L’articolo di Emotions a firma di Pamela McCourt Francescone. Qui la versione inglese.
“Se rifiuti il cibo, trascuri le consuetudini, temi la religione ed eviti la gente, allora meglio startene a casa”.
James Michener
Ogni viaggio termina, come è iniziato, nella mente. E sono le menti più terse e meno contaminate dai pregiudizi altrui quelle meglio predisposte a cogliere le sensazioni più intime e recondite dei luoghi di viaggio. Poi, una volta a casa – con in testa un turbinio di colori, ombre, parole sospese, fragranze, sguardi, riflessi ed emozioni – attraverso un’elaborazione spontanea e non (ora sì che è il momento di leggere, approfondire, confrontare) diventa incontenibil
e il desiderio di dipanare le esperienze vissute. Che nel caso del Nicaragua vuole dire aprire un forziere stracolmo e di grande fascino – per l’immensità del viaggio in sé, per il suo profondo carico emotivo e per la dismisura di ricordi e impressioni preziose da passare all’infinito setaccio della mente.
Sarebbe poco garbato non iniziare con Managua, rasa al suolo da un devastante terremoto nel 1972, che potrebbe essere considerata una città senza una vera anima. Invece l’anima Managua ce l’ha, e si rivela nella sua coraggiosa fierezza come capitale che ospita quasi un quinto della popolazione del Paese, le istituzioni e quello struggente scheletro della cattedrale vecchia che sorge accanto al maestoso Palacio Nacional de la Cultura, dove grandi poster sandinisti celano parzialmente le candide colonne greco-romane della facciata. Tutt’intorno quartieri ricostruiti solo parzialmente dopo il terremoto, accanto ai quali stanno sorgendo nuovi nuclei residenziali e di rappresentanza, alberghi dei grandi brand internazionali e moderni centri commerciali.
Tempo una mezz’ora e, salendo una strada che passa attraverso campi di grigiastre colate laviche, ci si imbatte in uno di quei mostri preistorici con i quali il Nicaragua ha dovuto imparare a convivere: i suoi 48 vulcani, dei quali sette attivi. Presenze che nei millenni non hanno mai rallentato la loro spietata morsa sul territorio, regolarmente e inaspettatamente cambiandone in modo brutale e crudele le sembianze. Qui siamo al vulcano Masaya, un enorme cratere dal quale si levano masse fluttuanti di nuvoloni grigi dall’acre odore di zolfo, come a voler ribadire che qui, a due passi dalla capitale come in tutto il Centroamerica, è la Natura a fare da padrone. Una natura che è un susseguirsi di foreste pluviali e zone montagnose, laghi e fiumi, giungla e pianure costiere, graziose cittadine coloniali e siti archeologici, luoghi della lunga e travagliata storia del più grande dei paesi centroamericani, e acque con fondali trasparenti (quelle caraibiche) e con le sfumature scure del grande Pacifico.
Lasciando alle spalle i fumogeni malefici del Masaya, si arriva sull’incantevole isola di Ometepe, adagiata sulle placide acque del Lago di Nicaragua, per trovare altri due vulcani, il Maderas e il Concepción – dal cono così perfetto da fare credere alla mano di un Michelangelo divino – dai quali l’isola prende il nome, e che nel linguaggio náhuatl vuol dire “due colli”. Rimossi dal mondo esterno tra miti, petrografiche e monumentali statue precolombiane, su Ometepe è facile lasciarsi incantare da leggende come quella della laguna Charco Verde dalle acque verdastre, già antica città di El Encanto, regno di Chico Largo, un discendente di antichi stregoni che trasformava in vacche, maiali e caimani chiunque osasse cacciare in questo luogo. Più allegre le spiagge intorno al lago, alcune con bella vista sul Concepción che ama indossare un cappellino di nuvola bianca sulle ventitré. Per i più sportivi, trekking, gite in bicicletta e a cavallo, o lunghe passeggiate in idilliaci paesaggi agresti che a tratti richiamano i capolavori dei grandi maestri impressionisti. E per chi desidera lanciarsi alla scoperta della gastronomia locale – gustosissimi i pesci del lago – c’è Villa Paraiso, immersa nella natura e direttamene sulla Santo Domingo Beach.
