Lo strano caso di mister F

Dopo lungo silenzio, causa Giro d’Italia, dove un pendolare si è illuso di diventare un reporter d’assalto, riprendo il mio blog, con una piccola sorpresa. Iniziano da qui, le inquietanti avventure di uno scrittore di provincia, in cerca di misteri e delitti.

Scrivo raccontucci, solo quelli. Destino segnato, praticamente compromesso, per un sognatore che pigia sui tasti solo per inventare piccole storie, storie che prendono vita come uno zampillo da una sorgente, ma che si esauriscono nello spazio di un ruscello, con poche rapide, tortuose, fragorose, ma senza l’ambizione di scorrere fino all’orizzonte, dentro il grande mare della letteratura. “Non c’è futuro, Jack” mi verrebbe da dire al barista di un locale fumoso e che diffonde accordi blues, scenario ideale per la notte di ogni intellettuale che si rispetti: ma sono rovinato anche nell’immaginario. Perché nei locali hanno tolto il fumo, niente atmosfere da vecchi bohemiens, oggi nei bar si può respirare a pieni polmoni, con tutti quei profumi artificiali, di cocktail fatti di polverine e colori. E il tabacco che prima soffocava eccessi di ascelle mai lavate, alla fine di un giorno, oggi non c’è più. Puzza vera e profumi falsi, Jack oggi sarebbe dietro a un bancone troppo raffinato per me. Non c’è futuro nell’immaginario di un pallido scrittore: anche perché la mia notte si trascina su un tavolo di provincia, nella pace, troppa, di un paese d’altri tempi, che di notte dorme, o al massimo si rincoglionisce davanti a un talk show: un nido, al termine di una lunga giornata da pendolare. La mia città non è vissuta, ma immaginata. La Milano che brulica di storie da best seller è laggiù, quasi all’orizzonte, dietro i palazzi del Gallaratese, dietro le gru che tirano su cemento. Milano comincia laggiù e io qui, nella quotidianità di una vita da pendolare che si spinge fin sotto a un inceneritore, ma non va oltre Pero. E non ci possono essere storie da best seller in un posto che, per dispetto, gli hanno dato il nome di una pianta da frutto: ben mi sta, perfetto per i miei raccontucci, ma per il noir da premi e prime pagine ci vuol altro: Pero non è New York, l’Olona non è il Tamigi, il mare qui è un’illusione, non come a Vigata. Niente Pigalle o Montmartre per far muovere e uccidere ballerine… Anche Paperopoli sarebbe meglio di Pero, per un grande intrigo, quello che fa eccitare editori e inturgidisce l’estro dei critici: ma anche un noir di serie B vale la consacrazione di uno scrittore di raccontucci. Tuttavia, non mi è mai riuscito di far morir nessuno e senza un assassino, non ho scampo.
“Vivi e lascia vivere”, c’era scritto su un finestrino del treno, stamane. Gesto estremo di un teppista depresso. Segno del destino o beffa? Vent’anni di viaggi, milioni di “viva la figa” scarabocchiati in ogni angolo di carrozze e un filosofo, che ha voluto avvertire proprio me, mentre mi sforzavo di trovare un delitto per far decollare la storia che può entrare in classifica. I miei serial killer li devo scovare per forza lì: o tra quei vagoni zozzi, o dentro a un tunnel della metropolitana che non entra a Milano, ma mi scarica prima, o in un minuscolo reticolo di strade della Gotham city dei miei raccontucci, Pero town.
Casa-ufficio, teatro di un thriller che è ancora tutto da inventare, ma che deve per forza nascere lì: e dall’uscita della metropolitana al lavoro ci sono cinque minuti tra case, finestre, piccoli giardini ideali per seppellire cadaveri e prove, e volti diffidenti. I diffidenti vanno benissimo: o come vittime, o come serial killer. All’ombra dell’inceneritore, dal secondo piano di un condominio, c’è una casalinga che mi fissa con un’aria quasi di disprezzo. Una così non può che essere perfetta per diventare un’insospettabile Crudelia: alzando lo sguardo cerco di cogliere i tratti essenziali della sua figura. Perfetta, una casalinga diffidente, che disprezza e uccide: sì, signora, la sto guardando. Lei sta per entrare nel mio romanzo.
Ma Pero è un paese di cani, prima ancora che di serial killer: troppi cani, bastardi e soprattutto incontinenti. Pronti a devastare le suole di chiunque: e stamane è toccato a me e alla mia scarpa casual “soft” da scrittore di provincia e camminatore. Lei casalinga del secondo piano, sappia che ci rivedremo: sì, ho pestato una merda, che ha da guardare? Tanto ci rivedremo.