“Canta che ti passa”

Serenate notturne… cantate di gruppo dopo una buona cena…sfide di karaoke tra ragazzi e ragazze… Questi e tanti altri modi in cui giovani e adulti danno voce ai propri sentimenti non tramonteranno mai…
Sia pur sommessamente, nel timore di essere giudicati “retrò”, in questi giorni sono risuonati anche canti patriottici, uniti nel segno di un’appartenenza, frutto di una storia. La coincidenza del festival di Sanremo probabilmente ha riempito quel vuoto che sarebbe stato imperdonabile nel festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Giovedì sera non sono saltati in piedi solo tutti i partecipanti della sala dell’Ariston di Sanremo. Senza timore di smentita, pensiamo che tutti ci siamo sentiti interpretati da Benigni quando ha spiegato l’Inno di Mameli la sera del 17 febbraio.
…E adesso continuiamo a cantare. Non a cantarcela.
È proprio della nostra cultura italiana il cantare in solitaria, in gruppo, in coro… Forse abbiamo scambiato il progresso economico e tecnologico con il regresso dell’espressione canora… Non che non si ascolti più musica, in lingua materna o estera. Ma raramente la si esterna, affidando questa parte agli “specialisti” o a gruppi ben definiti, magari contenuti da qualche limite psico-fisico.
C’è una forma di inibizione anche in questo manifestarci. C’è timore di alterare il nostro volto, che gli altri ci vedano alterati nei nostri lineamenti, mentre cantiamo o urliamo.
Riappropriamoci della libertà di cantare, fischiettare… senza negare queste ed altre espressioni che rivelano e comunicano i nostri sentimenti.
C’è bisogno che il nostro ambiente non sia caratterizzato da rumori, ma venga attraversato da messaggi veramente umani
In questo caso non diremo più solo: “Canta che ti passa”, ma che l’Italia torna ad essere la patria del bel canto.

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