Alle spalle della sua scrivania c’è una delle foto più famose degli anni Settanta. Eden Pastora, il mitico “comandante Zero”, alza le braccia al cielo
un piccolo mitra e nella mano sinistra un moschetto. L’immagine del rivoluzionario vincente.
Una foto che era il risultato della più importante azione politica e militare del Fronte sandinista prima dell’insurrezione finale del 19 luglio 1979. Un anno prima, il 22 agosto del 1978, Eden Pastora, e pochi altri uomini travestiti da Guardia nazionale, era entrato nella sede dell’assemblea nazionale prendendo in ostaggio tutti i parlamentari del Nicaragua. Somoza era stato costretto a scendere a patti garantendo la scarcerazione di decine di militanti del Fronte (tra cui Daniel Ortega e Tomas Borge) e un salvacondotto per Cuba per quanti avevano condotto l’azione.
Una foto che passerà alla storia non solo in Nicaragua.
Oggi Eden Pastora si occupa del “suo” Rio San Juan in qualità di responsabile dei lavori al delta del fiume.
È un 75enne in splendida forma. Capelli bianchi, fisico asciutto, è padre di 21 figli e altrettanti nipoti. La più piccola gironzola intorno al suo nonno e lui si scioglie, tira fuori il cellulare per farci vedere le foto della piccola.
«Conosco bene l’Italia. Ci sono stato tante volte e la mia famiglia ha origini siciliane e si chiamava Pastori. Quando nel Settecento emigrarono in Nicaragua il cognome venne spagnolizzato».
La sua storia ha dell’incredibile ed è anche piena di elementi a prima vista contraddittori. Con la vittoria del Fronte Sandinista acquisì ruoli di responsabilità, senza però entrare nella cerchia ristretta della direzione che comprendeva nove comandanti e Sergio Ramirez. Fu vice ministro dell’Interno e della Difesa e leader della milizia popolare. Fu lui il comandante partito con una brigada di 13mila uomini a fronteggiare le prime azioni della Contra al confine con l’Honduras già pochi mesi dopo la vittoria.
Dopo fasi alterne, oggi il “comandante Zero” non ha dubbi sulle scelte politiche da fare per il suo paese.
A novembre ci saranno le elezioni presidenziali. Con chi si schiererà lei?
«Io sto con la rivoluzione popolare sandinista e il leader è uno solo: Daniel Ortega. Lui sta proseguendo il cammino rivoluzionario in libertà e democrazia. Mi basta una sola ragione tra le cento che potrei avere per votare Ortega. Lui è l’unico che può garantire i 39 programmi sociali. Se non ce la farà lui, la controrivoluzione antisandinista smantellerà tutto. Del resto lo abbiamo già visto vent’anni fa cosa sanno fare. Hanno privatizzato 400 imprese tra cui 46 strategiche. Sono riusciti a smantellare tutta la rete ferroviaria perché era in odore sandinista. Il brillante risultato che hanno ottenuto è stato quello di produrre oltre 500mila sfollati senza lavoro in Costa Rica».
Molti però oggi criticano Ortega. Qual’è il bilancio dei suoi cinque anni di governo?
«Abbiamo meno poveri e meno povertà. A me basterebbe il progetto Amor che intende tirare via i bambini dagli incroci delle strade per dire che Ortega ha lavorato bene. Daniel ha insegnato all’ambasciatore americano a rispettarci».
Ma se lei ha questo legame con Ortega perché nel 1982 lasciò il Fronte Sandinista?
«Non ho mai abbandonato il Fronte, sono loro che mi hanno abbandonato. Sono loro che hanno tradito gli ideali volendo abbracciare il marxismo leninismo. Nel 1981 mi staccai e la storia mi diede ragione. Il popolo punì il Fronte con la sconfitta del 1990».
Si, ma intanto lei con l’Arde aprì un fronte sud della Contra per combattere contro…
«Non fu Contra. Ero un dissidente, e iniziai una battaglia politica, ma non feci mai la guerra. Furono i comandanti del Fronte a mettere in pericolo lo stato rivoluzionario».
Ma si sarebbe potuta evitare quella guerra sporca con molte decine di migliaia di morti?
«No, perché tutte le rivoluzioni hanno una controrivoluzione. Potevamo renderla meno sanguinosa, dolorosa e violenta. L’imperialismo non è monolitico e ha sempre delle crepe. Noi non siamo stati capaci di entrare lì dentro. Dovevamo contrastare politicamente Reagan, ma non fu possibile perché chi aveva il vero potere era Sergio Ramirez e i nove comandanti. Ortega era sempre in giro per il mondo a difendere la rivoluzione e in Nicaragua decideva Ramirez che giocava a fare il più radicale e il più antimperialista. Josè Martì diceva che “in politica la realtà non si vede” e questo vale anche nel nostro Paese».
Come mai lei con tutta la popolarità e la lotta militare fatta non entrò nella direzione politica del Fronte?
«Perché non ero comunista! Ero marxista e interpretavo il pensiero Sandinista che è la concretizzazione del materialismo storico. I comandanti volevano saltare tutte le tappe e questo è antimarxismo».
I diversi ministri come i due Cardenal, D’Escoto e altri non potevano spingere in una direzione diversa?
«Occorre dire che allora c’erano situazioni davvero difficili e dobbiamo tenere conto di quattro elementi: 1) il radicalismo allora era di moda; 2) la guerra radicalizza; 3) la minaccia dell’imperialismo radicalizza; 4) la disciplina verticale faceva si che i comandanti fossero vissuti e visti come degli dei. Ricordo una volta che alcuni “compagneros”, sempre con Il capitale di Marx sotto braccio mi dissero che non ero abbastanza in linea. Così mi fecero entrare in una ferramenta a comprare una livella per tenerla sulla mia scrivania. Se non ci fosse stato un grande dramma, direi che era davvero una commedia».
Oggi quali sono i suoi sogni?
«Che vinca Daniel e si possa proseguire l’azione rivoluzionaria. Su un piano personale invece sogno di terminare il mio lavoro di dragaggio del rio San Juan perché quella è una pratica concreta di sovranità nazionale. Quando recupereremo tutto il fiume e incorporeremo quel territorio dentro il nostro Nicaragua avremo fatto qualcosa di importante per la nazione».
L’intervista al “comandante Zero” potrebbe continuare per ore, ma ci sono diverse persone che lo stanno aspettando, e questo giornalista italiano non era previsto, ma il ricordo di tanti luoghi che gli sono rimasti nel cuore nei diversi viaggi in Italia lo ha sciolto. Sorride ed è ironico quando inizia a parlare di politica. Distingue bene le varie correnti del marxismo e si ferma a fare battute sull’allora partito comunista italiano antisovietico. “I nostri comandanti interpretavano a modo loro il centralismo democratico”.
L’ingresso della sua nipotina piena di allegria e sorrisi per il nonno mette fine alla nostra chiacchierata. Tra tre giorni si terrà l’imponente manifestazione per i 32 anni della rivoluzione. In Nicaragua oltre il 40% degli elettori non erano ancora nati quando Ortega governò la prima volta. Lui lo sa e non può bastare la retorica per vincere. Ma lo sa anche Eden Pastora che, dopo essersi presentato contro Daniel nel 2006, stavolta lo appoggia senza alcun dubbio.