Ripartire anche dal teatro

Da più di due anni, nella Casa Circondariale di Busto Arsizio è nato “Mezzo Busto” un giornale scritto ed impaginato da un gruppo di persone detenute. Il nuovo numero, quello di settembre, è appena uscito (per informazioni mezzo_busto@libero.it). Vi proponiamo un articolo scritto da Gianni sullo spettacolo teatrale che si è svolto in luglio. I ragazzi che hanno frequentato il laboratorio teatrale hanno messo in scena “Pinocchio” sotto la direzione dell’attrice Elisa Carnelli

“Ero davvero scettico nell’avvicinarmi alla sala teatro del carcere per assistere ad una fiaba messa in scena da una “banda di detenuti”. Invece ho visto “Pinocchio”, mi ci sono immedesimato ed infine, alla canzone del mio “menestrello” preferito, Bob Dylan, ho pianto! È sempre meraviglioso emozionarsi, ma lo è ancor più quando non è programmato. D’altronde le emozioni agli esseri umani occorrono per sentirsi liberi e vivi.
Devo un grazie particolare alla “fata turchina Elisa”, ovvero Elisa Carnelli, l’attrice che ha condotto il laboratorio teatrale e diretto lo spettacolo. Ogni volta che all’interno di un istituto di pena entra una ventata di cultura resta un segno indelebile che il tempo non potrà mai cancellare. Il mio grazie è indirizzato quindi principalmente a lei, ma anche a tutti coloro che hanno partecipato allo spettacolo per avermi donato, anche se per un solo attimo, delle “buone vibrazioni”.
I pinocchi, tutti magnifici nella loro recitazione, hanno donato quel che meglio possiede un recluso: la libertà espressiva! L’evoluzione collodiana, da legno a carne, si addice al detenuto e colpisce nel segno: siamo da considerare esseri umani pronti al recupero o resteremo per sempre “legna da ardere”? I pinocchi del carcere di Busto Arsizio, al termine dello spettacolo, hanno ammesso di essere stati burattini bugiardi ed hanno confessato con sincerità i loro errori legati al passato delinquenziale. Ma hanno prospettato con forza un domani migliore che coinvolga, al tavolo della discussione, anche i burattinai affinché il confronto non rimanga impari e senza contraddittorio.
Un libro, della buona musica o un film tendono sempre a rieducare e, soprattutto, sono degli ottimi “compagni di viaggio” per chi il proprio tempo, per ora, non può decidere liberamente come passarlo. A questi devo aggiungere il teatro poiché al di fuori di questa mura sono usciti pensieri e parole cariche di significato: il detenuto, per un momento, grazie alla “fata turchina” è stato l’attore principale della propria esistenza.
Ci auguriamo che questa splendida iniziativa non rimanga una cattedrale nel deserto. Certo non ci aspettiamo che “Geppetto” costruisca un altro burattino parlante, non pensiamo che il gatto e la volpe si redimano all’istante, non possediamo l’abilità di Mangiafuoco e non ci illudiamo che esista a priori la panacea di tutti i mali, compresi quelli legati alle istituzioni del pianeta carcere. Ma, vi preghiamo di cuore, non ci togliete la “fata turchina”: ne abbiamo bisogno per sperare in un domani migliore”.

Complimenti ancora a tutti!
Gianni

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