Spostandosi verso la costa atlantica, lungo le sponde del Rio San Juan, che dal Lago di Nicaragua sfocia nelle calde acque caraibiche (è il confine naturale con il Costa Rica), ci si trova nella più grande foresta pluviale del Centroamerica e la Riserva Biologica Indio Maiz. Spazi sconfinati e una natura esuberante di straordinaria biodiversità dove errano giaguari e puma, scimmie e tapiri, coccodrilli e tartarughe, tucani e iguana, nonché un punto privilegiato per avvistare le specie migratorie che si spostano tra le due Americhe.
Due i punti di riferimento per chi vuole deliziarsi di questa splendida e spettacolare natura. San Juan de Nicaragua (già San Juan del Norte e, durante gli anni in cui il Nicaragua era una colonia della corona britannica, Greytown), una tranquilla cittadina di duemila anime con un nuovo aeroporto dove atterrano piccoli aerei. E l’unica struttura ricettiva autorizzata, il Rio Indio Lodge dotato di ogni comfort e un’ottima cucina. Qui si alberga in spaziose abitazioni collegate al lodge da passarelle di legno sospese in mezzo alla foresta che di notte risuonano dei versi e dei canti della giungla. Dal lodge si parte alla scoperta della flora e della fauna del fiume, della laguna e del vicino oceano, ma anche per escursioni nella foresta accompagnati da guide esperte. E al Rio Indio si viene anche per fare corsi di sopravvivenza nel Bushmaster Survival School in questo tranquillo rifugio che è un leggendario punto di riferimento anche per gli appassionati di pesca sportiva.
Granada e Leon, i due gioielli coloniali del Nicaragua. Granada è il centro più turistico del Paese, idealmente ubicata per chi ha l’idea di alternarsi tra le due coste, una città allegra e accogliente sulle sponde del Lago Cocibolca, guardata a vista dal vulcano Mombacho che nella notte dei tempi ha creato Las Isletas, l’arcipelago di 365 isolotti, alcuni privati, altri come l’isola di Zapatera depositari di testimonianze precolombiane e raggiungibili in veloci motolance dal malecón di Granada. Al tramonto fare due passi lungo le strette vie cittadine per ammirare le eleganti case coloniali, ad un piano e con caratteristici tetti di tegole che nascondono graziosi patii ombreggiati ,rasserena l’anima, mentre per gli amanti della movida notturna ci sono i piccoli locali e ristoranti lungo Calle La Calzada dove sorge lo storico Hotel Dario che ricorda il poeta nazionale Rubén Dario.
Leon, l’altra anima del Paese, è il cuore palpitante della cultura e della storia stessa del Nicaragua. Costruita nel 1524 dagli spagnoli, nel 1610 il vulcano Momotombo ne distrusse l’antico insediamento che distava una trentina di chilometri dalla città odierna. Sul sito archeologico di Leon Viejo, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, sono poche le tracce rimaste della città originale, ma vale la pena visitarlo per cogliere il battito profondo che si sprigiona dalle antiche pietre. A Leon sorge la basilica più grande del Centroamerica, Ascunción con cinque navate e la tomba di Rubén Dario che ne ha fatto un luogo di pellegrinaggio per tutto il Paese, anch’essa Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Prospicenti la grande piazza della cattedrale grandi murales con i volti dei martiri della guerra civile degli anni ’70, ed è difficile non commuoversi tra i vecchi reperti e le foto ingiallite nel piccolo Museo della Rivoluzione che testimonia gli anni più bui della storia moderna del Nicaragua.
Corn Island. Solo 90 minuti di volo da Managua per trovarsi in un paradiso perduto dove le acque che lambiscono le spiagge bianche sfumano dal turchese al verde latteo, al celeste, sollecitando sogni da Robinson. L’accoglienza all’Arenas Beach Hotel e la prelibata aragosta sfumata al vino bianco e latte di cocco, sono da cinque stelle lusso. Oziando sulla spiaggia su un candido divano all’ombra di un gazebo, è facile sognare che svolazzi via il biglietto di ritorno, allontanato dai freschi venti alisei che sussurrano dolci smancerie alle palme svettanti e inchinate come per accarezzare le acque trasparenti che sembrano rispondere con lievi sciabordi lungo il bagnasciuga.