“Trovo coraggioso e romantico il concetto di “crearsi” da soli: parti da un ragazzo che scrive le rime su basi che non gli appartengono, che sta imitando un’attitudine, uno stile, cosa che lo porta a crescere, ad evolversi, fino ad arrivare ad un progetto musicale concreto e reale”.
In attesa della diretta Instagram che lo vedrà protagonista questa sera alle 21:00 su @yaaasnotiziagiovane, Giovanni Satta, in arte Chicchi Di Riso, ha condiviso con YAAAS qualche anticipazione sul suo progetto musicale e sulla musica nel contesto Varesino, che – soprattutto quando riguarda i giovani – difficilmente riesce ad emergere.
“Chicchi Di Riso è un progetto Urban Rap che nasce nel 2017. – racconta – Quando si parla di Urban si intende una tipologia di suono che riprende una cultura e che richiama uno stile specifico, che è quello dello Street”.
Come hai iniziato e come si è sviluppato il tuo percorso musicale fino ad oggi?
“Pubblicai un mixtape: arrivavo dal niente, non avevo neanche mai tenuto in mano un microfono. Quando non hai mezzi e non hai chi registra, né chi ti produce, cosa puoi fare? Vai a prendere delle basi strumentali di pezzi già noti – letteralmente le rubi – e ci scrivi sopra qualcosa che sia tuo. Vai in studio e registri. Così da poter avere in mano qualcosa di concreto. Il mio primo pezzo, “Chiamami”, parte da una base strumentale di Tyler The Creator, che per me è un Dio della musica. Da quel punto di partenza ho cominciato a crescere, ho cominciato a ragionare su produzioni, collaborazioni, fino ad arrivare a pubblicare un EP con basi create in collaborazione con altri artisti. Ora sta per uscire un album con basi originali create da me, completamente autoprodotto. Trovo coraggioso e romantico il concetto di “crearsi” da soli: parti da un ragazzo che scrive rime su basi che non gli appartengono, che sta imitando un’attitudine, uno stile, cosa che lo porta a crescere, ad evolversi, fino ad arrivare ad un progetto musicale concreto e reale. Qualcosa che sia tutto suo”.
Dal punto di vista della produzione musicale, come hai vissuto i vari lockdown e le restrizioni dovute alla pandemia?
“Onestamente i lockdown li ho vissuti bene: sono una persona che ha tante passioni e tante idee e la musica non è il solo progetto che ho in ballo. Ho sempre lavorato nell’ambito della ristorazione e la pandemia mi ha portato via da quel mondo, dalla sala del ristorante, mi ha costretto a stare a casa. E stare a casa ha significato produrre tantissima musica. L’album che uscirà è nato e si è sviluppato grazie al virus”.
Cosa significa voler fare musica a Varese?
“Significa avere qualcosa da dire. Varese è una realtà chiusa, senza voce, senza sbocchi. Se decidi di fare musica nonostante queste premesse, lo fai perché ci credi dieci volte più degli altri. Che tu abbia talento e che tu riesca a sfondare o meno, è un altro conto. Di sicuro significa avere più fame degli altri”.
Cosa dovrebbe fare in più Varese per i giovani?
“Casomai, cosa dovrebbero fare in più i giovani per Varese! La nostra città sarà anche di mentalità “anziana”, ma il difetto principale siamo noi. Io mi includo, non voglio fare il fenomeno. I giovani che si muovono nell’ambito artistico ci sono e sono davvero tantissimi, ma la maggior parte di loro emigrano, con la scusante che nelle grandi città il movimento è diverso, ci sono più possibilità. Per me dovrebbe accadere il contrario: sono i giovani che devono cambiare la realtà che li respinge. Cosa pretendiamo da Varese? Che i cinquantenni improvvisamente si accorgano di noi, di quanto vale la nostra musica? Pretendiamo che da un momento all’altro comincino a considerarci? No, dobbiamo essere noi a lottare per emergere”.
di Francesca Marutti