Pizza, birra e caffé? «Seicinquanta».
Spaghetti, acqua e caffé? «Seicinquanta».
Bistecca, vino e caffé? «Seicinquanta».
Nessuno conosce il suo nome egiziano e chiunque glielo domandi, lui risponde Beppe: ma per i clienti del quartiere non è credibile con quel nome, meglio soprannominarlo Mohammed, più adatto alle sue origini e al suo aspetto fisico. Ha problemi con la matematica, non l’ha mai imparata nei pochi anni, forse giorni, di scuola frequentata alla periferia del Cairo. E nemmeno la digerisce oggi: nella sua pizzeria, allora, ha fatto una scelta… di marketing. Prezzo fisso, che più fisso non si può: “seicinquanta”, è quanto gli basta per ogni bocca da sfamare, tra operai e impiegati del “mezdì”, come gli ha insegnato Nebbia che, in cambio dei primi rudimenti in lingua locale, riesce ogni tanto a spuntare pizza e birra. «Se ci stiamo dentro con i conti, va bene così», dice Beppe.
La sera, però, il prezzo fisso non vale. Per fortuna c’è Margherita, la sua figliola che ha voluto chiamare all’italiana, non per passione floreale, ma perché fu il primo nome che gli venne in mente una mattina di dodici anni fa, mentre tirava la pasta in una pizzeria: un amico vucumprà era appena arrivato a informarlo del lieto evento della moglie, un provvidenziale ambasciatore, ingaggiato poiché il titolare del ristorante non gli aveva concesso di lasciare il lavoro per rimanere accanto alla sua signora, in sala parto.
Margherita con i conti è un portento, la migliore della famiglia, ma a pranzo è a scuola: soltanto la sera può stare dietro al registratore di cassa, fino alle 10, mentre Beppe è al forno e la sua signora serve ai tavoli. Dopo le 10, Mergherita e mamma vanno a dormire, il locale chiude e il pizzaiolo si concede una pausa di piacere: non a base di sigarette o alcol, bensì mettendo sotto i denti una succulenta salamella, orgoglio della grigliata brianzola, che Beppe, l’egiziano, ama più di ogni altra cosa. La consuma calda di piastra, nel mezzo di un panino, seduto nella veranda esterna alla sua pizzeria, proprio sul viale che conduce all’autostrada: un profumo delizioso si spande lungo tutto il marciapiedi, fino all’angolo, sotto il semaforo dove sta Soraya, un travestito che fa marchette quando le serrande dei ristoranti si abbassano e i marciapiedi si oscurano. Ma per il transessuale non sembra una gran serata, questa, poiché rimedia da un’ora soltanto vaffanculo ridacchiati dai finestrini delle auto e altri sfottò.
«Già, fanculo a tutti», si lascia sfuggire Beppe, a bocca piena, mentre osserva la scena. Più che un’imprecazione, un’ode alla libertà, dopo due settimane da incubo. Tutto è cominciato in una sera come questa, mentre Beppe, seduto su quella stessa sedia, ha visto la porta d’ingresso al suo ristorante andare a fuoco per una bottiglia incendiaria lanciata da un motorino che, sfrecciando di lì a velocità folle, fuggiva in un istante lasciando in scia un grido: «Mohammed senza dio!».
Questo è stato l’inizio, la continuazione ha visto entrare in scena il brigadiere Salvatore Braccialarga: «Ma lei, signor Mohammed, è assicurato?», è stata la prima domanda.
Risposta: «Primo, non mi chiamo Mohammed. Secondo, che importa se sono assicurato? Mi hanno quasi fatto saltare in aria il ristorante, non le basta per indagare?».
«Uè, cheffà, vuol sostituirsi al mio ruolo?». Il Braccialarga indispettito per essere stato in qualche modo contraddetto, ha avvisato la Guardia di finanza che è intervenuta con il solerte commissario Lanzafame Vito, grande amico del brigadiere, allo stesso modo in conflitto con nomi e cognomi: «Sicché, signor Beppe Mohammed, lei che proviene probabilmente da un Paese arretrato è riuscito a metter su la baracca in quanti anni?».
Risposta: «Dieci».
«Come!? In soli dieci anni, lei è riuscito a guadagnare abbastanza per comprarsi un ristorante? E i soldi dove li ha presi? E se tutta la vicenda fosse una storia di pizzo? In questo quartiere sospettiamo ci siano strozzini e mezzi mafiosi…».
«I soldi li ho presi dal sudore della fronte, tutti sofferti e risparmiati e, oggi, contati addirittura da mia figlia, controlli tutta la contabilità, è tutto in regola»
«E quanti anni ha sua figlia?»
«Ma che importa?»
«E la figlia ha imparato da lei anche l’insolenza? E poi ci sono le premesse per lo sfruttamento minorile».
