“Carceri, è tortura di Stato”. Ha ragione Sofri?

Ormai è un must dell’estate. Scoppia il caldo, le attività educative si fermano, il numero degli agenti di Polizia Penitenziaria si riduce causa vacanze e il carcere con i suoi problemi torna ad affollare tg e giornali. Questa estate ne ha parlato anche Adriano Sofri, giornalista e scrittore per anni detenuto nel carcere di Pisa. E lo ha fatto con una riflessione dura, che non fa sconti: “Carceri, è tortura di Stato“.
«Chiunque soffre a queste temperature – dichiara Sofri – la mancanza d’aria fresca, ha difficoltà a muoversi, a spostarsi e a dormire. Se trasferiamo queste sofferenze in una cella dove lo spazio è di due metri quadrati è facile immaginare cosa succede dentro le prigioni […]. La realtà è che nelle carceri italiane c’è la tortura. Non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. Queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, si configura come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato esiste anche un torturatore. Non parlo degli agenti penitenziari che sono a loro volta, in senso lato, dei semidetenuti, ma delle autorità che hanno a che fare con questo sistema».

In provincia di Varese, dove il sovraffollamento è un dato di fatto soprattutto nell’istituto bustocco, l’estate ha portato una novità . Non più come come negli anni passatti attività sospese, ma un insieme di proposte che sia a Varese che a Busto hanno permesso alle persone detenute di non passare due mesi solo fra “cella e ora d’aria”.

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“Anche io sono come te”

Un messaggio semplice, ma diretto. “Anche io sono come te” è l’iniziativa promossa dal quotidiano Varesenews in occasione della settima edizione della sua festa. Anche la Casa circondariale di Varese ha aderito con Tiziano e Richard. Con loro anche la responsabile dell’area trattamentale Maria Mongiello.

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“Oggi mia figlia può dire che papà è in Italia a lavorare”

Sveglia, colazione, lavoro, rientro e cena. Una vita “normale”, anche se la residenza di Arian al momento è in via Per Cassano 102, ovvero nella casa circondariale di Busto Arsizio. La sua storia la trovate su Varesenews: da più di due anni sconta una pena nel carcere bustocco, ma ora ha trovato lavoro come addetto alle pulizie in un asilo e nei weekend può uscire in permesso e incontrare la sua famiglia. 
La storia  di Arian si intreccia con quella delle decine di persone che negli anni sono passate da Casa Onesimo, una delle strutture chiave del progetto “Non solo accoglienza…”. Un’esperienza che per Arian ha significato sicuramente molto. «Se non era per Casa Onesimo – racconta – per uno come me sarebbe stato impossibile essere qui adesso».

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Una casa per i detenuti “senza famiglia”

Da Varesenews (16 giugno 2010)
 
Casa Onesimo non è solo un “dormitorio” o un luogo per trascorrere qualche ora serena fuori dal carcere. Casa Onesimo è “la famiglia” che tanti detenuti stranieri non hanno qui in Italia. La struttura è nata cinque anni fa su iniziativa di Don Silvano Brambilla, il cappellano del Casa circondariale di Busto Arsizio, e dell’Associazione VolGiTer (Volontariato Giustizia Territorio), che la gestisce insieme alla Cooperativa Intrecci. Nella palazzina a due piani che sorge in via Lega Lombarda, a fianco del centro dei missionari del Pime che ha anche messo a disposizione la struttura, da anni vengono accolte persone straniere in asilo politico e persone che ruotano intorno al mondo del carcere. In quest’ultimo caso si tratta sia di detenuti nel carcere di Busto che hanno diritto ai permessi premio, ovvero qualche giorno fuori dall’istituto, che di ex detenuti che non hanno un punto di appoggio una volta usciti. A parte qualche raro caso, Casa Onesimo è “abitata” quindi solo da immigrati. Per i “permessanti” infatti è necessario avere un luogo garantito in cui passare il tempo fuori dall’istituto. Condizione, questa, praticamente impossibile per gli stranieri che in Italia non hanno nessuno, come ci ha raccontato anche Arian, uno degli ospiti. Con la nascita di questa casa di accoglienza è stata trovata invece una soluzione anche per loro. Nei fine settimana infatti tre detenuti che hanno ottenuto la possibilità di usufruire dei permessi premio possono trascorrervi due giorni e due notti.
Fra ospiti, operatori e volontari la famiglia di Casa Onesimo è composta da circa quartana persone.
La struttura offre infatti quattordici posti letto per gli asilanti, tre nel weekend per i permessanti e due per ex detenuti. Gli educatori e l’assistente sociale che ci lavorano fanno capo alla Cooperativa Intrecci. L’obiettivo principale della loro attività è quello di aiutare queste persone a rendersi sempre più autonome sia dal punto di vista della lingua, che del lavoro che della mobilità nella nuova città in cui ci si trovano. Tutto questo viene realizzato in stratta collaborazione con i volontari che si occupano anche della gestione quotidiana della casa: lavare, stirare, cucinare e pulire.
Casa Onesimo e i suoi progetti di accoglienza per detenuti ed ex detenuti fa parte del progetto “Non solo accoglienza”, che proprio a maggio ha iniziato la sua attività.

Sede e riferimenti per i contatti:

Casa Onesimo
Via Lega Lombarda, 18
Busto Arsizio (VA)
Tel. 0331.341939
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Parlare di carcere? Si può, anzi…si deve

Confrontarsi e dialogare per imparare a conoscere e capire. Nella società di oggi, sempre più complessa e globalizzata, sono tanti i temi che richiedono nuove e maggiori riflessioni. Fra questi c’è sicuramente quello della detenzione e del carcere, un “pianeta alieno” per molte persone che spesso ne sentono parlare solo in televisione per il sovraffollamento, casi di cronaca eclatanti o come “soluzione” a una sempre maggiore gamma di reati.

Ma il carcere, è ben altro. Il carcere è parte della società perchè “fisicamente” gli istituti sorgono entro i confini delle città e perchè, fra quelle mura, vivono persone che vengono dalla società esterna e che, prima o poi, ci torneranno. Il carcere è parte integrante della società italiana.
Per questo è necessario costruire un dialogo fra “dentro e fuori”. È importante per chi sta “dentro“, per non perdere il contatto con la realtà e capire che è possibile scegliere una strada diversa. Ma è importante anche per chi sta “fuori“, per comprendere che il carcere non è qualcosa di estraneo e, soprattutto, che la sicurezza individuale e comune non passa attraverso “l’ingabbiamento” dei criminali, ma attraverso un percorso che mostri loro altre possibilità.  

Questo blog non ha la pretesa di esaurire tutti questi temi o tantomeno di offrire soluzioni. Carcere 2.0 nasce da “Non solo accoglienza…“, un progetto promosso da vari partner per dare risposte concrete ai bisogni di reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti della provincia di Varese. Questo spazio vuole quindi raccontare l’evoluzione di questo progetto, ma anche diventare un’occasione di riflessione e confronto sul tema del carcere e della detenzione. Per questo vogliamo provare – partendo anche da articoli, fatti di cronaca e contributi esterni – a porci delle domande e riflettere insieme.

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