Eleonora Resteghini ha 25 anni e dal 2015 gioca a rugby, uno sport che ha cambiato la sua vita.
Il rugby, uno sport per veri uomini…ma anche per vere donne! A raccontarlo a YAAAS è Eleonora Resteghini, che da sette anni pratica questo sport con grande impegno e passione. Un gioco che è diventato una parte fondamentale della sua vita.
“Ho incontrato per la prima volta questo sport nel 2014, perché avevo numerosi amici che giocavano nel rugby Varese. Mi sono avvicinata al rugby come spettatrice: andavo alle partite, ma capivo poco del gioco – racconta – La mia prima esperienza viene dunque dagli spalti, dove nel tentativo di comprendere le regole di questo sport, ho avuto diversi confronti con tifosi, giocatori e altri ragazzi appassionati”.
Un anno dopo alcune amiche di Eleonora, già giocatrici delle Amazzoni, quella che allora era la squadra femminile del rugby Varese, la convinsero ad andare a provare: “Io non mi sentivo portata, ero la classica varesotta con le unghie sempre laccate di smalto, non sopportavo l’idea di essere truccata male e mi piaceva vestirmi in modo appariscente. Non credevo di poter essere me stessa anche all’interno di un campo da rugby – prosegue – Una volta provato, mi sono completamente innamorata”.
“La mia esperienza in ambito rugbistico parte dalla mia città, la città di Varese”. Successivamente, dopo quattro anni nelle Amazzoni, per diverse situazioni logistiche, la squadra femminile ha lasciato Varese per spostarsi nella società dell’Amatori Tradate.
Il ruolo di Eleonora è il mediano di mischia, il giocatore che deve avere la visione di gioco migliore e guidare le azioni dei propri compagni sul campo: un punto di riferimento durante il gioco.
“Giocare mediano è il ruolo in cui mi sento più sicura e per questo devo ringraziare Valentina Virgili, ex giocatrice della Nazionale, mia ex allenatrice, mia attuale compagna di squadra. Mi ha formata e mi ha fatto prendere coscienza di molte qualità di cui prima non ero a conoscenza. Giocare nel mio ruolo mi fa crescere come persona, perché mi ha permesso di constatare di quanta fiducia avessero le altre persone nelle mie scelte, cosa che mi ha aiutato anche nella vita”.
Prima che la pandemia dilagasse a macchia d’olio nel nostro paese, portando alla necessaria sospensione di tutti i campionati, la squadra di Eleonora era iscritta alla competizione di Coppa Italia di Rugby a Sette. Le regole imposte dalla federazione prevedono che, a differenza di altre categorie, le squadre femminili iscritte alla Coppa Italia giochino in metà campo, senza quindi la presenza dei pali, in uno spazio nettamente più limitato di un campo regolamentare.
“Il Seven è un percorso formativo, attraverso cui prendere coscienza e conoscenza dei mezzi che si possiedono – spiega – Da questo passaggio, molte squadre possono crescere e ottenere molte soddisfazioni. A mio avviso la scelta della federazione di far giocare la Coppa Italia femminile in metà campo è valida: rende il gioco più inclusivo e non ha come discriminante delle competenze tecniche e la preparazione atletica e tutti i prerequisiti importanti di cui necessita una squadra in una competizione di Seven giocata a tutto campo e che non tutte le squadre possono avere”.
Non è un segreto per nessuno, purtroppo, il fatto che il mondo dello sport femminile sia costantemente soggetto a pregiudizi e discriminazioni. Spesso è come se critica e progresso viaggiassero su due linee parallele, senza mai riuscire a far prevalere la parte più corretta, più sensata – quella della parità – sulla parte più dispregiativa.
“Purtroppo, nel 2021 le discriminazioni sono all’ordine del giorno – racconta Eleonora – penso che queste però non debbano per forza di cose essere legate ad un’etichetta. Noi stessi facciamo una distinzione tra “giochi da maschi” e “giochi da femmine”. A parer mio, bisogna educare i ragazzi e le ragazze fin da piccoli, bisogna in qualche modo far capire anche ai genitori che non devono essere loro a fare le scelte “più corrette” per i propri figli. A me piace vedere bambine sui campi da rugby, perché quando un bambino viene educato libero dal dogma della netta distinzione di genere, in campo non trova differenza nell’avere un bambino o una bambina come avversario o compagno”.
Una delle problematiche che si riflette maggiormente sul mondo sportivo femminile, è quella del costante e non necessario bisogno delle persone che si trovano fuori dal campo, fuori dalla squadra, di voler sottolineare a tutti i costi la questione dell’orientamento sessuale, cosa che contrariamente, non avviene per gli sport maschili.
“Questo è l’aspetto in cui ho trovato la più grande chiusura mentale. Spesso una donna che fa sport di contatto viene automaticamente etichettata come omosessuale. Non interessa a nessuno l’orientamento sessuale dell’altra. E’ paradossale: come se una ragazza scendesse in campo con l’unico intento di provarci con le altre giocatrici. Se scende in campo, lo fa per il mio stesso motivo: ama lo sport, i suoi benefici e si sente realizzata a livello personale”.
Il problema che trascina con sé il pregiudizio è quello della creazione di canoni e standard entro i quali una ragazza deve rimanere per sentirsi socialmente “a posto”. Così facendo, spesso capita che una ragazza interessata ad attività considerate dall’opinione pubblica prettamente o quasi totalmente maschili, si senta non adatta a tentare, ed è portata a porsi da sola dei limiti. “Ciò che vorrei per il futuro del mio sport è vedere le ragazze desiderose di provare, scendere in campo senza farsi frenare dal fango, dalla fatica e dai pregiudizi”.
“Noi siamo l’unica squadra di rugby femminile nella provincia di Varese. Il problema principale per noi è sempre quello di trovare nuove giocatrici e come poterle inserire all’interno di un contesto che è completamente diverso da come ci si aspetta – conclude – pur essendo molto attaccata all’idea dello sport praticato sul proprio campo di gioco, che diventa in qualche modo la tua casa, mi piacerebbe che si organizzassero degli eventi dove bambini, ragazzi e ragazze potessero venire a provare il rugby, unendo la bellezza dello sport alla bellezza del nostro territorio”.
di Francesca Marutti