Il rapporto europeo TEEB - The Economics of Ecosystems and Biodiversity – sugli ecosistemi e la biodiversità mette in risalto il costo economico e sociale del mancato rispetto dell’ambiente. E le cifre sono preoccupanti, perché quelle che fino ad oggi sono state chiamate esternalità, ovvero le ricadute negative dell’azione dell’uomo in vari ambiti - e quindi anche sul clima e la biodiversità -, possono essere quantificate con un dato economico preciso: il 6% del PIL mondiale dei prossimi anni.
Fino ad oggi questo conteggio non è stato effettuato perché le risorse naturali non essendo di proprietà di nessuno (o di tutti, secondo i punti di vista…) non sono rientrate in un conteggio economico. Ma le devastazioni ambientali hanno evidenti ricadute sia a livello economico sia a livello sociale, specie per le popolazioni economicamente più povere, residenti nei Paesi asiatici e africani, che dipendono maggiormente dagli ecosistemi che si stanno corrompendo.
In realtà, al di là delle ricadute sulle popolazioni più povere, ci sono equilibri a rischio che interessano tutti. I farmaci, ad esempio: di tutte le molecole antitumorali in commercio, il 42% è di origine naturale, il 34% è seminaturale, ma il 70% delle specie vegetali censite è a rischio di estinzione. Le foreste e il carbonio non assorbito: è proprio questo l’ambito che porta alla perdita del 6% del pil mondiale, pari a tremila miliardi di dollari. Il calcolo è effettuato in base al valore per ettaro dell’assorbimento di carbonio a diverse latitudini. Su questa partita una delle proposte che emerge dal TEEB è pagare affinchè non vengano più tagliate le foreste. Il beneficio sarebbe duplice: preservare l’ambiente e le ricadute sociali ed economiche sulle popolazioni abitanti le zone forestali e limitrofe ee allo stesso tempo assorbire una quantità di CO2 che nessuna tecnologia alternativa sarebbe in grado di assorbire.
Non ultime le barriere coralline: preservare un 20% in più di superficie marina alimenterebbe i ricavi tra i 70 e gli 80 miliardi di euro l’anno, contro i 270 milioni che andrebbero a perder le società che fanno parte dell’industria della pesca.