Chi fa il risotto più buono di Milano? Il concorso impazza in città. In fondo a viale Certosa c’è Ugo che non raccoglie la sfida, ma da un’ora rimesta la sua pentolona, aggiunge brodo di pollo al suo riso che si ammorbidisce lentamente e manda un profumo di zafferano. Gira e rigira il suo capolavoro con il cucchiaio di legno, nel mezzo della pentola ha messo a macerare una crosta di grana durante la cottura. Venti minuti, venticinque al massimo ed è pronto per essere servito. Attende i clienti al bancone e davanti a lui, a pranzo, si forma la fila degli affamati. Il risotto è lì in attesa, accanto ad altre leccornie, bello esposto dietro un vetro, ma visibile a chi deve scegliere. Il primo in coda è Tano, il becchino: «Damme à soppressata, per cortesia, con un po’ di gorgonzola spalmato», dice. «E un po’ di risutin?» propone Ugo. «No grazie» è la risposta.
Ecco il turno di una dama d’altri tempi, la Matilde dell’impresa di pompe funebri “L’alba”, che forse avrebbe dovuto chiamarsi “il tramonto”, ma lei stessa ha voluto chiamarla in controtendenza, per dare un messaggio di speranza, per chi crede in una vita migliore: «Al ma daga un hotdog, per favore». Ugo s’irrigidisce, prova a trattenersi, ma sbotta: «C’è qui un risottino… e che cazzo. L’ha mai ciapà un wurstel in vita soa, proprio oggi ci è venuta voglia dell’hotdog?». La signora sorride, finge di non capire, ma viene servita comunque, nonostante il brontolio del cuoco.
Terzo della fila, Sauro l’elettrauto, giovane trendy, rasato a grechine, intarsiato di gel e orecchini, pregevolmente agghindato con medaglioni al collo e di una carnagione gialla da autoabbronzante, perché non ha il tempo di andare a farsi le lampade: «Li fai i cisburgher, amico?». Non è giornata: Ugo pianta in asso tutta la fila in attesa e si ritira in cucina con la sua pentola di risotto, mastica un “vacagà” che gli esce così spontaneo soltanto quando sente parlare di nouvelle cuisine. Oggi si autosostituisce, chiama un inserviente a prendere il suo posto al banco della trattoria, va al lavoro dietro le quinte, perché gli sembra una di quelle giornate da prurito alle mani. Ma il suo risotto ripudiato è sempre lì e lui, intanto, medita giustizia.
Passato l’orario del pranzo, mentre la clientela è al caffè, Ugo ritorna in scena con la sua pentolona: esce e si siede a un tavolino all’ingresso, accanto all’esposizione di tombe dell’agenzia “L’alba”. Lì fuori passa il Nebbia che coglie l’attimo: eccolo seduto lì accanto, con la fame dei giorni migliori. La coppia mette in scena una mangiata d’altri tempi, con megapiattoni di risotto che spandono il loro profumo per la via. L’aroma va a stuzzicare l’olfatto non completamente sazio della Matilde che, dopo il pranzo, passa di lì e attacca discorso: «Ma che buon risottone, ragazzi! E l’Ugo il brodo come lo fa? Perché è il brodo che fa la differenza, si sa…».
La risposta, con il volto scuro, non è esattamente da Oxford: «Di supercazzola non lavata». La signora ha un sussulto come di spavento, finge di non capire e rientra in ufficio con l’orecchio attaccato a un telefonino che, in realtà, non ha mai squillato. Un minuto più tardi, è il turno del Sauro che non rimane indifferente, da buon segugio, al profumino: «Minchia Ugo, ma che hai fatto, dai fammi fare un test, un assaggio please». Ugo mangia in silenzio con il Nebbia, alza lo sguardo a s’interrompe: «A te voret un test? Una cucchiaiata?. «Sì». E allora, sbang: lo chiamavano Trinità, con il cucchiaio. Sfodera un colpo sul cranio del Sauro che gli fa risuonare la testa, a conferma che forse è vuota. «Ciapa una bella cugiarata sulla testa, alura». Sauro reagisce con un «cazz, che scherzo di merda», in pieno tenore da buon appetito. Ma non è giornata, nessuno osa più sfidare e provocare Ugo, offeso nell’intimo meneghino. «E domani pastina per tutti», minaccia ad alta voce.
Per saperne di più (www.cibo360.it/cucina/mondo/risotto_milanese.htm)
Il risotto alla milanese è il piatto tipico per eccellenza del cuore economico del nord Italia. Questo piatto molto semplice affascina soprattutto per il colore dorato conferitogli dallo zafferano, ingrediente principale della ricetta. Non tutti sanno, però, che un risotto alla milanese come tradizione vuole contiene il midollo di bue, ingrediente fondamentale per arricchirne il gusto.
I piatti ad effetto, mascherati, contraffatti, multicolori erano prerogativa della cucina araba ed europea medioevale, destinati a stupire i ricchi signori alle tavole dei potenti dell’epoca.
Nel ‘300 il riso veniva coltivato estensivamente solo nel Napoletano. Da qui, grazie agli stretti rapporti che legavano gli Aragonesi ai Visconti e agli Sforza, la sua coltivazione si affermò nella pianura padana ed in particolare nel Vercellese. I primi ricettari trecenteschi iniziano a proporre piatti dove il riso svolge un ruolo fondamentale.
Il progenitore del risotto alla milanese è descritto da Bartolomeo Scappi nella meta’ del’500. La “Vivanda di riso alla Lombarda” era composta da riso bollito e condito a strati con cacio, uova, zucchero, cannella, cervellata (tipico salume milanese colorato di giallo dallo zafferano) e petti di cappone.
Ma è necessario attendere la fine del 1700 perché il riso alla milanese, così come oggi e’ conosciuto, prenda forma. L’anonimo autore della “Oniatologia” (scienza del cibo) titola una sua ricetta “Per far zuppa di riso alla Milanese”, dove il riso, lessato in acqua salata, alla quale si aggiunge un buon pezzo di burro quando bolle, è condito con cannella, parmigiano grattato e sei tuorli d’uova, per fargli acquisire un bel colore giallo.
La ricetta definitiva nasce all’inizio dell’800 nel libro “Cuoco Moderno”, stampato a Milano nel 1809, di un misterioso L.O.G. La sua ricetta: “Riso Giallo in padella”. Cuocere il riso, saltato precedentemente in un soffritto di burro, cervellato, midolla, cipolla, aggiungendo progressivamente brodo caldo nel quale sia stato stemperato dello zafferano.
Ai primi del ‘900 compare anche il vino: l’Artusi fornisce due ricette del Risotto alla Milanese, la prima senza vino e senza midollo e grasso di bue, la seconda con vino bianco, che serve con la sua acidità a sgrassare il palato dall’untuosità del midollo e del grasso di bue.
Ai giorni nostri Gualtiero Marchesi, maestro della cucina creativa, perfeziona la ricetta, consigliando di tostare il riso in poco burro, iniziare la cottura col brodo, poi aggiungere lo zafferano; frattanto fare sudare a parte la cipolla in pochissimo burro e vino bianco, aggiungere burro fresco ben freddo per ottenere una crema omogenea. Mantecare il Risotto, con questo burro, a fine cottura.
No, non è una considerazione da rompiballe, ma da tutela legale. Di solito non faccio divagazioni storiche in questo blog e per far prima ho preso la scorciatoia. Provveduto. Grazie! (ma la fonte originale dovrebbe essere http://www.risotto.it)