Sì, lo so, è davvero di cattivo gusto lasciarvi in sospeso per una settimana, con quel fotogramma dello stronzo pestato. Avevo promesso di aggiornarvi giorno per giorno, ma la mia inaffidabilità come blogger è arcinota: non ho mai fatto mistero, tuttavia, dei limiti di questo strumento. Prendetela così, sarà inaffidabile, ma credibile: insomma, non mi è mai venuta la tentazione di fingermi una dissidente siriana con tendenze lesbiche.
Ma torniamo a quella scarpa devastata: sarebbe più soft il termine imbrattata, ma con quel si mangia Fido, di questi tempi, con tutte quelle pappine e bocconcini ultrafinti, super pubblicizzati in tivù, il risultato è semplicemente devastante per la suola di ogni scarpa. Un uomo disperato, già alle otto del mattino, prova a reagire, sfregando la suola nervosamente e a lungo sull’erba di un piccolo parco giochi lì vicino, a duecento metri dall’ufficio. Ma sicuramente non sarà sufficiente a eliminare tutte le tracce e le conseguenze si faranno sentire fin da subito, sotto la scrivania, striscianti fino alle narici di segretarie e colleghi: insomma, una mattinata con segnali evidenti, l’olfatto insomma darà la certezza ai presentimenti temuti da ogni impiegato. Ovvero che sarà una giornata di merda.
E la depressione di uno scrittore, in questo scenario, è il minimo che possa capitare: la ricerca ossessionata di un delitto da commettere o da far commettere è solo uno dei crucci di uno scribacchino fesso, all’inizio di una giornata cominciata male. Inutile tentativo di raddrizzarla, corrompendo l’addetto alle pulizie a prestarmi le scarpe, mentre lui se ne va con gli zoccoli che tiene nell’armadietto per le giornate più calde. Io e Chico, il peruviano, siamo complici di piccole malefatte d’inizio giornata, io il primo a timbrare, lui l’ultimo a finire le pulizie. Noi due soli, di solito, si finisce col prendere a spallate il distributore automatico di dolci e merendine, per farne cadere qualcuna gratis. Ma, oggi, la faccenda è disperata: «Gracias Chico, ti sono debitore». «De nada amigo». Intanto giù nel giardino, il mega presidente è il secondo ad entrare in azienda, ma prima di entrare in ufficio accudisce le azalee, sembra volerle istruire, le accarezza mentre alza lo sguardo verso la chioma della grande quercia, con gli uccellini che cinguettano e svolazzano nell’aria, laggiù verso l’inceneritore. Ai dirigenti, al giorno d’oggi, tocca di fare tutto, anche accarezzare le piante e parlare agli uccellini: nella sua valigetta, ben custoditi, ci sono tutti i documenti per estendere la cassa integrazione a tutti i dipendenti, tranne i fringuelli e i pettirossi.
Lo guardo dalla finestra del secondo piano, quella sul pianerottolo del distributore di merendine, mentre cerco di prendere confidenza con le scarpe del peruviano, di due numeri più grandi. Vedo il mega presidente e mi riconcilio col mondo, pensando alle sue pesantissime responsabilità, alla dura vita di chi decide della vita degli altri, seppur dal ponte di un panfilo ormeggiato a Portofino. E io lì, a rubar merendine prima di cominciare a guadagnarmi il pane… Ora, improvvisamente, lo vedo arricciare il naso: si guarda intorno, lì vicino alla siepe di gelsomino. Sembra voler dire, anzi dice proprio: «Uella, ma han già messo lo stallatico?». Spietato, come un segugio, si accorge ben presto, là dietro, del concime anomalo: ed eccolo, piegarsi e recuperare inorridito un paio di scarpe numero 40, made in China, ma col design italiano, orrendamente insozzate. Destinazione, inceneritore: nulla le potrà più salvare.