Diario del pendolare: libertà di stampa

La libertà di stampa è un diritto, si sa. Ma comporta scelte e doveri per sostenerla, sia da chi i giornali li fa, sia da chi i giornali li legge.
I pendolari, da sempre, sono un popolo di lettori e sulle carrozze dei localacci, e non sulle linee dei signori dell’alta velocità, si riesce a tastare il polso dell’informazione dei lombardi che studiano e lavorano.
Ebbene l’edicola della stazione, un tempo strapiena di clienti, da qualche tempo è vuota. Le copertine e le prime pagine fanno bella mostra di sé sullo scaffale, ma rimangono dove sono. «Colpa di quelli che i giornali li danno gratis», si lamenta l’edicolante.
Quotidiani freepress (gratuiti), tra Milano e l’hinterland, oggi, se ne distribuiscono parecchi, migliaia e migliaia: spopolano agli ingressi delle stazioni e vanno a ruba tra i viaggiatori, per poi essere abbandonati sul posto. Notizie? Tutte uguali, riprese da Internet e scopiazzate dalle agenzie, un po’ di gnocca qua e là, tanta bella morbosità, il giusto mix di pettegolezzi per un lettore sempre più stressato, quello che viaggia. «Tanto anche sui quotidiani a pagamento è la stessa solfa», dice, sconsolato, un pendolare, ex lettore di quotidiani a pagamento, oggi rifugiatosi nella letteratura (Dan Brown trionfa sul passante ferroviario). La desolazione delle carrozze, al termine della giornata, con tutta quella carta sparsa qua e là, da un’idea precisa di quando si parla di “informazione spazzatura”.
Già, ma la difesa della libertà di stampa, quella che tanto fa infervorare la politica e i benpensanti, non comincia dall’investimento di 1 euro (uno) presso un’edicola?

Erba, sangue e cani al Gallaratese

Dove finisce Milano oggi c’è un coltello insanguinato. Nebbia non ha voglia di scherzare, passa e va. Uomini e bestie non si distinguono più sotto la lurida skyline di una periferia. Trent’anni fa, i cattedratici applaudivano al Gallaratese come a un’opera dell’ingegno e dell’architettura ed è da quel giorno che, lì, dove finisce Milano, si è davvero cominciato a non distinguere più tra bestie e uomini. In un grigio parco di periferia c’è una primavera che non riesce a lavare via lo sporco di decine di cani in processione, tutti a cagare, sotto lo sguardo assente dei loro padroni, un vecchietto scatarra sull’erba bagnata dal sangue di una povera donna, poco più in là due studenti pomiciano, due ragazzine starnazzano con lo sguardo appiccicato ai loro telefonini, una signora fuma e richiama il proprio figlioletto mentre getta a terra, sul vialetto, il suo mozzicone in mezzo a miliardi di cicche. In centro e sui giornali s’infervora il dibattito sulla cultura, nomi illustri in prima fila, parole vuote, ma di bell’effetto. In un parco di periferia, invece, si respira aria putrida di una società in decomposizione: uomini e bestie, o forse solo bestie, tirano a sera per accendere la tivù. Un coltello insanguinato non arresta la lenta routine di un mondo indifferente, una donna assassinata su una panchina è fagocitata dalla noia quotidiana.

Asini e capre sulla via dell’esodo

Troppe insufficienze nelle scuole di Milano. Stamane Nebbia sente la primavera, ha voglia di scherzare: «Nel 1848 Dracula si sfamava soltanto con donne vergini, nel 2009 è morto di fame. Per sopravvivere gli sarebbe bastato accontentarsi degli asini». In fondo alla via che conduce alla Certosa, la famiglia Soldini esce di casa, mamma Concetta strattona il piccolo Kevin verso la scuola: «E che ti credi di diventare come a un tronista? Asbricate». Ma nel frattempo scatta una musichetta proveniente dalla borsetta, “Se mi lasci non vale” di Julio Iglesias, esclusiva suoneria per il cellulare last generation, degno accessorio per Concetta, di professione stiratrice: «A sei tu, Silvà?» Pausa. «Ma l’hai sentita a quella? A Veronica adesso fa la gelosa e già sapeva che aveva sposato a un presidente… Kevin asbricate che facciamo tardi a scuola». Altra pausa. «E come va la tua Sheila? Sempre sotto in matematica? Sempre quella stronza dalla Cangini, quella se la tira e fa le preferenze, e la chiamano professoressa. A quella! Il mio Kevin? Matematica sì è un po’ giù e anche con l’inglese non si sente a suo agio. Forse per lui era meglio il francese. Comunque lo sto facendo fare alle ripetizioni, così recupera. A giugno mio marito ha prenotato». Ennesima pausa. «Sì guarda, la Sardegna è meglio andarci a giugno, a luglio è come a Rimini». All’estremità opposta del viale, suona la campanella. Kevin corre dentro, non saluta e sputa un chewing gum sul marciapiede. Seduto al tavolino del bar, Nebbia fuma e osserva: «Istruitevi, perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza; organizzatevi, perché abbiamo bisogno di tutta la vostra forza. Teoria e pratica per le partenze alternative, nulla più».

Qui topo di campagna

L’aria è tiepida stasera, qui sul lago Maggiore. Domani Milano sembrerà diversa, più umana. Per via del Venerdì Santo, la città sarà un po’ meno stretta nella morsa di uno sciame di pendolari, ma io sarò là, come quasi sempre, ai bordi di una metropoli che si allarga e ingloba tutto quel trova sul suo territorio, spazzando via valori e fagocitando degrado. Eppure, brulica di vita quella periferia, è una forza della natura, spesso crudele, a volte addirittura contro natura. Non un reporter d’assalto, ma un modesto pendolare/cronista proverà a confrontarsi ogni giorno con un mondo a metà strada tra romanzo e realtà, raccontato e vissuto da personaggi veri. Imparerete a conoscere Nebbia il clochard filosofo, Chantal la gattona, Ugo il calciatore cuoco, Tano il becchino e tante altre anime di una città spietata. Ecco a voi, le mie favole in chiave giornalistica, cronache di uomini e donne, volti di un mondo distante dagli scoop da prima pagina, più vicino alle saghe di quartiere. Con la voglia di ricacciare i blog nel limbo, tra realtà e fiction, il posto giusto per un semplice strumento che viene spesso sbandierato come nuova via dell’informazione, peraltro mai verificata. Che il blog riabbracci la fantasia, ma che faccia riflettere sulla realtà quotidiana.
In questo caso, ecco a voi la vita e i pensieri di un pendolare tra i pendolari che si confronta con un mondo a metà strada tra Milano e l’hinterland, nelle stazioni malfamate, respirando quel che finisce ai margini, lontano dai portici del centro. Lontano da qui, tra i caffè alla moda si sfogliano i quotidiani nobili e si parla di cultura, di una nuova cultura per Milano, ma qui, tra il Cimitero maggiore e l’inceneritore di Pero, i bimbi rom si vendono a finti intellettuali per pochi euro. Quale cultura, dunque, per una giungla che sputa ai margini, ai suoi confini, la sua anima più ipocrita? Qui nasconde ciò che non vorrebbe vedere, ma che un sorcio di provincia, mascherato da cronista, vi vorrà comunque mostrare.