Rivoluzione come progetto o come bisogno

Ogni persona pensante si chiede le vere motivazioni e gli obiettivi di quanti nelle piazze del Nord Africa chiedono il cambiamento. Giornalisti e politologi – per non dire della gente al bar: tutti vogliamo interpretare gli avvenimenti e indovinarne il seguito. È troppo facile per noi – a cose avvenute – incolpare i dittatori destituiti – o da rovesciare – di aver “tirato troppo la corda”.
Tutti siamo capaci di verità parziali, ma non riusciamo a risolvere il nodo del potere cercato come “obiettivo ultimo”.
Tento di chiarire. Ogni persona arrivata ai vertici di un’organizzazione o di uno Stato ha avuto il sostegno, il consenso, o almeno il passivo riconoscimento, di una maggioranza.
Quando una persona, rimanendo al potere si dedica al servizio dei suoi – sia pur con alti e bassi – continua ad essere sostenuta e riconosciuta autorevole. Esempi recenti sono Lula in Brasile e Michelle Bachelet in Cile.
Dalle nostre parti, nell’area mediterranea, arrivando al potere, facilmente si perde la memoria e ci si considera sopra gli altri, esonerati dal dover “rendere conto” dei propri comportamenti – personali e di scelte politiche.
La politica è l’impegno più alto e più delicato che una persona si possa dare, ma a condizione del lasciarsi sempre alimentare dal flusso dei valori e dei bisogni dei concittadini.
Oggi un “fenomeno di Alzheimer socio-politico” ha contagiato parecchi al potere…non solo negli Stati nordafricani affacciati sul Mediterraneo.
… Ma la gente non può perdere la memoria perché vive quotidianamente per affrontare i suoi bisogni essenziali, alla luce dei valori tradizionali ereditati.
La rivoluzione sarà una scelta obbligata – magari più volte rinviata per paura – perché è in gioco la propria identità.
Quindi si tratta di cambiare o morire. Con tutte le nostre forze auguriamo si tratti di un cambiamento per la vita, anche se troppe persone saranno costrette a morire.

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