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Due domande a: Andrea Segré, il professore antispreco

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Paladino antispreco, il mediatico accademico bolognese Andrea Segrè ha portato il tema della sostenibilità alimentare all’attenzione del grande pubblico. E’ riconosciuto come uno dei massimi esperti europei in questo campo. Giocando sulla sua telegenicità, sul pregiudizio favorevole verso il buonsenso alimentare della città del Petronio e sull’autorevolezza del cattedratico ( è direttore del Dipartimento di scienze agro-alimentari dell’università di Bologna), Segrè è riuscito a conquistarsi le attenzioni non solo dei media, ma anche di alcuni partner istrituzionali e privati che partecipano alle sue numerose iniziative, tra cui Last Minute Market – un’organizzazione che recupera e ridistribuisce alimentari in scadenza – e Un Anno Contro Lo Spreco, la campagna europea di sensibilizzazione ai temi dello spreco.

E’ instancabile, entusiasta, carismatico, dall’energia contagiosa, sembra non arrendersi mai. Un vulcano di idee che sfociano in mille iniziative. I suoi collaboratori faticano a stargli dietro. Nel documentario “Zero Impact, viaggio nella sostenibilità alimentare” (qui il link ), realizzato per conto di Whirlpool, lo intervisto su questo argomento. E’ gentile e disponibile malgrado una tabella di marcia da rockstar in tournée, e trova anche il tempo di parlare di cucina bolognese tra una ripresa e l’altra.

1. La sostenibilità alimentare è davvero la sfida futura del nostro pianeta?

Più che una sfida del futuro, la sostenibilità deve essere una sfida del presente. Stiamo usando molto male le risorse naturali che abbiamo a disposizione: il suolo, l’acqua, l’energia, solo per dire quelle che riguardano il cibo. Dentro il cibo c’è del valore, quando lo getti via è come se lo rottamassi, come se fosse una qualsiasi altra merce che devi sostituire, e magari è ancora buona. Quindi questa perdita di valore, di consapevolezza, anche di responsabilità, ti porta a considerare tutto uguale, e perdi dei punti di riferimento perché per esempio dentro il cibo non solo c’è il valore nutrizionale, ma c’è anche il nostro suolo, altra risorsa scarsa che consumiamo in modo esagerato, c’è la nostra cultura, ci son le tradizioni, c’è il gusto, la conviviavilità, il paesaggio, il reddito degli agricoltori che ci dimentichiamo – sarebbero poi loro che producono – ma anche quello di chi produce mezzi per rendere la nostra alimentazione sostenibile, in primis la conservazione: il frigorifero, questo sconosciuto.

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Del perché il professore parla del frigorifero come di uno sconosciuto tratteremo in un prossimo post. In effetti non sappiamo usarlo nel modo migliore e buona parte del cibo che buttiamo è dovuto alla nostra cattiva gestione di questo elettrodomestico, e un terzo di quello che acquistiamo finisce nel pattume. Possiamo permetterci di andare avanti così? Quali le conseguenze se facessimo finta di niente?

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2. Cosa succederebbe se non facessimo nulla, quale sarebbe il costo sociale?

Il costo sociale sarebbe molto, molto alto perché noi con questo modello alimentare e con queste economie in crisi – e c’è un collegamento di fatto – perdendo il cibo il suo valore, lo paghiamo con costi diversi. Il cibo deve tornare al centro del mondo, perché ne abbiamo bisogno per stare meglio tutti, per abbassare i costi sociali ed anche quelli ambientali ed economici.

La cultura sembra quindi avere un ruolo importante in questo frangente, dopo tutto il cibo è cultura e gli italiani lo sanno meglio di tutti. La questione della sostenibilità è una sfida globale che deve essere affrontata a tutti i livelli: dalle istituzioni come dall’industria, dagli accademici che devono guidare la ricerca ed educare, e soprattutto da ognuno di noi individualmente.

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Tornerò a Bologna per approfondire la questione insieme al professore, magari passeggiando sotto i portici o seduti in una rassicurante e tradizionale osteria, simbolo di quel buonsenso perduto, nemico degli degli sprechi. Appunto. A presto per un nuovo incontro con Andrea Segré.