“Il topo chiude il blog?” Niente affatto, cari, ma i treni e le periferie di Milano non mi bastano più. Ora voglio dialogare con voi e per farlo vi porto nella mia tana: tana polverosa, nascosta tra i muri di una casa virtuale, che si apre sul mondo grazie alla parola scritta, narrata, romanzata. Vi porto dentro la mia tana a scrivere, a leggere, a raccontare, a pensare, ad ascoltare, a riflettere e a osservare il mondo là fuori. Emozioniamoci per la poesia dell’ultimo tra gli analfabeti e, magari, ridacchiamo senza timore per la boiata scritta da un premio Strega.
Prego signori! Entrate nella tana del topo, quel topo di campagna che viaggia, avanti e indré su un treno sgangherato e poi, la sera, si rifugia qui, dentro la narrativa, la letteratura, la poesia. In sintesi: si rifugia nella parola scritta che sa trasmettere emozioni, una parola scritta per arricchire chi legge.
Potere alla parola, signori, quella fissata sulla carta o sul foglio virtuale di un pc, quella che rimane lì e invita il lettore a viaggiare o a pensare. Perché, in fondo, l’arte e la letteratura vere non hanno la presunzione di certi cialtroni vanitosi: trasmettono emozioni gratuite, che restano, e che a loro modo arricchiscono la mente di tutti noi.
Chi ha il diritto di sentirsi scrittore, oggi? Chi lo può stabilire? Non certo prelati e guru autoreferenziati. Non certo le classifiche di vendita fasulle e pilotate. Verga, Manzoni, Montale e tutta la schiera dei grandi (quelli veri) non hanno critici a cui essere grati, ma solo lettori, milioni di lettori. La loro parola scritta, la loro arte li precede. La cosa più odiosa che puoi fare per farti cacciare dalla mia tana è salire su un pulpito e metterti a giudicare chi è un talento e chi no in base a un presunto pedigree. Non sopporto i sommelier della cultura: quelli che, al primo sorso, stringono la bocca “a culo di gallina” e giudicano. Preferisco gli onesti bevitori, che si lasciano inebriare dalle emozioni. Nella mia tana, il vino lo si distingue soltanto in due categorie: quello onesto e sincero e quello prodotto in malafede e traditore. Il vino d’Angera non può somigliare al chianti, se è così, significa che è disonesto: meglio un vino che racchiuda il sapore della propria terra, con il suo carattere unico che proviene dalle sue radici, che piaccia oppure no. Ma onesto. Lo stesso vale per l’arte e, in particolare, per la letteratura e la narrativa: nella mia tana non esistono scrittori abusivi, ma onesti e disonesti. E siccome qui dentro non ci sono pulpiti o piedistalli, io scrittore sono sullo stesso piano del lettore.
Nell’era in cui cadono tutte le barriere precostituite, sociali o culturali, soprattutto grazie a internet, grazie al senso di libertà sconfinata che deriva dal web, il minimo che si può pretendere è che scrittori e lettori si guardino negli occhi, sullo stesso piano, alla pari. I primi hanno il diritto di esprimersi e pubblicare con un solo dovere, il rispetto dei lettori. I secondi hanno invece il diritto di leggere, ma anche di non leggere, con un solo dovere: valutare la parola e non chi scrive. E, a ben vedere, un bel bagno di umiltà mischierebbe le carte e sarebbe meglio per tutti: tra lettori e scrittori, oggi, non può più esserci alcuna barriera. Io che mi sento scrittore, che propongo parole ed emozioni a un pubblico di lettori, devo essere il primo a dare l’esempio, ed essere anche un onesto lettore, predisposto al confronto, all’ascolto. Lo scrittore vero non è quello consacrato da chissà quale critica o dal sacro fuoco della letteratura, ma è colui che scrive con un solo obiettivo: essere letto. Vale per tutti, sia per i privilegiati o meritevoli che pubblicano per grandi editori, sia per quelli che si rivolgono agli editori abusivi (che pubblicano a pagamento), sia per quelli che rimangono solo nello spazio virtuale di un blog. E per chi pretende un pubblico di lettori, il primo atto di modestia e correttezza, oggi, è di essere lettore egli stesso. Per primo.
Nell’era di internet, viviamo in uno stato di bulimia da scrittura e, al tempo stesso, di anoressia da lettura. E questo non è che lo specchio di una società abituata a parlare sempre e non più ad ascoltare, ad esprimersi e non a lasciare esprimere. Nella mia tana proveremo a ristabilire un equilibrio.
Con la voglia di lasciarci attraversare dalla parola che scolpisce, che dipinge, che fotografa, che sintetizza e che plasma il mondo là fuori. Una parola onesta.