Cari amici,porgo alla vostra attenzione un estratto dell’interessante commento di Riccardo Redaelli, uscito sull’Avvenire del 17 agosto dal titolo “Il posto dei cristiani”, scritto a seguito dei recenti attacchi alle chiese cristiane in Egitto e in Medio Oriente (che in realtà sono iniziati da almeno un paio di anni).
Non è purtroppo una novità: in Medio Oriente, negli ultimi decenni, non vi è stata crisi politica e di sicurezza che non abbia visto le minoranze cristiane quali vittime designate, dall’Iraq post-Saddam all’Egitto, dall’Algeria degli anni 90 alla Siria oggi sconvolta dalla guerra civile. Agli occhi dei settari, quelle comunità appaiono infatti come una presenza pericolosa: ora accusate di complottare contro i partiti dell’islam politico – e quindi di essere il nemico subdolo che mina la rivoluzione – ora additati come portatori dei deprecati valori “occidentali” e dell’idea di democrazia. Dei “diversi” da allontanare o da schiacciare, perché testimoniano la pluralità culturale e religiosa che è stata la caratteristica storica del Medio Oriente e che gli islamisti vogliono cancellare a favore di una tetra e fittizia uniformità dottrinale.
Ed è paradossale pensare che le minacce ai cristiani del Medio Oriente vengano proprio perché essi incarnano i valori della tolleranza e della democrazia, della pluralità religiosa e culturale, mentre in Europa avviene l’inverso: sempre più, la testimonianza dell’essere cristiani è infatti dipinta come una sfida di retroguardia alla democrazia e alla tolleranza. Sulla sponda sud del Mediterraneo vengono accusati di introdurre una democrazia che minaccia la religione dominante, lungo quella settentrionale sono indicati come coloro che – in nome della religione – sminuiscono la tolleranza e la ricchezza culturale occidentale.
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Tutto ciò avviene perché si è diffuso il pre-giudizio – sbagliato e autolesionista – che alla crescente pluralità etnica e culturale delle popolazioni europee si debba rispondere nascondendo le proprie radici e omettendo ogni riferimento alla cultura cristiana che permea le nostre società. È quel fenomeno che viene chiamato di “neutralizzazione” del religioso. Apparentemente opposto a quello che sembra un “eccesso di religione” dall’altra parte del Mediterraneo, e che invece a esso è strettamente collegato.
Perché tutto ciò fa parte di una difficile, faticosa presa di coscienza del mutamento delle nostre società e del problema conseguente di riconoscersi nella pluralità senza per questo divenire una società di “indistinti”.
“Riconoscere” significa accettarsi e non negare ad alcuno e ad alcun gruppo e comunità di fede che accetti le semplici ed essenziali regole dell’autentica democrazia piena cittadinanza, libertà di esistere e di dare significato e contributo alla vita delle società di cui è parte.