Argeta Brozi, un fenomeno, incontrata per caso nel web

Imperversa nella rete, su Facebook è seguitissima, sul web è un piccolo fenomeno editoriale. Argeta Brozi è giovane e graziosa, due qualità di per sé ideali per catturare migliaia di fans sul web. Argeta Brozi, però, non è una blogger qualsiasi, non impazza nella rete con il metodo più facile per una bella ragazza. Ha successo, invece, con la cultura: come scrittrice e come editrice. A soli 26 anni. Non conosco i suoi libri, ora con pazienza mi metterò a leggerne almeno uno: m’incuriosisce moltissimo il suo “Prendimi l’anima”, già alla sesta ristampa. Il web è pieno di recensioni di suoi libri. Qualcuno ha letto i suoi racconti? Lettori naviganti nella rete, fermatevi nella tana del topo e parlateci dei libri questa ragazza. La sua è la storia di una scrittrice che ha deciso di fare da sé, si è rimboccata le maniche e ha avverato i suoi sogni con le proprie forze e i propri mezzi, senza starsene ad aspettare mecenati o altre illusioni. Argeta, italiana di origini albanesi, viene da Correggio (Re) e ha accettato di raccontarci qualcosa di sé.

Argeta Brozi, sei più editrice o scrittrice?

«Sono più un’amante dei libri. Mi piace scrivere, mi piace leggere, non potrei fare a meno di nessuno dei due!»

Come nasce una casa editrice? E, soprattutto, come una giovane autrice (molto giovane) riesce a realizzare un simile progetto in Italia… (allora, anche da noi si può!)

«Tutto nasce dalla passione, da un’idea, un progetto: un sogno! Poi c’è un aspetto più tecnico. Ho fatto tanti anni di gavetta gratuita prima di buttarmi in un progetto tutto mio. Molte cose, poi, s’imparano durante il percorso, altre si inventano. Anche perché bisogna sempre sperimentare nuovi modi per colpire il pubblico. Certo, in Italia tutto è molto più difficile: pochissimi lettori, tanti scrittori, poche vendite, tante tasse… uff! Una sfida difficile insomma, un lavoro concorrenziale e non ad armi pari… Ma quando si tiene tanto a un progetto, quando si crede in qualcosa, non c’è niente che possa fermarlo!

Ti va di parlarci un po’ di te? Ho letto dalla tua biografia che sei nata in Albania… Dove abiti ora?

«Dal 1991 abito a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. È una città piccola, tranquilla, forse troppo! Ma un buon posto per scrivere. Che cosa dire di me stessa? Sono un mix di forza e dolcezza, timida e caparbia. Ho la passione per la lettura da quando avevo 8 anni e scrivo da quando ne avevo 9. Sono follemente innamorata dell’America e dei sogni ad occhi aperti, ma poi finisce che razionalizzo tutto e resto con i piedi per terra. Amo aiutare il prossimo e stare con i bambini, soprattutto con il mio nipotino Jonathan, non è perché sono di parte, ma è proprio un amore! Anche a lui piacciono molto i libri della Butterfly Edizioni: ci gira sempre intorno! E soprattutto gli piace stare davanti al pc con me, mentre lavoro».

Pubblicare a pagamento: una piaga per la buona narrativa, oppure un’alternativa per emergere nel mare di proposte letterarie?

«Una soluzione tutta italiana, ma il discorso sarebbe piuttosto lungo! Gli scrittori non si contano, quelli che si credono tali pure: gli editori sanno che, se vogliono sopravvivere, devono usare ogni mezzo: a volte, purtroppo, anche con mezzi sbagliati, magari chiedendo cifre assurde. Secondo me, invece, anche per gli editori più piccoli basterebbe avere il lavoro pagato. Se sei un “piccolo”, è comprensibile che non si voglia rischiare di fare il passo più lungo della gamba, con una perdita enorme. Sono, tuttavia, convinta anche che sono solo 2, le tipologie di libri pubblicabili: quelli belli e commerciabili e quelli belli anche se poco commerciabili. Significa che se una storia, a leggerla non piace, non va pubblicata, anche se l’autore in questione pensa di essere il nuovo Stephen King. Pubblicare a pagamento, a certe condizioni, sì, è un’alternativa per emergere, per pubblicare libri che meritano: proposte magari di nicchia e quindi più difficili da vendere».

Un autore/editore è un’anomalia, un po’ come il “topo di campagna” (il protagonista del mio blog) che fa nascere un blog e non lo vuole tenere solo per sé… In genere gli scrittori sono spesso e volentieri “autoreferenziali” quando dicono o fanno qualcosa…Come si riesce, invece, a superare questo limite? Quando una scrittrice si fa da parte e diventa editrice per altri?

