La democrazia è in pericolo, si discute e ci s’infervora sui treni fermi. Ormai non c’è più gusto nel prendersela con le ferrovie dello stato, o le nord, o con il Padre Eterno. La periferia di Parabiago, desolata e annebbiata, con la neve che copre parzialmente il grigio, non trasmette che poche e fugaci emozioni: dentro uno scompartimento che manda odore di chiuso, la fantasia non riesce ad andare oltre le pagine di un giornale, al massimo arriva a sbirciare nella scollatura lontana di una viaggiatrice disorientata e accaldata, tre file di sedili più in là. La giusta distanza per non dare dell’occhio. Cellulari che squillano con musichette di ogni tipo, gente che non ha più voglia d’incazzarsi e guarda il vuoto pensando al nulla o alla democrazia a rischio: «Ma quale democrazia – grida un viaggiatore -, mi salta un esame universitario, e non c’è decreto che mi aiuti». La ferrovia era simbolo di progresso, correva la locomotiva, oggi è simbolo di un Paese fermo, contro il quale i pendolari non hanno più nemmeno la voglia di reagire.
Mille vite con mille strade diverse, che messe su foglio farebbero lo scarabocchio di un bambino. Mille righe che convergono nello stesso punto e lì si fermano, senza nulla da dirsi. Ognuno avrebbe occasioni irripetibili per conoscere chi gli sta di fronte e parlare un po’ di sé: comunicare. In treno, non si comunica, ci s’imbarazza della propria immobilità. Si sta fermi dentro una realtà circoscritta da un abitacolo di plastica e lamiera, riscaldato dall’aria viziata da troppe persone con ancora il mattino in bocca, quell’odore misto di sonno e caffè.
C’è un docente di non so quale materia che annuncia via sms a un preside di Milano che, stamane, non arriverà: e già m’immagino la festa di una classe di studenti che si ritrova un paio d’ore buche per attività extra. C’è una studentessa che ripete ad alta voce nozioni di economia politica, come stesse recitando un rosario: non mi ha mai interessato la materia, ma in mancanza di altri spunti cerco di carpire qualche concetto. C’è chi sonnecchia davanti a un libro di Don Andrea Gallo, “Come in cielo, così in terra”, e leggendo in modo clandestino qualche riga di sfuggita, mi accorgo di avere oggi qualcosa di che spartire con gli ultimi e i dimenticati citati dal sacerdote genovese. Io soltanto per una mattina, però. Mentre i più attrezzati picchiettano sulle tastiere di minuscoli computer portatili, una signora compila la lista della spesa e alla prima voce, intravvedo, ha messo carta igienica.
Tra quelli che viaggiano in coppia, qualcuno legge ad alta voce le ultime notizie, recuperate su internet grazie all’I-phone: quello là, quello del legittimo impedimento, ci invita all’ottimismo, stamane. Il capotreno, che in quel momento rappresenta le istituzioni (quelle ferroviarie) ci annuncia con il sorriso fiero che il nostro localaccio sarà il primo treno a partire dalla stazione di Parabiago, non appena la linea verrà ripristinata: tutti, istintivamente, si affacciano ai finestrini per constatare che, in realtà, il nostro primo treno è anche l’unico lì fermo.
C’è pericolo per la democrazia? A leggere i giornali, a leggere le ultime dichiarazioni, il problema non esiste già più: tutto è ottimismo, democraticamente imposto per decreto. E allora, comincio a pensare che i 130 minuti di ritardo annunciati per il mio treno si possano facilmente ricomporre con il mio capoufficio grazie a un provvedimento interpretativo che mi consenta di affermare che, spiritualmente, anche questa mattina ho fatto il mio ingresso in ufficio alle 8, come sempre, e non alle 10,45 come probabilmente avverrà. Nella vita l’opinioni ad effetto fanno girare il mondo, i fatti non contano più.
Come diceva Flaiano, in Italia non esiste una verità, ma infinte versioni: e così, a bordo di un treno immobile e sperduto nel mezzo di una provincia, Parabiago non è poi così male, se soltanto pensassi a un pendolare di Calcutta, in questo momento.
E in un mondo ossessionato, anzi addirittura surriscaldato dal movimento, restare fermi su un binario fa addirittura bene al pianeta: grazie a me e a una carovana di sfigati, questa mattina Milano sarà un po’ meno inquinata. Quando si dice ottimismo…
In barba agli sardntard. Voi proseguite cosi, assieme. Forza alla mamma! affinche possa trovare sempre l’energia per andare avanti. Ma anche, Urra! Per tutto quello che siete riusciti a fare
I tuoi “treni” sono una versione della veritá che mi piace sempre leggere. C’é un fondo di malinconia… forse rassegnazione?