Dov’è finito? Quel topo non è costante, non scrive più, ha altri pensieri per la testa, ma un blogger che si rispetti non può non aggiornare il suo diario. Un blogger a singhiozzo, tra Milano e la provincia, più che un topo una lumaca…
No, ragazzi, il topo ha voluto lasciar sedimentare molti, tanti, troppi pensieri di un periodo intenso, difficile, complicato, importante: e poi è tornato a pubblicare. Ispirazione ai minimi? Niente affatto, ero fermo per troppe idee, troppi pensieri.
Non sopporto i bulimici da scrittura, perché non riesco a concepire la parola in pubblico e la narrazione, come un esercizio fine a se stesso: detesto i diari imposti a interlocutori passivi. Mi dà l’idea di essere dentro una sala d’attesa di parrucchiere per signora, con blablà a nastro che si diffondono anche senza veri e interessati interlocutori. Concepisco la scrittura come l’esercizio per un ipotetico, ma reale, lettore, e non come un troppo virtuale esercizio per grafomani. Abusare dei lettori è troppo triste e, soprattutto, è un’operazione sterile. Troppo spesso la rete, ma anche le segreterie delle case editrici, si riempiono di bulimici della scrittura, gente che si ostina a volar raccontare a tutti i costi, anche quando forse varrebbe la pena di fermarsi e riflettere un po’: lo scrittore al tempo di internet viene troppo spesso confuso con i mille predicatori in cerca di un pulpito, o in cerca di un’illusione. Viva la libertà di espressione, sempre e comunque, ma concedetemi qualche limite. Voglio pormi limiti, ovvero quelli di scrivere solo quando penso di avere qualcosa che valga la pena di essere letto: pieno rispetto per voi, dunque, nel mezzo di un mare di parole che, chissà perché, la rete internet trasforma in un oceano senza confini. Io i confini le traccio. E dentro le frontiere della mia tana, la parola ha il suo valore, quello che mi hanno insegnato Hugo, Manzoni, Dumas, Verga e una lunga lista di fuoriclasse, forgiatori di scrittura che hanno sconfitto il tempo e sono diventati ossigeno puro, maestri che riempiono i polmoni e danno sollievo. Anche ora che, seppur ci sforziamo nel declamare i pregi dell’era del web e dei social network, viviamo in un tempo cupo che qualsiasi padre di buonsenso non può più accettare o subire: per il bene dei nostri figli, per quell’aspirazione alla bellezza che, se frughiamo bene nei meandri del nostro ego la scopriamo ancora autentica, impariamo dai maestri il valore della parola. Altro che scribacchini/pantegane in cerca del consenso di tutte le fogne.
Difficile capire tutto subito, ovvero secondo i tempi del web. Intanto eccomi qui, sono il primo topo che, a suo modo, magari bizzarro, vuol cambiare il mondo, partendo da una tana piccola piccola, sempre aperta a tutti.
Ricomincio da queste parole:
Cantare, ridere, sognare, essere indipendente, libero, guardare in faccia la gente e parlare come mi pare, mettermi, se ne ho voglia, il cappello di traverso, battermi per un sì per un no o fare un verso. Lavorare senza curarsi della gloria e della fortuna alla cronaca di un viaggio cui si pensa da tempo, magari nella luna!
Non scrivere mai nulla che non sia nato davvero dentro di te!
Appagarsi soltanto dei frutti, dei fiori e delle foglie che si sono colte nel proprio giardino con le proprie stesse mani!
Poi, se per caso ti arriva anche il successo, non dovere nulla a Cesare, prendere tutto il merito per te solo e, disprezzando l’edera, salire, anche senza essere né una quercia né un tiglio, salire, magari poco, ma salire da solo!
da Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand