La mitezza di Miguel D’Escoto, per chi arriva da un paese ricco e potente come l’Italia, sembra contrastare in modo forte con alcuni suoi giudizi netti sulla storia. Basta poi uscire dalla sua casa e attraversare un paio di “quadre” o isolati, come li chiameremmo noi, per trovare bambini scalzi, mezzi nudi e sporchi che giocano tra l’immondizia. Managua, malgrado siano tornati al potere i sandinisti, si presenta ancora come una delle città più brutte e povere dell’intera America Latina. I giganteschi manifesti pubblicitari inneggianti telefonia mobile, auto o fast food che sia, contrastano con quello che avviene sotto i piloni che li sostengono. Immagini di una contraddizione tra una ricchezza ostentata e raggiunta da pochi, e la vita dei tanti disperati senza lavoro e futuro, che Miguel D’Escoto ha il coraggio di guardare dritta negli occhi chiamando le cose con il loro nome. Ci piaccia o meno.
Miguel D’Escoto: “Abbiamo urgente bisogno di un nuovo Onu”
Ci accoglie con un sorriso dolcissimo e inizia a raccontarci dei malanni di un suo caro amico e dei problemi sanitari del suo paese. Miguel D’Escoto è uno dei protagonisti della nuova storia del Nicaragua. È stato ministro degli Esteri del primo governo sandinista dal 1979 al 1990. “L’unico a esser rimasto per tutto il periodo nello stesso incarico”, dice con una punta di orgoglio.
“Io non sono né un diplomatico, né un politico. Sono un sacerdote al servizio del popolo, ma quando il presidente Daniel Ortega mi chiese di impegnarmi nel governo non potevo nascondermi sotto la sottana. Siamo nicaraguensi e siamo uomini, e tutti dobbiamo accettare le nostre responsabilità”.
La sua casa è la testimonianza diretta dell’amore per la cultura del suo popolo e di tutta l’America Latina. In ogni angolo ci sono sculture e le pareti sono piene di quadri e di foto di ogni epoca storica. Gandhi, Fidel Castro, Che Guevara, ma anche immagini che lo ritraggono con i potenti della storia come Bush e altri. Del resto il suo impegno al massimo livello della diplomazia mondiale, con la presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2008 al 2009, lo ha portato a incontrare moltissimi capi di stato.
Torniamo indietro di 31 anni. Con il ricordo più bello di quella stagione rivoluzionaria.
«Era l’unità nella lotta contro l’impero aggressore, la lotta per la sovranità e l’indipendenza. Rischiavamo la nostra vita per la vita del popolo. C’era una forte autenticità e per me, come sacerdote, era vivere nella quotidianità il cristianesimo non solo come ideale. Facemmo un buon lavoro non per le capacità del singolo, ma di tutto il gruppo. Eravamo la testimonianza diretta del popolo in lotta, e quando andavo in giro per il mondo vendendo la rivoluzione non facevo fatica. Non perché fossi un bravo venditore, ma perché avevo un ottimo prodotto. Questo ci permise di vincere la demagogia imperiale».
Come mai divenne ministro degli esteri?
«Il mio impegno iniziò ancora prima della vittoria del Fronte sandinista. Entrai a far parte dell’Organizzazione degli Stati Americani perché mi cedette il posto Panama. Mi trovai così di fronte al ministro di Somoza e a quello statunitense che voleva proporre una forza di pace per evitare la rivoluzione. Fu la prima sconfitta per gli Usa. Una volta andati al potere il presidente Daniel Ortega mi chiese di assumere l’incarico di ministro degli esteri».
Cosa ha fatto dopo la sconfitta del Fronte sandinista alle elezioni del 1990?
«Sono tornato a fare il sacerdote nei quartieri più poveri. Quello che avevo fatto in Cile nel Cerro Blanco di Santiago. Allora, il primo problema, con la vittoria della destra, era la fame. Era importante proseguire nell’azione di formazione perché le persone si rendessero conto dei propri diritti. Un lavoro che avevo già conosciuto anche a Managua dopo il terremoto del 1972. Allora io non vivevo in Nicaragua, ma tornai e fondai una delle prime ONG per la costruzione di mille alloggi per i terremotati».
Da un punto di vista politico quali sono stati i suoi rapporti con il Fronte sandinista?
«Ho sempre fatto parte dell’Assemblea generale, ma poi fui nominato nella direzione del Fronte occupandomi delle questioni internazionali».
Da qui, diversi anni dopo arriva l’importante carica che lo porterà ad assumere la presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2008-2009. Come è stato possibile?
