L’attesa è sotto l’acqua

Pubblichiamo questo articolo apparso su Varesenews: “Sotto l’acqua aspettando di incontrare papà ai Miogni“.
Ogni altro commento è superfluo. Vi chiediamo solo una cosa: rispondete, come volete e come potete, all’appello del carcere!

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Storie di migranti in concorso

Tante storie, tante esperienze di vita da conoscere per capire. È questo lo scopo dell’iniziativa promossa dalla Casa Circondariale di Varese e da Auser Varese (Associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà): il concorso artistico e letterario “Verso l’Italia – Esperienze, Emozioni, Episodi“. 
Il concorso è una delle iniziative intraprese per far emergere il più possibile le storie dei tanti migranti che negli ultimi anni affollano gli Istituti Penitenziari Italiani per far conoscere l’aspetto umano e la sofferenza vissuta per raggiungere il nostro paese. Partito nel mese di maggio, è rivolto a tutti i detenuti stranieri degli Istituti Penitenziari della Lombardia e prevede due sezioni, ovvero il racconto breve e/o l’elaborato artistico di pittura/disegno, aventi entrambi come temi il viaggio, la migrazione e la personale esperienza.
La premiazione, aperta a tutti. è in programma giovedì 11 novembre alle ore 17,00 nella Sala Montanari del Comune di Varese (via Bersaglieri 3).

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Premiati a Perugia

I “Dolci in libertà” sono il “miglior prodotto artigianale” 2010. A dirlo è Eurochocolate, la tradizionale manifestazione tutta dedicata al cioccolato di Perugia. I prodotti realizzati nel laboratorio appena inaugurato nella Casa Circondariale di Busto Arsizio sono stati premiati lo scorso weekend.

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“Fuori mi servono casa e lavoro”

 La storia di Nando: alla vigilia della scarcerazione, chiede aiuto ai Servizi Sociali per poter avere davvero una nuova chances nella società.

Mi chiamo Nando e vengo dalla Campania. Al mio paese di origine, lavoravo al mercato ortofrutticolo, ma i frequenti litigi tra padre e figlio, titolari della piccola azienda, portarono alla rottura della società, con l’amara conseguenza del mio licenziamento. La ricerca di una nuova occupazione si rivelò subito difficile e purtroppo vana, anche perché non avevo alcun titolo di studio. Le condizioni modeste della mia famiglia mi avevano obbligato ad abbandonare presto la scuola. Vivevo in un rione popolare squallido e abitato da individui abituati a sbarcare il lunario “arrangiandosi” (foto realizzate dal Circolo fotografico bustese).
Da disoccupato, cominciai a trascorrere molte ore in loro compagnia, sulla strada. Un passaggio in macchina oggi, un pacchetto di sigarette domani, dieci o venti euro allungati per fare benzina, piccol,e ma frequenti donazioni mi resero debitore nei confronti di queste persone organizzate in un gruppo malavitoso. Arrivò presto il giorno in cui dovetti ricambiare i favori ricevuti.
Andò subito male. Fui arrestato e portato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Fui condannato per favoreggiamento a sei anni e sei mesi di reclusione. Durante i primi tre anni ho avuto modo di meditare sulla mia situazione e mi sono ripetutamente chiesto che cosa mai volessi fare della mia vita. Per riprenderla in mano, dovevo assolutamente allontanarmi da quell’ambiente, anche carcerario. Pensai che non mi avrebbe fatto male riconciliarmi con la scuola, anzi, con tutto quel tempo a disposizione, avrei potuto diplomarmi. Come uditore, frequentai di nuovo la terza media, unico corso di studi presente nel carcere.
A salvarmi arrivò una circolare appesa in bacheca, che invitava a iscriversi a un corso professionale di operatore della gestione aziendale presso la Casa Circondariale di Busto Arsizio. Chiesi immediatamente il trasferimento per ragioni di studio, pur sapendo che avrei dovuto sacrificare i colloqui settimanali con i miei familiari (soprattutto con mia madre) e rompere qualsiasi legame con gli amici. Ottenni ciò che desideravo. Fui felice di troncare con il passato, perché ritenevo negativa l’influenza dell’ambiente su di me.
Ed eccomi qui, alla vigilia del mio rilascio definitivo, con un diploma che spero, un giorno, possa aprirmi le porte di un lavoro qualificato.  Che altro dire? La mia storia conferma pienamente la funzione rieducativa del carcere. La mia volontà di cambiare, di porre rimedio a una situazione disastrata di degrado anche morale mi ha spinto a rispondere positivamente alle proposte dell’area educativa, svolgendo, accanto al lavoro di studente, quello di bibliotecario e di addetto al guardaroba, come volontario. Non sono mai stato lasciato solo, chiuso in cella. Tante persone (psicologa, assistente sociale, cappellano, insegnanti, assistenti volontarie…) mi hanno sostenuto nei momenti di abbattimento morale; le educatrici si sono sempre interessate a me e lo fanno tuttora, soprattutto in vista della mia uscita.
Sto vivendo un momento particolarmente difficile. Si agitano in me sentimenti contrastanti. La gioia di ritrovare la libertà è offuscata dalla paura di essere solo ad affrontare i rischi e i problemi della nuova vita. Nelle mie riflessioni notturne mi accorgo di tremare.
Ecco la necessità, per uno come me che ritorna dopo anni nella società, della presenza dei Servizi Sociali. Ho bisogno che mi aiutino a trovare una casa e un lavoro, perché credo che – per la mia rinascita – sia fondamentale rimanere al Nord, lontano da un ambiente in cui sarebbe facile ricadere nei vecchi errori. L’assistenza da parte delle istituzioni eviterebbe che “i problemi sociali si trasformino in problemi di ordine pubblico”.
Credo che favorire il mio reinserimento – come quello degli altri detenuti -, non solo impedirà a me di commettere nuovi reati, ma assicurerà di conseguenza alla società maggiore sicurezza.