«È difficile scindere le due cose: io ragiono sempre sia come editrice, sia come scrittrice… Mi sforzo di andare incontro agli autori, cercando di fare quello che io, come scrittrice, ho sempre desiderato ricevere. Certo, nel ruolo di editore devo far quadrare i conti, anche perché, se non quadrassero, chiuderei in un attimo e addio libri, autori, e sogni. Più che essere autoreferenziale e quindi dire “ho scritto un libro bellissimo”, a me piace andare oltre. Cerco di dimostrare che un certo libro sia effettivamente bellissimo e apprezzabile dal pubblico. Fino a oggi le recensioni ricevute per i libri pubblicati da Butterfly Edizioni sono state positive e molto incoraggianti. Il consenso dei lettori è la soddisfazione più bella».

L’Italia è un Paese di calciatori, cantautori e/o scrittori noir (se sei adulto) o fantasy (se sei giovane): perché, secondo te, ci sono sempre meno scrittori del proprio tempo? Perché è più difficile o perché la crisi (più culturale che economica) porta gli autori a rifugiarsi in “isole” proprie e immaginarie?

«Di scrittori, in realtà, ce ne sono sempre di più: la gente sente il bisogno di esprimersi, indagarsi, farsi conoscere… Penso che sia un po’ colpa della nostra società e del modo di comunicare, la tivù e internet hanno molta influenza. Prima di internet, si parlava tra amici, mentre ora per sentirsi qualcuno, bisogna fare cose “grandi” agli occhi degli altri: come andare in tv, o avere un blog, o un profilo su Facebook. La gente ha paura di essere dimenticata, non si sente compresa a sufficienza, ha bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione. O meglio, cerca amici virtuali che comprendano le proprie emozioni, i propri problemi. Ecco perché tanti blog sono in realtà scritti da adolescenti che hanno voglia di raccontarsi. Poi c’è qualcuno che preferisce esprimersi in modo diverso, per esempio tramite storie di fantasia. C’è bisogno di evasione e, si sa, i libri e le storie ti portano lontano senza il bisogno di muoversi o spendere tanti soldi!»

Un autore che non può mancare nella libreria di un buon scrittore…

«Come si fa a dare una risposta? Ce ne sono così tanti: un buon scrittore deve essere prima di tutto un divoratore di libri. Per venire incontro alla tua domanda ne cito uno su tutti: Il conte di Montecristo»

Secondo te, qual è lo scrittore (in Italia) più sottovalutato e quale quello più sopravvalutato?

«Di sopravvalutati, come di sottovalutati, ce ne sono parecchi. Secondo me il lettore medio sopravvalutata gli autori che passano più facilmente sui media. Si sottovalutano, invece, tanti autori emergenti. Vorrei sfidarvi a leggere gli emergenti meritevoli e confrontarli con i big delle classifiche di vendita. Come? Sarebbe bello poter leggere libri in forma anonima e concentrarsi solo sull’opera, senza farsi condizonare né dal nome dell’autore, né dalla casa editrice».

Bella sfida, Argeta: intanto, sei la benvenuta nella tana del topo. Ora, la parola passa ai tuoi libri: scritti di persona o soltanto pubblicati. Mi hai davvero incuriosito…

Ah, dimenticavo! Cari amici lettori, per sapere qualcosa di più su Argeta, basta digitare il suo nome su Google o su Facebook. Argeta tiene più di
un blog, tra i tanti indirizzi vi consiglio questo, che dal titolo è tutto un programma: http://divoratricedisogni.blogspot.com/

 

La pendolare modenese e il suo blog “terapia”

Le invidio la freschezza, quella che ti fa cogliere spunti narrativi e persino poetici del viaggiare in treno. Ma io “topo di campagna” non viaggio come lei, nella dolce pianura emiliana: la “mia” Milano-Domodossola logora le menti più illuminate, il viaggiare in treno è un’esperienza letteraria solo in certi momenti.

Katia Pendolante modenese, invece, condivide in modo più costante la sua sensibilità su un blog che è davvero una terapia per pendolari stressati. Un’altra Italia, forse, che la rete web rende così vicina anche ai topi di campagna che da e per Milano.

Un’idea diventata realtà da pochi mesi…

«Da sette anni, per lavoro, percorro una breve tratta tra le province emiliane: casa/lavoro in un’ora sola e sul treno non ci salgo mica subito, prima c’è l’automobile, poi, una volta scesa, divento ciclista, sperimentando così diversi mezzi di trasporto. Ho iniziato a scrivere il mio blog da pochi mesi perché ero stanca di prendere appunti su biglietti volanti, liste della spesa, taccuini, rubriche e quant’altro. E di appunti ce n’è sempre da prendere perché la gente m’interessa e, ad osservarla, si possono cogliere segni di originalità degni di nota, o scoprire una serena e tranquillizzante normalità, o un’inquietante ed allarmante banalità. E c’è da dire che noi pendolari, come oggetto di studio, offriamo il vantaggio di restare fermi nello stesso posto abbastanza a lungo per essere osservati».

