Nelle precedenti interviste abbiamo parlato spesso di esperienze all’estero, ma questa volta il punto di vista dell’instagramer di cui facciamo la conoscenza è un pochino differente, in quanto Giuliana Miglierina ha sia un genitore peruviano che uno varesino (di Cittiglio per la precisione).
Facciamo quindi con Giuliana un tour del Perù visto con gli occhi di un architetto dalla doppia origine.
1. Descrivi in poche righe chi sei
Mi chiamo Giuliana Miglierina, sono una giovane architetta curiosa e determinata. Sono nata e cresciuta a Cittiglio da un cittigliese doc e da una peruviana trapiantata in Italia da 30 anni. Mi sono diplomata al liceo scientifico, dopo aver trascorso un anno di interscambio negli Stati Uniti. Ho poi iniziato i miei studi di architettura al politecnico di Milano, interessandomi soprattutto all’aspetto più sociale dell’architettura, sia per quanto riguarda la residenza che lo spazio pubblico. Per la tesi magistrale sono stata un periodo di 6 mesi in Perù dove ho potuto approfondire questi temi e dove sono entrata direttamente in contatto con una cultura che fa parte anche di me. Sono poi tornata in Perù grazie al servizio civile italiano per collaborare con un’associazione che costruisce infrastrutture educative nella foresta amazzonica. Ora in attesa di decidere quale sarà la mia prossima esperienza, lavoro in un piccolo studio a Milano.
2. Come è stata la tua esperienza con l’account di VareseNews?
È stata una bella sfida quella di cercare di raccontare attraverso una sola immagine e poche righe una cultura e un contesto tanto diverso dal nostro quotidiano, cercando di far uscire anche la parte più nascosta all’occhio turistico occidentale.
3. Cosa pensi di Instagram come mezzo di comunicazione?
Mi piace come forma di condivisione, anche se molto veloce, e trovo stimolante venire incuriosita da certe immagini, siano esse di luoghi o cose. La sensazione negativa è che ci si rende conto di come una semplice foto non possa raccontare tutto il vissuto che sta dentro e dietro o come dentro di essa possa esserci così tanta “poca verità”. Si cerca sempre di esagerare un po’, trasformare tutto in bello anche a costo di falsificare la realtà. A volte si percepisce proprio una sorta di “gara” al più speciale, al più bello, al più avventuroso, al più..” ci si mette quasi in competizione con gli altri per far sembrare la nostra vita “più interessante, più divertente, ecc.”.
4. Cosa ti piace raccontare?
Mi piace raccontare attimi, luoghi o cose particolari, trasmettere attraverso un’immagine qualcosa di diverso. Non condivido mai foto di me stessa.
5. Cosa significa gestire un account Instagram per una testata giornalistica e cosa pensi del progetto Convaresenews?
Il progetto mi sembra molto interessante non lo conoscevo prima di questa esperienza ma ora lo seguo molto volentieri. Conoscere aspetti di un luogo o di una città da un punto di vista determinato è stimolante e stuzzica la curiosità rispetto ad alcuni determinati luoghi. Personalmente ho sentito anche una certa responsabilità etica rispetto a quello che stavo facendo vedere e a quello che scrivevo. Ho cercato di fare molta attenzione perché quando si raccontano contesti tanto diversi e anche tanto stereotipati si possono creare dei fraintendimenti o degli equivoci in coloro che li vedono per la prima volta.
6. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Mi ha insegnato quanto difficile a volte possa essere comunicare un determinato messaggio in maniera molto diretta e sintetica.
7. Cosa ti ha colpito di più del Perù?
Mi colpiscono molto i forti contrasti che si incontrano quotidianamente: bellezza e degrado, natura e cemento, ricchezza e povertà, caos e ordine, colori e grigiore.
Del popolo peruviano mi colpisce l’allegria, la voglia di riscatto, la fantasia di sapersi sempre mettere in gioco e la creatività di inventare soluzioni diverse per risolvere un problema.
Non è gente che sta con le mani in tasca, anche se poi non sempre il risultato è quello sperato o la forma non è la più giusta. C’è sempre la voglia di non accontentarsi della propria situazione, anche se non sempre la forma o il tipo di riscatto corrispondono all’idea occidentale della cosa. Mi sembra che il mondo europeo sia più concentrato al modo in cui si fanno le cose, analizza, programma, pensa e ripensa fino all’ultimo dettaglio, aspetta “il momento giusto” e questo spesso diventa un freno. Nella cultura latino americana invece le persone si “buttano di più”, iniziano a fare, si mettono in gioco senza aspettare che sia necessariamente “il momento”, affrontano le situazioni che gli si presenteranno man mano. È più un facciamo, poi vediamo man mano che si presentano i problemi a come risolverli.
8. Come vivi la doppia origine Perù-Italia?
Riflettendo oggi mi rendo conto di quanto sia fortunata ad avere questa “doppia cultura”.
Mia mamma è sempre stata molto brava e attenta nel rendere parte della nostra vita quotidiana anche le tradizioni e i costumi peruviani. La lingua, le storie, le tradizioni, il cibo (se c’è un popolo altrettanto orgoglioso della propria tradizione culinaria sono i peruviani!) ma anche le feste e i balli tradizionali ci hanno accompagnato crescendo.
La “piñata” durante le nostre feste da bambini, la “marinera” ( il ballo tradizionale del nord del paese) che ho imparato quando avevo 6 anni, il “ceviche” (un piatto a base di pesce marinato nel lime) immancabile durante ogni pranzo di famiglia, il “lonche” (una sorta di merenda tra le 17 e le 18 in cui si beve del tè o del caffe con dei panini con “jamon” o frittata) con le zie, una scusa come un’altra per riunirsi e chiacchierare.
Ovviamente crescendo é stato un qualcosa con cui mi sono dovuta confrontare, non sempre in maniera facile o scontata, per cercare di fare un po’ di ordine anche durante le fasi più “ribelli”.
Questi ultimi anni che ho trascorso in Perù mi sono serviti anche per avere una maggiore consapevolezza di quella metà di me che appartiene a quella terra affrontando questo tema anche in maniera più matura.