“Carceri, è tortura di Stato”. Ha ragione Sofri?

Ormai è un must dell’estate. Scoppia il caldo, le attività educative si fermano, il numero degli agenti di Polizia Penitenziaria si riduce causa vacanze e il carcere con i suoi problemi torna ad affollare tg e giornali. Questa estate ne ha parlato anche Adriano Sofri, giornalista e scrittore per anni detenuto nel carcere di Pisa. E lo ha fatto con una riflessione dura, che non fa sconti: “Carceri, è tortura di Stato“.
«Chiunque soffre a queste temperature – dichiara Sofri – la mancanza d’aria fresca, ha difficoltà a muoversi, a spostarsi e a dormire. Se trasferiamo queste sofferenze in una cella dove lo spazio è di due metri quadrati è facile immaginare cosa succede dentro le prigioni […]. La realtà è che nelle carceri italiane c’è la tortura. Non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. Queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, si configura come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato esiste anche un torturatore. Non parlo degli agenti penitenziari che sono a loro volta, in senso lato, dei semidetenuti, ma delle autorità che hanno a che fare con questo sistema».

In provincia di Varese, dove il sovraffollamento è un dato di fatto soprattutto nell’istituto bustocco, l’estate ha portato una novità . Non più come come negli anni passatti attività sospese, ma un insieme di proposte che sia a Varese che a Busto hanno permesso alle persone detenute di non passare due mesi solo fra “cella e ora d’aria”.

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