Lo strano caso… tatoo per amore
«Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?»
«Il mio papà» era la risposta spontanea di mia figlia. È andata così per tre anni, non appena la mia cucciola ha imparato le prime paroline: un trionfo morale che per un padre vale il premio Pulitzer. L’uomo, il blogger antiblogger, il giornalista di periferia, il giallista senza assassino: tutti riscattati dal successo indiscutibile e netto sull’aitante figura del principe azzurro, tutto muscoli e dolce canto. Meglio di colui che a dodici anni, mia figlia definirà un figo. Io meglio di lui, senza se e senza ma. È andata così fino all’altra sera, quando procedevo sicuro e ignaro della disgrazia, nella mia rivisitazione di Biancaneve.
«Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?»
«Papà, è il Matti», risponde la mia principessa.
«E chi è ‘sto Matti, da dove vien fuori?»
«Dalla classe dei blu, i grandi, all’asilo»
Ecco, il momento più difficile è arrivato prima del previsto: a quattro anni e mezzo, mia figlia ha già un altro. Uno della classe dei blu… «Uno dei puffi, piccola?»
«Ma dai! Non scherzare – arriva al punto, sicura come una diciottenne-. Io lo amo, sai?»
«Gulp», come un pugno nello stomaco, peggio di quando in seconda superiore (perché allora certe cose succedevano a quindici anni) rimediai il mio primo due di picche. Retrocesso a ruolo ancora non ben definito: il cacciatore che sacrifica il cerbiatto e salva Biancaneve? «No papà, secondo me vai bene come nanetto Brontolo. Anche lui è simpatico, sai?». L’innocente crudeltà di mia figlia è capace di stendere più di Mark Tyson: alta un metro e mezza mela in orizzontale, occhi vispi e color del cielo, idee chiare, anche troppo per un padre in cerca di una dimensione ideale, in crisi d’identità anche nelle favole.
Ma, per fortuna, è spietata anche con questo Matti: «Io gli chiederò di sposarmi, papà, e se lui dirà di no, sai che faccio? Lo butto nella spazzatura». Giusto, rappresaglia violenta.
Io surclassato da uno della classe dei blu? Proprio non esiste. Il duello, ormai, è una questione di cuore e di orgoglio: sfida sul Taboga, al luna park?
«No papà, io ormai sono grande, ci vado da sola»
Gara di capriole? Per il bene della mia cervicale, evito.
Ma ecco, stasera, l’occasione per riprendere il mio posto tra le favole, là, su quel cavallo bianco… La mia bimba ha una richiesta: «Papà, mi piaceresti molto con un tatuaggio»
Fico, penso io, senza dirglielo. Ma come crescono in fretta, queste bambine! In fondo, è una questione di look. Basta poco per aggiornare la propria immagine… Fa molto uomo vissuto, il tatuaggio, anche un po’ rocker, o marinaio (seppur di lago). «Te lo dò io il tatuaggio per te, papà». Dove sia andata a prenderlo, non indago, non discuto: ormai sono in rimonta verso il trionfo, non posso certo fermarmi adesso su un dettaglio da poco.
«Sul braccio o sul collo?» incalza lei, sicura di sé.
«Facciamolo in un punto più discreto, dai»
«Allora pancia»
Basta poco, due minuti, un po’ di pressione sulla ciccia che ormai da qualche anno fatico a contenere nei jeans, e un po’ d’acqua: perfetto. «Sei bellissimo» dice lei: è il trionfo, la rimonta su quel pivellino della classe dei blu, risalgo su quel destriero bianco e non temo più alcun verdetto di qualsiasi specchio magico.
Che grande soddisfazione, per un papà che, per amore, ha vinto la sua battaglia puntando tutto sul look e la preparazione culturale: i bambini di oggi hanno ancora molto da spartire con quelli del mio tempo. Insomma sull’ape Maia ho scoperto di avere molte conoscenze in comune con lei. E l’ho riconquistata, grazie a Flip, la cavalletta saggia. Uno scrittore con il tatuaggio e la pancia meno triste è già un passo più avanti verso il successo: per il mio noir rinuncio all’ipotesi del killer bambino, non amo infierire sugli sconfitti. Ma Willy, il fuco svogliato, e Tecla, il ragno, mi sembrano una coppia da tenere seriamente in considerazione.