Un’autorità messa in discussione da un extracomunitario, non può che complicare la situazione. Tant’è che il Lanzafame ha ritenuto necessario un sopralluogo dei vigili urbani, che, rappresentati dal dinamico agente Girafumi Tullio che, dopo rapido esame dei rilievi dei colleghi, ha colto un aspetto che, incresciosamente, non era stato chiarito: «Ma lei che denuncia un atto teppistico di tale gravità, paga regolarmente il plateatico? Visto che mangiava bellamente una salsiccia al di fuori del locale, proprio durante il fattaccio…».
Risposta: «Ma che significa? Ero io a mangiare qui fuori, mica i clienti, e poi il ristorante era chiuso…». Come benzina sul fuoco.
Un Girafumi imbufalito era la cosa peggiore che potesse capitare a un pizzaiolo egiziano alla ricerca di una verità scomoda: poteva non esserlo, ma poi è diventata scomoda. Soprattutto per interessamento dell’Asl, allertata, per ripicca, dal ghisa e piombata in pizzeria a corpo morto, con le sembianze di una mole informe, ovvero i 110 chili del funzionario Losurdo Gaetano, grande amico dell’assessore. Proprio quel politico che, da anni, ha dichiarato guerra ai ristoranti etnici: «Come sarebbe a dire, signor Mohammed, che lei non ha un ristorante egiziano? Lei è egiziano? Mi faccia il piacere di essere più collaborativo e se l’igiene lascia a desiderare lo scopriremo presto».
Risposta: «Ma il mio portone bruciato che c’entra con l’igiene?».
«Ah! Ma allora lei non vuol capire, caro Mohammed. Tutti così voi musulmani: fate finta di non capire, ma so benissimo come volete fregarci. E pensate di fare i furbi con il paravento della religione: ma come la mettiamo, allora, con quella salamella di maiale, caro il mio islamico?».
«E come la mettiamo? Sono di religione copta».
«Ah sì? Ma cotta o cruda non fa differenza, sa».
Già, la religione copta ortodossa… Mentre il Braccialarga brancolava nel buio, il pizzaiolo ha tastato la pista giusta. Per risolvere il suo giallo, avrebbe dovuto chiamare Mastro Lindo, soprannome di un pony express tunisino che vive a due isolati dal ristorante: grande amico del muezzin Omar, che ha indagando nel sottobosco della comunità islamica e ha chiarito l’equivoco. Due giovani integralisti, schegge impazzite di una cellula estremista, hanno scambiato Beppe per un musulmano vero e, vedendolo ogni sera infrangere i comandamenti con quella maledetta salamella, avevano pensato di minacciarlo con il fuoco. Tutto risolto, in cambio del ritiro della denuncia.
Mastro Lindo, dopo due settimane, ha fatto il suo ritorno, con un biglietto di scuse e una pacca sulle spalle. Ma come chiudere tutta la vicenda che, come uno strano gioco di scatole cinesi, ha tirato in ballo cotanta forza dello stato assetata di giustizia?
Cinque pacchi, consegnati da un furgone frigorifero del macellaio Scafetta, il re della fettina del Musocco: cinque pacchi di salamelle nostrane, equamente assegnati. Uno al Braccialarga, uno al Lanzafame, uno al Girafumi, uno al Losurdo e uno a Mastro Lindo.
E stasera, finalmente, Beppe si riprende la libertà che, per un pizzaiolo egiziano, può essere racchiusa in un momento tutto suo, con un panino in mano e guardare il cielo: «Non sarà il cielo del deserto, ma in fondo anche questo posto ha la sua finestra per guardare su e respirare», confida Beppe alla sua salsiccia.
La poesia, però, è rotta dallo scoppiettare di un motorino che, per un istante, fa venire di nuovo la pelle d’oca al pizzaiolo: per fortuna è soltanto Mastro Lindo, con un sacchetto in mano. «Ti riporto i salami, a me non servono. Allah non gradirebbe» e li appoggia su un tavolino accanto all’esterno del ristorante.
«Non sai cosa ti perdi!». Un cenno di saluto, tra le briciole che piovono ai suoi piedi. Torna il silenzio, ma il destino di questa serata è segnato. Dopo Mastro Lindo, è la volta di Soraya, statuaria belva color d’ebano, pantera scosciata infilata in due stivaloni che sembrano trampoli, in piedi a un metro da lui: «Salsicce?» e indica il sacchetto appena abbandonato dal pony express.
Beppe fa cenno di sì: «Hai fiuto per certe cose, non fartele sfuggire».
«Allora stasera te le compro io. Mi sono rotta di starmene qui a perder tempo, oggi non batto chiodo, me ne torno a casa a mangiare. Quanto costano?».
«Seicinquanta».