Un anno e mezzo di immersione in Nicaragua. Antonio D’Andria, l’ambasciatore italiano a Managua, ci riceve nella sua residenza in Caretera sur. È curioso di sapere cosa abbiamo fatto e quale sia la nostra idea del Paese centro americano.
In Nicaragua vivono oltre mille persone con la cittadinanza italiana. Di queste, settecento sono già di seconda generazione.
L’ambasciatore ci racconta la storia e l’evoluzione della presenza degli italiani. Ci sono famiglie, come i Pellas o i Mantica, che hanno segnato parti della tradizione del Paese. C’è poi stata la fase degli anni Ottanta quando moltissimi giovani erano attratti dalla rivoluzione sandinista. Un periodo all’insegna della cooperazione internazionale. “Su questo noi italiani – racconta l’ambasciatore – abbiamo sempre avuto una buona tradizione. Ora abbiamo tagliato tutti i fondi ed è un grande errore perché farci voler bene in giro per il mondo, oltre che essere importante per ragioni umanitarie, aiuta anche l’internazionalizzazione”. Il Nicaragua ha poi attratto anche qualche terrorista, ma su questo D’Andria sorvola perché il suo ruolo diplomatico non gli permette di commentare. Al momento attuale sono poche le imprese di casa nostra che vengono a sviluppare interessi nel paese centroamericano. “È molto impegnativo il viaggio e questo sfiducia un po’. Magari la nuova rotta che porta a Roma senza fare scali potrebbe invogliare a investire anche qui”.
Passiamo con lui quattro piacevoli ore. Disponibile e curioso, sempre con un bel sorriso e attento ad accogliere con semplicità i suoi ospiti. Con lui abbiamo avuto una cena a metà tra la cucina italiana e quella nicaraguense. Tortiglioni alle zucchine, risotto ai funghi, camarones (gamberoni) fritti, pollo, maiale, melanzane, tortino di verdure e poi dolci tipici nicaraguensi. Il tutto bagnato da buon vino italiano.
L’ambasciatore è originario di Caserta. Ha sessantasei anni e questo sarà il suo ultimo incarico prima della pensione