Tra passione e pregiudizi il racconto del calcio femminile per Martina e Michela
Martina Margiani e Michela Di Giorgio sono entrambe sono giocatrici della Ceresium Bisustum, squadra di calcio femminile di Porto Ceresio
Martina ha iniziato a giocare a calcio a 10 anni, una passione che le ha trasmesso suo padre, portandola fin da piccola allo stadio a vedere le partite della sua squadra del cuore. Michela gioca da 10 anni, e fin da bambina ha tirato calci al pallone con i suoi fratelli e amici, appassionandosi sempre di più. Entrambe sono giocatrici della Ceresium Bisustum, squadra di calcio femminile di Porto Ceresio.
Che tipo di ambiente è quello della vostra squadra?
“Nella squadra come nella vita ci sono persone con cui vai d’accordo, con altre meno, ma quando si entra in spogliatoio e in campo, c’è coesione. Siamo tutte differenti e ognuna con il proprio carattere. Penso che far parte di un gruppo ti formi anche come persona fuori dal campo”.
Cosa significa essere una ragazza che gioca a calcio, uno degli sport maggiormente considerati prettamente maschili?
“Siamo fortunate a giocare a calcio negli anni in cui il fenomeno inizia a svilupparsi e il calcio femminile ottiene sicuramente più riconoscimenti rispetto a prima – racconta Martina – c’è ancora tanto lavoro da fare, ma lentamente sta acquisendo sempre più visibilità.
E’ chiaro che non si possa fare un paragone tra calcio maschile e femminile, soprattutto se si parla di professionismo. In Italia la mentalità è ancora molto ristretta: molte bambine e ragazze fanno fatica ad iniziare perché la mentalità comune vede il calcio come uno sport prettamente maschile. La verità è che le donne che giocano a calcio non vogliono avere pari stipendi o investimenti. Vogliono solo non soffrire più del paragone con il calcio maschile.
Di pregiudizi ce ne sono tanti, di cui uno dei più diffusi è senza dubbio quello sull’omosessualità – prosegue Michela – Ci sono genitori che temono di far avvicinare le proprie figlie al mondo del calcio, perché convinti che ogni pratica sportiva conosciuta principalmente come maschile, se aperta alle ragazze, crei per forza di cose squadre di ragazze lesbiche, perché nella loro visione contorta ogni lesbica è una donna che vuole fingere di essere un uomo. Noi abbiamo conosciuto molte ragazze che avrebbero voluto iniziare a giocare, ma a causa dei pregiudizi sessuali delle loro famiglie, gli è stato impossibile. Per queste persone e la loro mentalità sbagliata, l’omosessualità oltre ad essere un fatto negativo, è anche e soprattutto fonte di cattiva influenza. Come se si parlasse di una malattia infettiva. Cosa che oltre ad essere estremamente ignorante ed offensiva, tocca anche i limiti dell’assurdo. Le donne spesso sono sottovalutate e considerate più deboli rispetto agli uomini. Quando poi entriamo nel loro privato e fragile ecosistema di abitudini e passioni, tra le quali lo sport, è come se andassimo ad intaccare la loro virilità, soprattutto se finiamo con il risultare brave quanto loro. A questo proposito, quando ero piccola avevo provato ad allenarmi nella società del mio comune e purtroppo il mister spesso mi escludeva e non mi lasciava fare molto durante gli allenamenti. Questo, perché sono una ragazza”.
In che modo secondo voi il calcio femminile dovrebbe essere valorizzato in Italia?
“L’unico modo giusto e reale per valorizzare il calcio femminile, è renderlo uno sport come tutti gli altri. Si dovrebbe arrivare ad un punto in cui una persona non rimane stupita se una ragazza gioca a calcio. In più, è giusto incentivare le società nate come unicamente maschili ad evolversi in questa direzione”.