le strade d’Italia.

Il mio è uno dei lavori più antichi del mondo. Non si diventa ricchi, ci sono alti e bassi, ma sono sempre riuscito a guadagnare abbastanza per andare avanti. Quello che faccio è necessario, soprattutto ora che siamo nel bel mezzo di questa pandemia. Io ho bisogno della gente e la gente ha bisogno di me”

 

15 Marzo 2021

di Francesca Marutti

Articolo postato in Evidenza | Lavoro