Eccomi, riapro la stanza, dopo opportuna disinfestazione da virus influenzali: così non si potrà dire che, a parlar di cultura in questo mondo, viene la febbre. La Milano dei pendolari, stamattina, è imbiancata da neve sporca e già sembra diversa dalla solita grigia metropoli: sarà che la Finanza, cattivona, arrivando a far controlli in corso Como, disturbando la “movida”, avrà costretto i poeti della notte a disfarsi di tutta la polvere bianca dei quartieri “bene”?
Sì, permettetemi di fare l’antipatico e non è l’effetto dell’antibiotico, ma voglia di scarabocchiare le pareti di un mondo finto e ipocrita, prefabbricato ad arte, perfetto per il consumo di un popolo bue e non pensante. Arrivo buon ultimo, tranquilli, Gaber l’aveva già detto, ma anche Bianciardi, ma anche Brancher, ma anche Gadda… Vabbè, chissà se prima o poi tornerà a piacermi Milano?
Intanto apro pagine di attualità per respirare un po’ di cultura e, ohibò, sull’inserto domenicale (La lettura) del Corriere, m’imbatto in una “dorricata” che mi fa sussultare e tornare ancor più “acido”. Perdonatemi, se a qualcuno non farà piacere, ma una recensione di Antonio D’Orrico mi costringe a ribadire, forte e chiaro: non sopporto Camilleri.
Non la sua opera, sia chiaro, ma l’icona che, dopo anni di lifting televisivo, diventa immagine di culto per compiacere se stessi, lo scrittore siciliano, i grandi editori, il grande pubblico. Insomma, utilizzando un vecchio trucco del grande schermo, per strappare un applauso.
Le anime di De Sanctis e Croce non s’arrabbieranno se quell’ Antonio D’Orrico, critico e recensore, proprio non lo digerisco: e costui mi ha fatto esplodere dal petto un “Camilleri, basta!”, per via di una genuflessione davvero inopportuna. La “dorricata” va a recensire il best seller delle classifiche italiane del momento, l’ennesima pubblicazione del papà di Montalbano che, questa volta (con mio piacere), si misura col racconto breve (Il diavolo certamente, ovvero una raccolta di 33 brani di cinque pagine ciascuna). Nulla da eccepire, se non cominciasse a spargere incenso e commozione di fronte agli incipit “meravigliosi” del Camilleri. E ne cita parecchi, tuttavia io mi limito a uno (preso a caso): “Corrado Tozzi, quarantenne, scapolo, atletico, decisamente un bell’uomo, sempre elegante, mai un capello fuori posto, capo della squadra omicidi, è considerato forse il migliore investigatore cha abbia la polizia”…..Ok, e allora? Ah beh, sì beh, dai dai cunta sü.
I gusti, per carità, sono elementi soggettivi, basta che poi non si pretenda di fare catechismo ruttando in chiesa: come fa D’Orrico, quando per compiacere chissà chi, accosta Camilleri a una schiera di “santi” come Moravia e Parise, spingendosi fino a Roland Barthes (che fa figo, poiché il popolo bue in questo caso spalanca la bocca e dice “cavolo”, tanto non sa chi è), per poi accostare il tutto agli ultrà dell’Inter, a Mancini e Mourinho. Un tuffo carpiato di Tania Cagnotto sarebbe stato meno da brividi. Ma non sarebbe bastato un semplice e modesto “leggetelo e divertitevi”?
Permettetemi di ricordarvi le giuste proporzioni tra favoloso e normale, pur senza andar sul continente, ma rimanendo sull’isola di Camilleri. Questo sarebbe un INCIPIT con cui commuoversi: “Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano”. (“La lupa” di Giovanni Verga)
Spulciando tra novelle e racconti, quali sono, per voi, gli incipit capolavoro?