Chioggia, come fu per me Venezia è stato un innamoramento a prima vista. Nella parte vecchia non esistono strade, ma calle e fondamenta. Il centro storico è come un pesce, la cui spina dorsale è il lungo corso centrale, porticato in parte. Le lische sono rappresentate dalle calle trasversali al corso che portano poi alle due fondamenta laterali. Un’urbanistica semplice ma bella, con un campanile che ha l’ingranaggio più antico del mondo per far andare l’orologio. Chioggia la definiscono “la piccola Venezia”, ma è riduttivo. Il suo fascino sta nell’autenticità. Elemento che la città dei Doge ha un po’ perso. Qui non arriva il grande turismo e così la popolazione indigena si mescola ai vacanzieri, e nelle calle senti parlare solo in dialetto. I chioggiotti sono orgogliosi e testardi, anche un po’ focosi. Qualcuno li considera “i napoletani del Nord”. Già da questo voler cercare sempre confronti si può capire un certo loro orgoglio, che non ci sta ad essere secondi a qualcosa o qualcuno. «Siamo più antichi noi di Venezia – mi dice Marco Tiozzo, “capitano” dell’Ulisse, un Bragosso che solca la laguna di Chioggia- e ci hanno copiato tante cose. Guarda il ponte di Vigo, è in piccolo quello di Rialto, ma il nostro è più vecchio. Poi noi abbiamo il porto con il maggior numero di imbarcazioni in Italia, abbiamo il radicchio più buono…». E via a sciorinare dati e riferimenti storici. Non sono comunque questi a far la bellezza di questa incantevole città.
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