La tratta dei nuovi schiavi

Anche in Piemonte uomini e donne “rapiti” all’estero e costretti al lavoro nero: muratori e carpentieri in città, contadini nelle campagne.

Il Gruppo Abele: vengono dal Maghreb, dal Corno d’Africa, dall’India e dal Pakistan.

«Fase tre». È la faccia sommersa della tratta, lo sfruttamento di esseri umani nei cantieri, nelle cucine dei ristoranti, nelle officine e sui pascoli, che emerge anche in Piemonte. Sommersa perchè il limite tra condizioni pessime di lavoro e riduzione in schiavitù – questi i termini dell’abuso – è difficile da individuare e percepire pure da chi la «schiavitù» la subisce.

Ma le storie di donne e uomini in balia di maltrattamenti che superano il già noto – retribuzione rasoterra e assenze di tutele – costretti a vendere il loro corpo e privati della libertà parlano chiaro: così, dopo i cinesi consumati nelle aziende tessili in Veneto, dopo i senegalesi con la schiena spezzata in Calabria, e dopo le donne romene obbligate a «festini agricoli» per arrotondare con prestazioni sessuali i 20 euro guadagnati ogni giorno nelle campagne di Sicilia, oggi anche in Piemonte lavoratori stranieri raccontano le torture subite da quando hanno messo piede nella nostra regione: muratori e carpentieri come Mohamed, marocchino, nutrito a pane e acqua. Contadini come Adil, arrivato dal Bangladesh e costretto a dormire su un letto di pietra. E badanti come Irina, russa, che doveva dire sempre sì per non essere rispedita nel suo Paese.

«Un fenomeno più diffuso di quanto si immagini – dice Lorenzo Trucco – avvocato e presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’ immigrazione (Asgi) – il punto è che abbiamo fatto passi indietro, è tornata la paura: le vittime non denunciano e i criminali si sentono più forti».

A Torino l’allarme lo lancia il gruppo Abele. A verificare quanto soprusi, prepotenze e minacce siano estese pensa, invece, la commissione regionale Pari Opportunità che, per il terzo anno consecutivo, ha avviato uno studio collaborando con Province, Questure, Procure, aziende sanitarie locali e ospedaliere, Carabinieri, Polizie municipali e gruppi di volontariato. Il rapporto si chiama «Piemonte in rete contro la tratta 3».

Spiega Franco Prina, professore all’Università di Torino di Sociologia della devianza: «Sul territorio piemontese il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale resta predominante. I casi di giovani nigeriane costrette a prostituirsi e tenute prigioniere con riti voodoo sono amaramente risaputi, ma questa fase del progetto sottolinea quanto sia indispensabile scovare modi, metodi per favorire l’emersione degli abusi sui luoghi di lavoro, un mondo poco esplorato perché mutevole, che prevede trattamenti paraschiavistici, e costringe la nostra società ad allarmanti passi indietro».

Su 294 casi analizzati nel rapporto precedente della Regione, 269 erano donne, 22 uomini (prevalentemente vittime di sfruttamento sul lavoro) e 3 transessuali. «Pochi casi – conferma Mirta Da Pra Pocchiesa responsabile del progetto “tratta e prostituzione” del Gruppo Abele – che rappresentano la punta di un iceberg. Vittime che hanno tra i 20 e 40 anni, che conoscono a stento la nostra lingua e provengono dall’area del Maghreb, dai paesi del Corno d’Africa, dal Pakistan, dall’India, dalla Polonia e dalla Russia. Persone che non sanno come uscire dalla tortura perché in Italia ci sono venuti senza famiglia e l’unico legame è con i parassiti che per denaro succhiano la loro vita».

Lo sfruttamento prevede un’ organizzazione che si muove nei paesi d’origine e trova qui mediatori, spesso italiani, disposti a «piazzare» gli stranieri che scappano da povertà, disoccupazione, repressioni e guerre: «Il momento è delicato – continua la responsabile del Gruppo Abele – per gli sconvolgimenti nel Mediterraneo arriveranno anche in Piemonte donne e uomini disperati. Dobbiamo tenere alta l’attenzione, potenziare controlli, avviare indagini per non aggiungere dolore a dolore, ingiustizia a ingiustizia. Solo così potremo dimostrare il livello di civiltà che appartiene alla nostra regione».

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Una risposta a La tratta dei nuovi schiavi

  1. robald scrive:

    Oltre che tenere alta l’attenzione dobbiamo potenziare l’informazione e l’ducazione di grandi e piccini, affinare la sensibilità e recuperare i sentimenti di umanità oggi tanto vilipesi…

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