Odio i refusi, mi fanno arrabbiare sia come lettore, sia come scrittore. Sono il segno tangibile dell’esistenza del maligno: una manifestazione diabolica, che si fa beffe della bellezza e della nobiltà dei sentimenti. L’ispirazione traccia i contorni, tende alla perfezione, la scrittura forgia la materia e dà vita all’opera: poi, il diavolo ci mette lo zampino. Un po’ come un writer che imbratta Fontana di Trevi. La svista, l’errore di battitura, il lapsus, la gaffe sono i segni della stanchezza dello scrittore: e un libro come Dove finisce Milano, nato sui treni, alla fine di giornate stressanti, è la vittima ideale per il diavolo imbrattatore. Lo sapevo, ne ero preparato. Ma il refuso, assolutamente diabolico, spesso si cela, si rende invisibile agli occhi di correttori di bozze dai buoni sentimenti. E il maligno si diverte a prendere di mira gli scrittori soli, quelli che si affidano al fai da te o alla pazienza della moglie: se a volte va a segno persino sui libri di super autori circondati da decine di ghost writer, una preda solitaria come un narratore esordiente è un bersaglio facilissimo. Colpisce e s’inabissa, lascia che i refusi emergano, a sorpresa, quando meno uno se l’aspetta. Come nel gran giorno del salone di Torino: Franzetti incontra Scurati, momento alto per la cultura della sponda magra. In Dove finisce Milano c’è un racconto ispirato al grande scrittore e c’è pure una citazione, con nota a margine.
A Torino, Franzetti incontra Scurati e da una stretta di mano si passa subito a un confronto e a uno scambio di complimenti. Momento clou: Scurati chiede a Franzetti una dedica sul suo libro. Tutto vero. E Franzetti, timido e impreparato, si fa prestare una Bic da un fan (di Scurati) e mette giù due righe banali, ma importanti: “Ad Antonio Scurati, con stima”. Sì, tutto vero: perché Franzetti ritiene davvero che Scurati sia tra i pochissimi autori italiani a far letteratura. Letteratura che studia e fa riflettere sui mali del nostro tempo, frutto di uno spessore culturale, al contrario di molti celebrati autori che misurano la propria bravura a litri di sangue sparsi gratuitamente tra le pagine. Scurati ha rispetto della vita e della morte, e nelle sue storie non sacrifica uomini e donne protagonisti solo per il gusto morboso delle logiche commerciali.
Scurati si riprende Dove finisce Milano, lo tasta, lo sfoglia con piacere, fa scorrere le pagine, fino a quella nota a margine, giù in fondo al libro. Finché il diavolo…: «Comunque, io mi chiamo Antonio. Non Pietro». E mentre Franzetti sbianca, Scurati prova a consolarlo con una pacca sulla spalla.
Ecco cosa non vedrete nella seconda ristampa, ma almeno ho avuto il coraggio di raccontarlo.