Laurel Hubbard e il peso della lotta ai diritti: la sportiva che ha fatto parlare il mondo
Laurel Hubbard, tutti ne parlano, tutti la vogliono, ed è questo il nome dell’ormai famosa 35enne sollevatrice di pesi Neozelandese che parteciperà alle Olimpiadi di Tokyo che si terranno il prossimo 23 Luglio.
Olimpiadi originariamente fissate per il 24 luglio 2020, ma poi posticipate a causa della pandemia, meritandosi così il titolo di “prima olimpiade della storia ad essere posticipata” e, tornando ad Hubbard, anche lei si aggiudica un primato, quello di “prima persona apertamente transessuale a partecipare alle olimpiadi”.
Si, perché alla fine, la storia gira tutto intorno a questo, una donna che partecipa alle olimpiadi, nella categoria femminile, una storia talmente sconvolgente da aver mosso la stampa di tutto il mondo, povera Hubbard, andata lì per sollevare pesi ed invece si è ritrovata a sollevare un polverone di polemiche.
Le persone transgender possono partecipare alle Olimpiadi dal 2015, secondo quanto deciso dal IOC (International Olympic Committee – Comitato Olimpico Internazionale), solo se il livello di ormoni, testosterone in caso di persone MtF (maschio a femmina), siano sotto i 10 Nanomoli per litro per un periodo minimo di 12 mesi e questo ha causato parecchio malcontento tra le atlete cisgender poiché il livello di testosterone nelle donne biologiche si aggira tra lo 0,12 e l’1,79 nmol/L.
Il governo neozelandese non ha voluto saperne e ha spalleggiato la loro atleta difendendola da qualsiasi accusa, portando avanti una campagna di inclusione su tutti i livelli.
“Oltre che essere una delle migliori al mondo nel suo campo, Laurel ha superato tutti i criteri richiesti dal IWF e anche quelli richiesti dal IOC per le atlete Transgender” ha dichiarato Kereyn Smith, capo della Commissione Olimpica per la Nuova Zelanda.
“Capiamo che l’identità sessuale nello sport è un tema complesso e sensibile e che richieda un bilanciamento tra diritti umani e la correttezza nel campo di gioco” ha aggiunto.
“Come squadra della Nuova Zelanda, abbiamo una cultura di ‘manaaki’ (rispetto), inclusione e rispetto per tutti, molto radicata.”
Nello sport ad alti livelli le donne transgender sono una minoranza sostanziale: non bisogna dimenticarsi di tutte le difficoltà sociali cui sono soggette già nella vita di tutti i giorni e per questo comprendere quanto per questa atleta poter gareggiare alle olimpiadi in quanto donna sia una vittoria. Non si tratta di un traguardo, ma di una partenza, perchè le Olimpiadi sono l’emblema di tutti i valori dello sport e il sinonimo di sport è inclusione.
di Isotta Panfilio