C’è anche un retroscena tenero, nel blog di Katia…

«Le vicende di pendolari, poi, si trasformano nelle avventure di una viaggiatrice per la mia bambina di 5 anni che, a gran voce, quando torno a casa, mi chiede di quella volta che le porte del treno mi si sono chiuse sul naso, o quando il controllore mi ha risparmiato la multa sull’abbonamento scaduto… ammetto che qualche volta, per lei, invento».

Viaggiare in treno, osservare, riflettere e condividere. Katiasi è trasformata in blogger, anche a scapito di un’altra sua passione, la lettura in treno:

 «L’appuntamento col blog ha trasformato un hobby in un impegno, così l’attività di osservatrice va a scapito di quella di lettrice, anche se di libri, in treno, ne ho letti molti. Potrei dire che il miglior libro da treno è quello che pesa poco, o che non produce sonore risate o copiose lacrime, ma fuori di battuta, se ne devo indicarne uno solo, mi sono entusiasmata per e con il protagonista tredicenne di Ci sono bambini a zigzag di David Grossman, che del treno fa un luogo d’incontro di personaggi meravigliosi e del viaggio una metafora di scoperta».

Dai miei “deliri umoristici”, dal mio viaggiare, osservare e scrivere in treno, è nato Dove finisce Milano, una raccolta di racconti che sono semplici bozzetti, caricature, esperimenti narrativi, messi su carta per valutarne l’effetto sul pubblico. Katia, con la sua penna fresca e, a volte, anche tenera, non è tentata da un libro?

«Ammetto di aver pensato a una raccolta dei miei post su Pendolante, magari da ciclostilare in cantina, ma ho scoperto diverse iniziative editoriali di altri che mi hanno preceduto. Ho iniziato a leggerle (e le proporrò) col timore di essere influenzata, ma ho scoperto che se gli episodi possono essere simili, è lo sguardo di chi scrive che è diverso. Così, non mi scoraggio e continuo a postare ciò che vedo. In futuro si vedrà».

Katia osserva, riflette, scrive: e la sera tutto diventerà una fiaba per la sua piccola. Mi piace immaginarmi quel momento dolce, quando i treni entrano in mondi dove tutto è possibile, perché il viaggio è sempre un’avventura che andrebbe raccontata.

Mi raccomando seguite il suo blog:

http://pendolante.wordpress.com/

Quando il calcio è da romanzo

«Damiano Tommasi, l’attuale presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, è stato il primo italiano a giocare nel campionato professionistico cinese. Lo dice anche Wikipedia. Ma non è vero. Ad anticiparlo, di qualche anno tra l’altro, è stato Arnold Schwellensattl da Merano. Uno che nel gigantesco Paese asiatico ha rischiato la vita, due volte. Prima quando è finito in ospedale per una ginocchiata al fegato, poi quando i dirigenti del suo club, il Chongqing Lifan, gli hanno comunicato che non gli avrebbero più garantito l’incolumità. Volevano ingaggiare un altro straniero al suo posto. Un serbo, non Tommasi….».

Mauro Corno parla sempre volentieri dell’altro calcio, anche se è un gigante che non stonerebbe in un quintetto base di una squadra di basket: fisico da cestista per uno tra i più sensibili giornalisti di calcio italiani. No, lasciate pardere le mille tribune sportive delle tv locali e nazionali: questo cronista brianzolo non è il tipo che troverete ogni sera a sbraitare in diretta tv a proposito di calciomercato e gossip.

Mauro Corno si è invece ritagliato una spazio tutto suo, è tra gli ultimi “romantici” di uno sport che vive sempre più di vanità e aria fritta. Ha scritto un libro con dentro decine di storie di un altro calcio: e ogni storia potrebbe essere una valida trama per un romanzo. Emigranti del pallone, sconosciuti o quasi, avventurieri che sembrano di un altro pianeta, se paragonati alle primedonne del campionato italiano.

Ora vi sorprendo: come è bello il calcio quando ritorna povero ed essenziale! Ecco accontentato, dunque, chi mi credeva allergico al pallone.  Quando lo sport s’intreccia con le storie di vita, anche i calciatori possono evocare poesia.

Qual è il vostro campione da romanzo?