«Non ne sapevo niente e venni informato da un funzionario che mi disse che il presidente Ortega riteneva possibile una presidenza a un nicaraguense. Un evento storico che non si sarebbe ripetuto per i prossimi 200 anni. Non mi tirai indietro anche perché ero certo che non sarei stato scelto. Gli Stati Uniti lavoravano in collaborazione con il Vaticano perché non passasse la mia candidatura. Su questo si impegnarono direttamente diversi nunzi apostolici con i capi di stato di alcuni paesi. Io speravo che vincessero loro perché non era davvero un mio desiderio salire su quella poltrona. Invece alla fine fui eletto per acclamazione e nessuno si oppose. Furono gli stati africani e quelli latinoamericani a proporre questa soluzione. Il Vaticano mi perdonò e alla fine divenni amico del nunzio apostolico all’Onu, tanto che scaduto il mandato venne fatta anche una solenne messa in mio onore concelebrata dal responsabile della mia congregazione»
Come è stata la sua presidenza?
«È stata la più turbolenta (Miguel D’Escoto sorride divertito nel raccontare questi momenti) perché questionava su tutto. Portai all’Onu esponenti politici ed economici mondiali che non avevano mai avuto diritto di parola. È stato un anno di lavoro intenso e so che ora verrà pubblicato un libro a cura di una università americana, e Roberto Salinas sta ultimando le riprese per un film coprodotto da Italia, Francia e Stati Uniti».
Lei sta lavorando a un nuovo progetto per la rifondazione dell’Onu. Come mai?
«L’Onu è una organizzazione fondamentale e non si deve permettere a nessuno di trattarla in modo abusivo come fosse una proprietà privata. La nuova dottrina passata come “responsabilità per proteggere”, tanto invocata di questi tempi, altro non è che un nome diverso per il “diritto” perverso di aggredire e occupare alcuni paesi. Con questo sistema si sovvertono completamente i principi e i valori della carta dell’Onu. Per questo credo si debba ripartire da una nuova organizzazione che metta al centro la pace e la tutela dell’ambiente».
Com’è oggi la situazione internazionale?
«La vostra Europa, Italia compresa, e gli Stati Uniti stanno perdendo tutta la credibilità. Questi ultimi non hanno mai creduto all’Onu e continuano nella loro politica imperiale e non si impegnano per il diritto, ma credono solo alla legge della selva, del più forte. Tutti saremmo incantati se gli Stati Uniti pensassero al bene del mondo intero, alla pace, alla solidarietà e alla giustizia, ma non è così. In questo momento dobbiamo ancora impegnarci per scolonizzare le nostre menti. Dobbiamo farlo perché il modello di sviluppo dei paesi ricchi porta il mondo alla deriva fomentando il desiderio dei popoli a volere sempre di più a qualsiasi costo. Il capitalismo è il peggior peccato e il più grande nemico rispetto agli insegnamenti di Gesù».
Nemmeno con l’elezione di Barack Obama vede possibili cambiamenti della politica statunitense?
«Riponevo grandi speranze in Obama, convinto che il suo potere gli permettesse di cambiare. Oggi dico che è stato solo un grande equivoco. Lui è solo la maschera buona dell’impero, ha ossigenato la speranza dei popoli, ma è stata tutta una grande bugia. Gli Stati Uniti non vogliono la pace perché necessitano della guerra per realizzare la propria ragione di essere che è il controllo e la supremazia totale e assoluta del pianeta».
Il suo progetto prevede dei nuovi organismi, ma soprattutto la centralità della pace e l’abbandono di ogni intervento armato. Alla luce anche dei recenti fatti come la Libia, come pensa possa essere approvato un simile documento?
«Ho lavorato a lungo sul testo avvalendomi di tanti collaboratori. Oggi questo progetto è già in discussione tra tanti capi di stato. Vogliamo che venga approvato e assunto come proprio dal G77, il gruppo dei 140 paesi del terzo mondo. A quel punto alcuni lo presenteranno all’Assemblea generale, ma avremo i numeri per far passare la proposta. se seguissimo un iter diverso tutto si impantanerebbe».
Che tempi richiede l’approvazione?
«Ci vorranno due anni, che sono niente rispetto ai tempi a cui siamo abituati alle Nazioni Unite. Dobbiamo muoverci perché abbiamo bisogno dell’Onu, è indispensabile però che si lavori per la salvezza e non la morte della nostra Madre terra».
Quando D’Escoto si alza, con una punta di orgoglio indica un’imponente scultura. “Lui è uno dei più grandi ceramisti vivente”. Da lì si sofferma a guardare un angolo della stanza dedicato ai disastri nucleari. C’è la Madonna di Hiroshima e con questa alcune immagini di morte che contrastano con l’allegria dei colori che invadono la casa. Il suo studio è pieno di libri e di fotografie. Si sofferma sorridente di fronte a un Castro visibilmente invecchiato e sofferente. Tra i due c’è un sincero abbraccio vicini a una bella signora bionda. “Lei è la moglie di Fidel. Non si fa mai fotografare, e questa è davvero rara”.