Una bella stagione che tarda ad arrivare, una Milano monotona e troppo immersa nella mediocrità. Da tempo, troppo tempo. Ora, è tempo di elezioni: la gente non ne può più della politica, quasi la odia, eppure non si parla d’altro per imposizione dei media. Lo starnazzare senza ritegno di candidati di ogni schieramento lascia pochi spazi di serenità per chi vuole ragionare davvero in libertà sull’attualità. Non resta che rifugiarsi, in attesa della primavera, nelle oasi inviolate, quelle della letteratura. Ci sono isole talmente estranee dalla ricerca del consenso che nessun politico oserebbe avvicinarvisi. Anche se, in nome dell’immagine, c’è qualche eccezione. Fa molto “in”, oggi, parlare per esempio di Alda Merini. Ancora meglio se alla presenza di giornalisti e a un comizio, oppure davanti a una targa ricordo e a un nastro tricolore da tagliare.
Ma il politico ,si sa, non guarda alla sostanza, ma all’effetto che fa (televisivo e pubblicitario). E così, per nostra fortuna, non si addentra fino al cuore, all’essenziale della poesia. Lì, dentro quell’isola, c’è ancora libertà vera.
Ruba a qualcuno la tua forsennata stanchezza
o gemma che trapassi il suono
col tuo respiro l’ombra che sta ferma
di fronte ad un porto di paura
quel trascendere il mito
come se fosse forzatamente azzurro
o chi senza abbandono
che non sanno che il pianto dei poeti
è solo canto.
Canto rubato al vecchio del portone
rubato al remo del rematore
alla ruota dell’ultimo carro
o pianto di ginestra
dove fioriva l’amatore immoto
dalle turbe angosciose di declino
io sono l’acqua che si genuflette
davanti alla montagna del tuo amore.
(Alda Merini)