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Quattro case per ricominciare

Che fare se, una volta usciti dal carcere, non si ha una famiglia da cui tornare, un lavoro da ricominciare o anche solo una casa? Non è difficile capire che, senza rete, è più facile il rischio di tornare a delinquere perchè non si vedono alternative o perché “i vecchi amici” tornano a bussare alla porta. Per questo, per reinserirsi nella società, per alcuni ex detenuti è fondamentale il supporto anche fuori dal carcere. Può trattarsi di stranieri che qui non hanno la famiglia, di italiani che non vogliono o non possono tornate in famiglia, di persone che “semplicemente” vogliono ricominciare da zero.
Per questo il progetto “Non solo accoglienza” ha messo a disposizione anche quattro appartamenti per accogliere chi, trovato un lavoro, ha bisogno ancora di un supporto prima di tornare all’autonomia totale (qui l’articolo). Le quattro abitazioni – presto saranno cinque – sono state donate da privati cittadini. Le due di Busto Arsizio sono state messe a disposizione in comodato d’uso da una cittadina. Quelle di Varese sono state invece donate come eredità da Iva Ciafrè (foto), docente e coordinatrice del Centro Enaip.  scomparsa nel 2004. «Ancora una volta dobbiamo ringraziare la generosità dei cittadini» è il ringrazimento di Marco Pozzi, presidente di Volgiter.

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“Maestri cioccolatai” anche contro il pregiudizio

Lunedì scorso è stato finalmente inaugurato il laboratorio di cioccolateria nella Casa Circondariale di Busto Arsizio. Una grande festa per dare il via ufficiale al progetto “Dolci Libertà”: un’iniziativa che ha già riscosso molto successo in Italia (con ad esempio un invito a partecipare al Festival del cioccoltao di Perugia) e che, soprattutto, darà un lavoro a quaranta denetenuti.
La stampa, locale e non, ha dato grande spazio al racconto di queste nuova avventura. Qui vogliamo riportare l’articolo di Varesenews e soprattutto parlare dei commenti inviati da alcuni lettori.
Scrive Alex: “Ma invece che fargli fare i Maestri pasticceri non sarebbe meglio fare come in America che li usano per pulire i bordi delle autostrade oppure li usano per pulire i boschi o le spiagge o i letti dei fiumi??? Il carcere non dovrebbe essere una sala giochi …. altrimenti decade il discorso di scontare una pena ….”.
Caro Alex, “…li usano…”? Ognuno può avere una propria opinione rispetto al ruolo delle carceri (che ricordiamo, sono servizi per la società, non discariche sociali), ma le persone – detenute o no – non si “usano”.
Per il resto, riportiamo la risposta che Giorgia dà ad Alex: “Imparare un mestiere in vista del reinserimento sociale non è andare in sala giochi. Dovresti entrare in un carcere e cercare di capire di cosa stiamo parlando prima di banalizzare così su un tema tanto delicato”.

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Busto terza in “classifica”

431 reali contro 167 teorici. Con questi numeri la Casa Circondariale di Busto Arsizio si colloca al quinto posto della classifica nazionale. Quale classifica? Quella delle carceri su affollate d’Italia. Anzi, per la precisione, è la prima fra quelle di grandi dimensioni.
Di questa realtà scrive oggi il quotidiano Varesenews. Interessante l’analisi che fa Sergio Preite, l’Agente di rete intervistato dal giornalista: «Parliamoci chiaro: un pronto soccorso nasce per l’emergenza, e in quella lavora, 24 ore su 24, sempre. Il carcere nasce con un’altra vocazione… ma è altrettanto in emergenza. Cosa dire quando i detenuti in cella sono oltre il doppio del dovuto? Il carcere è un servizio per il territorio: bisogna farsene una ragione, almeno porsi la domanda. Perfino chi, sbagliando, lo vede come discarica sociale, dovrebbe porsela: anche la discarica è un servizio, e quando è piena, è piena, punto».

