Federico Civelli ha raccontato a YAAAS il lavoro e la storia della band varesina.
Federico Civelli, Paolo Gesualdo, Simone Evar, Tommaso De Bortoli: i Ness sono un gruppo musicale alternative rock, composto da quattro giovani talenti della provincia di Varese: hanno iniziato a fare musica facendo cover e da tre anni suonano pezzi inediti. “You” è il loro ultimo singolo.
“I temi principali dei nostri testi sono introspettivi, relazionali. Il nostro primo inedito è “Whirlwind Romance”– racconta Federico, chitarrista – parla della sensazione di sentirsi esclusi, rifiutati. “You” vuole esprimere un desiderio di rivalsa su una persona che ti sta soggiogando mentalmente. Mi piace molto giocare con i testi, rimanere a cavallo tra la realtà effettiva e la sua percezione: ad esempio, non capire se sei davvero rifiutato o sei tu a sentirti così”.
Come avete affrontato i vari lockdown e le restrizioni dovute alla pandemia?
“Diciamo che ci andata relativamente bene. Dovevamo registrare. Il covid ci ha rallentati certamente, ma lavorando a casa e non servendoci di studi di registrazione, in un modo o nell’altro siamo riusciti a farlo. Il torto peggiore che la pandemia ci ha fatto è stato quello di portare alla cancellazione di alcuni contest a cui stavamo partecipando.
“In questo momento stiamo lavorando ad altri singoli, tutti autoprodotti in casa da noi e Giacomo De Bortoli, il nostro producer. Anche le grafiche sono create in collaborazione con nostri amici: ad esempio la grafica di “You” è stata creata da Manuel Panzeri, che ha fotografato Fia, la ragazza di Tommaso, il nostro cantante, ed è stata editata da un altro amico, Gianmarco Avigni. E’ un lavoro che coinvolge tante persone e che sottolinea la bellezza di aiutarsi tra amici”.
Cosa significa essere una band di ragazzi e voler fare musica nel 2021?
“Non è semplice. Vuol dire divertirsi, vuol dire trovarsi in saletta a provare e suonare prima i pezzi degli altri, per poi iniziare a mettere tutte le proprie idee assieme. Creare qualcosa. E’ anche una lotta: proponi qualcosa che magari a te sembra sensazionale, ma che agli altri non piace. Si discute. E’ sintomo di come tutti ci credono e ci tengono a fare le cose bene perché spinti dalla passione e non da fini economici. Non si fa per diventare ricchi e famosi, si fa per passione”.
Vorreste un giorno fare della musica il vostro mestiere?
“Due di noi, Simone e Tommaso, il batterista e il cantante, studiano al conservatorio. Io sto studiando musica e vorrei orientarmi in quella direzione. L’idea è quella di diventare dei professionisti nel settore”.
Come vedi Varese confrontata a questa realtà della musica e dei giovani?
“Ogni artista necessita di situazioni in cui c’è pubblico. A livello di opportunità, di feste, festival, concerti, a parte la festa del rugby e qualche altra situazione “di nicchia”, a Varese non c’era molto prima della pandemia. Adesso naturalmente le possibilità si sono completamente azzerate. Ma credo che il problema non appartenga a Varese in sè. In Italia non esiste la cultura della musica dal vivo come invece la troviamo in Inghilterra e altri paesi, europei e non. Loro hanno un concetto di festival che vede enormi concerti pieni di artisti emergenti e non. Noi abbiamo un concetto di festival che si rifà a Sanremo, non facilmente accessibile e limitante”.
di Francesca Marutti