Ah, mi raccomando, vi consiglio il libro di Mauro:  

Mauro Corno

Ai confini dell’impero. Storie di emigrazione del calcio italiano

Sedizioni, 126 pagine, 11 euro

Bibliospionaggio a Milano: la passione di Anna

La Milano che legge offre spunti infiniti. Sugli autobus, nelle carrozze dei treni, in tram, sulle panchine dei parchi, sulle banchine del metrò. Anna Albano, nella vita, legge e scrive e, soprattutto, lavora per chi legge e per chi scrive. E quando può, osserva i milanesi nascosti dietro ai libri, li spia e riflette: una specie di voyeur letterario che, attraverso un blog molto interessante, inquadra la cultura dal basso, nel cuore pulsante di Milano. Dentro il più autentico e credibile salotto letterario di una città.

Qual è il lettore e qual è la lettura che hai scovato negli ultimi tempi e che ti hanno maggiormente colpito? Perché?
«Mi capita sempre più spesso di incontrare persone che leggono sul Kindle o su altri e-reader, la qual cosa mette in profonda crisi la mia attività di bibliospionaggio sui mezzi pubblici milanesi. Perché è decisamente difficile riuscire a capire cosa stiano leggendo, in mancanza di una copertina di carta, e ancora più difficile scattare una foto con il cellulare collocandosi alle spalle di chi legge, nel tentativo di cogliere almeno una schermata. Certo, potrei chiedere a qualcuno cosa stia leggendo, ma sarebbe un’altra storia. Una delle ultime persone che mi hanno interessata è una signora che leggeva “Tra moglie e marito – Quaranta brevi storie di vita familiare”, di Stefano Guarinelli, un prete-psicologo che fa il consulente familiare. Era come se nel libro cercasse una risposta, il che ci conferma che al libro vengono attribuiti i poteri e le facoltà più diversi – intrattenere, istruire, guidare –, e che sempre vale la pena di indagare i motivi per cui la gente legge. E che i lettori comuni sono interessantissimi per la varietà delle loro ragioni. Sì, suona banale, ma così è».

Nella Milano “ai tempi della crisi” cosa si legge sui tram e nei metrò? Noir o romanticismo? Più Littizzetto o Parodi? In quale genere si rifugiano, oggi, i milanesi che viaggiano?
«Sui tram milanesi, come presumo nel resto d’Italia e del mondo, c’è stato un lungo tempo dei vampiri. Quelle storie di creature assetate di sangue erano nelle mani di tutti, anche di insospettabili signore di mezza età che un tempo avrebbero letto la posta di Susanna Agnelli su “Oggi”. Il noir va sempre fortissimo ed è un genere trasversale, nel senso che lo vedi nelle mani di persone diversissime. Vanno anche i romanzi d’amore filippini, credo, almeno a giudicare dalle copertine dallo stile un po’ cheap, addirittura proto-Harmony, che vedo nelle mani di sagge casalinghe asiatiche. Vedo poca Littizzetto e moltissima Parodi, e la cosa mi rallegra. Perché Littizzetto produce sempre secondo i medesimi schemi, perché la satira ideologizzante nasce e muore con una battuta alla televisione, perché basta con le provocazioni fasulle. Parodi, invece (della quale sono una fan perché mi insegna cose che sinora erano per me sconosciute, e la mia giovane figlia ringrazia), è utile, rilassante, rassicurante. Ed è consonante con il viaggio in metropolitana o in tram, con esso ti culla, ti astrae, ti induce a immaginare che la tua fermata non arriverà mai più, perché con quel libro si sta al caldo e si sta bene lì».

Anna arricchisce ogni giorno il suo blog con riflessioni e spunti interessanti, curiosi e, a volte, poetici. Ve lo consiglio: http://cosedalibri.blogspot.com/search/label/lettori

Anna è la benvenuta nella tana del topo. E, come fanno gli ospiti in visita, non si è presentata a mani vuote e ha portato un dono. Un brano inedito, per sorridere in rima.

Ode al lettore itinerante milanese
Lettore che ti aggiri per Milano,
un libro eternamente nella mano,
dai mezzi sali e scendi imperturbato,
cuore leggero e spirto deliziato.
Ti rechi in ogni dove, qui e poi là;
misuri col tuo libro la città.
Per continuare a leggere un romanzo
talvolta tu rinunci pure al pranzo;
ti vedo in primavera, dentro al parco
tra i jogger ti ritagli sempre un varco.
Tu punti alla panchina, benedetto;
la ripulisci con un fazzoletto
e poi ti siedi, apri il libro e lo degusti
se sei lettor tra quelli più robusti.
Sarà per la gran messe di editori:
Milano è piena zeppa di lettori.
Però tra parchi e bar, che cosa strana,
la scelta va alla metropolitana
e al tram, trenino avito d’atmosfera
dove tu leggeresti mane e sera,
o lettore.
Viandanti temporanei
dai gusti variegati
ricercano in un rosa l’evasione,
tremano con le storie di vampiri
o leggono serissimi elzeviri.