Torna #ilpuntodidomanda, la rubrica filosofica di YAAAS

«Inanimati per natura, gli specchi delle camere d’albergo sono poi resi ancora più opachi dall’aver visto tanta gente. Quella che ti restituiscono non è la tua identità, ma la tua anonimità, specialmente in un luogo come questo [Venezia]. Perché qui tu sei l’ultima cosa che ti interessa vedere».
 
Quello appena letto è un passaggio de Fondamenta degli incurabili libro del premio Nobel russo Iosif Brodskij (1940-1966). Voglio cominciare così la riflessione odierna: uno specchio e l’uomo davanti allo specchio; chi riflette e chi si riflette. Osservare la nostra immagine è un atto innaturale, guardare i nostri confini delineare una sagoma ancor meno, eppure è proprio quel riflesso a palesare l’esistenza, a darci una prova della stessa, a dischiudere il pensiero dell’esistente che riflette sul suo essere esistente. Il motto delfico «conosci te stesso»: chi non l’ha mai sentito nominare. Socrate a distanza di anni dagli studi liceali si ricorda ancora per questa celebre massima. Nessuno osa mettere in discussione l’affermazione dell’oracolo. Ma siamo sicuri che basti questo? È sufficiente conoscere sé stessi?
 
Le questioni che interessano l’esistenza, benché impregnate di un linguaggio difficoltoso e articolato, sono profondamente coinvolgenti e spingono la filosofia a vette sorprendenti. «La filosofia non si contrappone alla vita in un istante privilegiato, ma coincide con essa, è l’evento essenziale della vita, ma della vita concreta, della vita che non oltrepassa i propri limiti». Potremmo dire che quando, con coraggio, si compie la scelta di farsi carico di sé stessi si compie la scelta della Filosofia. [Essa] non esplode con l’esistenza umana, ma coincide con essa» scrive il filosofo Emmanuel Lévinas (1906-1995).
 
Rielaborando un detto di un mio amato professore direi che “la filosofia cresce e ri-cresce ogni volta che un uomo nasce”, siamo intrinsecamente portati alla riflessione filosofica ed ecco la filosofia è in tutto: essa è innegabile come la nostra esistenza. Oggi più che mai risulta fondamentale ri-scoprire che non potremmo mai essere l’oblio di noi stessi: la ricerca e la cura di sé e dell’altro sono portatori di dignità nella vita di ciascuno. Questo discorso si scontra con la logica della dimenticanza che domina il mondo odierno, una logica che mira a far scordare all’uomo chi egli è, una logica che propone “il dimenticare” come soluzione al dolore. Conoscere sé stessi deve implicare anche un’accettazione: oggi non è divenuta problematica la conoscenza, quanto piuttosto l’accettazione di sé, accettarsi per non dimenticarsi.
 
Le proprie contraddittorietà, le proprie insufficienze, le proprie fatiche non sono virus da estirpare e negare, quasi come contaminatori funesti di una bellezza stuprata ma sono dimensioni della nostra esistenza, possono piacere o non piacere, aggradare o disturbare ma anche quello siamo noi, dunque: ammetti te stesso. Scrive così James Joyce (1882-1941) nell’Ulisse «Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini. Ma sempre incontrando noi stessi»: non possiamo fuggire. Ci sono epoche della storia di ciascuno in cui il peso del mondo e dei suoi eventi viene a cadere irrimediabilmente sull’esistere attuale. È l’attimo in cui la responsabilità diventa proprietà anche di quello che non si è fatto, è l’istante della nostalgia, è l’attimo del rimpianto, è l’epoca della silente angoscia.
Arcigay Arcigay si batte per i diritti di tutti e per la comunità LGBT
Rimangono mirabili le pagine che il filosofo danese Kierkegaard (1813-1855) scrive nel celebre libro Aut-Aut: «Spesso quello che noi riteniamo sia il meglio può avere conseguenze perniciose sull’uomo […]. Ecco perché l’uomo fa tanta fatica a scegliere sé stesso, perché qui l’assoluto isolamento è identico alla più profonda continuità, perché, finché non hai scelto te stesso, vi è come una possibilità di diventare qualcosa di diverso, o in un modo o nell’altro». Nella tomba del silenzio si percepisce il peso del mondo, non solo di quello che è stato, anche di  quello che è; ma si può essere responsabili persino di quello che non è ancora accaduto? Se fosse così avremmo un ulteriore peso da portare sulle spalle. La domanda capitale rimane e, ammettendo che le scelte di ciascuno inevitabilmente condizionano il suo esistere, essa si fa ancora più complessa e pressante: chi sono io?
Chi siamo noi camminatori di questo suolo?
 
Siamo un avanzo di quello che è già stato consumato, la rimanenza di un mondo che diventa arcaico pochi istanti dopo essere passato dal presente. Ma non è proprio l’avanzo a resistere più di altro? L’avanzo è l’erede silente e differente di qualcosa che non è più e noi siamo i sopravvissuti all’eterno logorio, siamo i reduci di un mondo mai stato in guerra, siamo i figli di un presente senza padri: per una volta in cui siamo diecimila ci neghiamo. E se fossimo il riassunto di tutti i nostri possibili? Le nostre contraddizioni: lo svelamento dell’essere. Quel che siamo: infiniti noi.
La prospettiva della scelta, l’angoscia della possibilità, la «vertigine della libertà».
 
Che fare? Cosa scegliere? Cosa essere? Queste sono domande di una profonda rilevanza filosofica, sono domande che si vogliono dimenticare senza riuscirci. Rimango sempre commosso da un passo letto nelle Opere letterarie di Karol Wojtyła (1920-2005); egli con estrema lucidità riflettendo sulle dinamiche esistenziali dell’uomo scrive: «nasciamo anche attraverso una scelta; nasciamo allora dal di dentro, e non nasciamo di colpo, ma come pezzetto per pezzetto. Allora non tanto nasciamo, quanto piuttosto diveniamo. Ma ogni momento possiamo non divenire, possiamo non nascere. Ciò dipende da noi. E per questo – pezzetto per pezzetto – io cerco una garanzia per la parola “mio”». Conoscere sé stessi, ammettere sé stessi e scegliere sé stessi. Ecco l’ultimo passaggio decisivo, la scelta di ciò che si è compreso di essere, l’attuazione delle intrinseche possibilità. La scoperta di una vita che non si compie di getto, quasi come uno schizzo frettoloso d’artista, ma che ha lenta necessità delle domande e delle risposte: lo svelamento della meraviglia. Scegliere sé stessi anche di fronte ai gelidi abissi che la conoscenza della propria intimità può dischiudere consapevoli che «alle basse temperature la bellezza è bellezza». Lascio in conclusione un estratto del libro Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke (1875-1926), una delle pagine più belle che mi siano mai state regalate.
 
 
«Pensate, caro signore, al mondo che portate in voi, e chiamate questo pensare come volete; sia ricordo della propria infanzia o desiderio del proprio futuro,- solo ponete attenzione a quello che accade in voi, e levatelo sopra tutto quello che osservate intorno a voi. Il vostro più intimo accadere è degno di tutto il vostro amore, a esso voi dovete in qualche maniera lavorare e non perdere troppo tempo e animo a chiarire la vostra posizione di fronte agli uomini. Chi vi dice del resto che abbiate una posizione?».
 
 

 

2 Settembre 2021

di Luca Lanfranchi

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