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Sicurezza alla Fiera di Varese. E il carcere?

Pubblichiamo questa lettera aperta di Sergio Preite, un operatore del privato sociale, al sindaco di Varese.

Egregio Signor Sindaco,
mi chiamo Sergio Preite, sono un operatore del privato sociale e da diverso tempo collaboro con le Case Circondariali di Varese e di Busto Arsizio.
Ho colto con interesse e soddisfazione la scelta del Comune di Varese di dare vita ad un’iniziativa che provi ad affrontare in maniera articolata e multidimensionale un tema complesso quale è quello della sicurezza. Sappiamo quanto sia cruciale oggi affrontare in maniera pragmatica un “programma di sicurezza” che non insegua le analisi sommarie dei fatti di cronaca ma sia capace di anticipare i problemi, individuare le cause ed intervenire in maniera decisa, seria e rassicurante. Come ogni capitolo del nostro vivere civile anche la sicurezza prevede a monte un lavoro di sensibilizzazione culturale capace in prima battuta di far percepire il valore positivo della Comunità Locale impegnata a non lasciare nessuno da solo di fronte ai rischi della vita. Ben venga allora una Fiera sulla Sicurezza.
In merito a questa lodevole iniziativa, mi permetta Signor Sindaco di renderla partecipe di una mia perplessità. Sono perplesso per non aver trovato all’interno del programma della Fiera uno spazio di comunicazione pubblica dedicato al carcere.
Da operatore mi rendo conto di quanta cattiva informazione ruoti intorno al “pianeta carcere”, quotidianamente registro nel pensiero comune una forte ignoranza circa la funzione della pena e i compiti del carcere. Normalmente si parla di galera solo quando i media vogliono attirare attenzione su casi eclatanti, ma l’intelligenza di cui disponiamo dovrebbe insegnarci che la vita è fatta di quotidianità, di continuità, non tutti i giorni infatti ci capita di recarci a nozze o funerali (per fortuna!). Formarsi un’idea sulla realtà detentiva basandola sull’esperienza di un Vip recluso o sul colpevole di un reato aberrante non aiuta a certo capire cos’è il carcere e soprattutto perché il carcere oggi è un Servizio essenziale per la sicurezza di tutti noi cittadini.
La superficialità con cui una buona parte dell’opinione comune affronta problemi di ordine pubblico immagina che una volta affidato il colpevole di un reato alle patrie galere, la minaccia sociale magicamente scompaia, non esista più, come se il reo fosse stato cancellato dalla Comunità di cui è parte (e nella quale tornerà ad abitare). Sappiamo che non è così.
La pena nel nostro Paese non ha solo una funzione sanzionatoria e deterrente ma , in base alla nostra Costituzione, ha anche finalità di favorire il reinserimento sociale della persona detenuta. La logica del “buttare la chiave” è illusoria e di nessuna efficacia, limitarsi agli arresti non è sufficiente per proteggere la Comunità.
La ricerca e l’esperienza ci hanno insegnato che una vera difesa sociale che non sia temporanea ma definitiva, si realizza solo impedendo che il detenuto commetta ulteriori reati. Partecipare al reinserimento sociale del detenuto non è solo un principio morale ma è anche l’unica soluzione praticabile e a ben vedere anche la meno costosa.
Signor Sindaco, penso che una Fiera sulla Sicurezza oggi più che mai debba poter raccontare ai Cittadini che se vogliamo vivere in un luogo protetto, capace di intercettare e lavorare con le parti oscure e disgraziate della nostra società abbiamo bisogno anche del Carcere e di chi in carcere lavora con passione e competenza in perenne situazione di emergenza.
In ultimo ci tengo a sottolinearle che questo mio piccolo post-it da incollare (se crede) sull’agenda delle iniziative culturali, non ignora, ma anzi ringrazia, il lavoro prezioso che i Servizi Sociali della Sua Amministrazione svolgono quotidianamente per evitare che problemi sociali si trasformino in problemi di ordine pubblico.

Con stima
Sergio Preite

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Una festa per i fedeli musulmani

Quasi 25mila persone straniere nelle carceri italiane. Il dato ufficiale, aggiornato al 31 agosto, ci dice quindi che il 36,5 per cento delle persone detenute nel nostro Paese arriva all’estero. Si tratta soprattutto di marocchini, romeni, tunisini, albanesi e nigeriani per citare solo le prima cinque nazionali. Convivenze non sempre facili “fuori” che “dentro” sono rese ancora più difficile dagli spazi ristretti e la vicinanza forzata ventiquattro ore su ventiquattro.
Ma la realtà è la realtà: i detenuti stranieri ci sono con i loro diritti e le loro esigenze. Fra queste, per chi è di fede musulmana, c’è la quella di pregare il venerdì e seguire il Ramadan. Per questo ogni anno il ministero dispone che, durante il mese sacro, anche negli istituti penitenziari ci sia un’attenzione particolare per i fedeli musulmani. Un’attenzione che la Casa Circondariale di Varese dedica loro già abitualmente sia come spazi per pregare che come cibi cucinati. Quest’anno in occasione del mese sacro, oltre alla possibilità di riunirsi per la preghiera e di avere i pasti al tramondo del sole, l’istituto e in particolare l’area educativa hanno deciso di organizzare anche un momento di festa finale. «Abbiamo deciso di organizzare una festa alla fine di questo percorso – racconta Maria Mongiello, la responsabile dell’area educativa -. Venerdì 11 settembre dalle 13 alle 15 i fedeli, gli operatori e il nuovo cappellano Don Marco si ritrovernanno nella sala colloqui per pranzare insieme. Un detenuto cucinerà un piatto tipico musulmano, il cous cous. Purtroppo non siamo riusciti a trovare dolci tipici e quindi abbiamo deciso di optare per un “classico” tiramisù».

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Ripartire anche dal teatro

Da più di due anni, nella Casa Circondariale di Busto Arsizio è nato “Mezzo Busto” un giornale scritto ed impaginato da un gruppo di persone detenute. Il nuovo numero, quello di settembre, è appena uscito (per informazioni mezzo_busto@libero.it). Vi proponiamo un articolo scritto da Gianni sullo spettacolo teatrale che si è svolto in luglio. I ragazzi che hanno frequentato il laboratorio teatrale hanno messo in scena “Pinocchio” sotto la direzione dell’attrice Elisa Carnelli

“Ero davvero scettico nell’avvicinarmi alla sala teatro del carcere per assistere ad una fiaba messa in scena da una “banda di detenuti”. Invece ho visto “Pinocchio”, mi ci sono immedesimato ed infine, alla canzone del mio “menestrello” preferito, Bob Dylan, ho pianto! È sempre meraviglioso emozionarsi, ma lo è ancor più quando non è programmato. D’altronde le emozioni agli esseri umani occorrono per sentirsi liberi e vivi.
Devo un grazie particolare alla “fata turchina Elisa”, ovvero Elisa Carnelli, l’attrice che ha condotto il laboratorio teatrale e diretto lo spettacolo. Ogni volta che all’interno di un istituto di pena entra una ventata di cultura resta un segno indelebile che il tempo non potrà mai cancellare. Il mio grazie è indirizzato quindi principalmente a lei, ma anche a tutti coloro che hanno partecipato allo spettacolo per avermi donato, anche se per un solo attimo, delle “buone vibrazioni”.
I pinocchi, tutti magnifici nella loro recitazione, hanno donato quel che meglio possiede un recluso: la libertà espressiva! L’evoluzione collodiana, da legno a carne, si addice al detenuto e colpisce nel segno: siamo da considerare esseri umani pronti al recupero o resteremo per sempre “legna da ardere”? I pinocchi del carcere di Busto Arsizio, al termine dello spettacolo, hanno ammesso di essere stati burattini bugiardi ed hanno confessato con sincerità i loro errori legati al passato delinquenziale. Ma hanno prospettato con forza un domani migliore che coinvolga, al tavolo della discussione, anche i burattinai affinché il confronto non rimanga impari e senza contraddittorio.
Un libro, della buona musica o un film tendono sempre a rieducare e, soprattutto, sono degli ottimi “compagni di viaggio” per chi il proprio tempo, per ora, non può decidere liberamente come passarlo. A questi devo aggiungere il teatro poiché al di fuori di questa mura sono usciti pensieri e parole cariche di significato: il detenuto, per un momento, grazie alla “fata turchina” è stato l’attore principale della propria esistenza.
Ci auguriamo che questa splendida iniziativa non rimanga una cattedrale nel deserto. Certo non ci aspettiamo che “Geppetto” costruisca un altro burattino parlante, non pensiamo che il gatto e la volpe si redimano all’istante, non possediamo l’abilità di Mangiafuoco e non ci illudiamo che esista a priori la panacea di tutti i mali, compresi quelli legati alle istituzioni del pianeta carcere. Ma, vi preghiamo di cuore, non ci togliete la “fata turchina”: ne abbiamo bisogno per sperare in un domani migliore”.

Complimenti ancora a tutti!
Gianni

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