La storia di Nando: alla vigilia della scarcerazione, chiede aiuto ai Servizi Sociali per poter avere davvero una nuova chances nella società.
Mi chiamo Nando e vengo dalla Campania. Al mio paese di origine, lavoravo al mercato ortofrutticolo, ma i frequenti litigi tra padre e figlio, titolari della piccola azienda, portarono alla rottura della società, con l’amara conseguenza del mio licenziamento. La ricerca di una nuova occupazione si rivelò subito difficile e purtroppo vana, anche perché non avevo alcun titolo di studio. Le condizioni modeste della mia famiglia mi avevano obbligato ad abbandonare presto la scuola. Vivevo in un rione popolare squallido e abitato da individui abituati a sbarcare il lunario “arrangiandosi” (foto realizzate dal Circolo fotografico bustese).
Da disoccupato, cominciai a trascorrere molte ore in loro compagnia, sulla strada. Un passaggio in macchina oggi, un pacchetto di sigarette domani, dieci o venti euro allungati per fare benzina, piccol,e ma frequenti donazioni mi resero debitore nei confronti di queste persone organizzate in un gruppo malavitoso. Arrivò presto il giorno in cui dovetti ricambiare i favori ricevuti.
Andò subito male. Fui arrestato e portato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Fui condannato per favoreggiamento a sei anni e sei mesi di reclusione. Durante i primi tre anni ho avuto modo di meditare sulla mia situazione e mi sono ripetutamente chiesto che cosa mai volessi fare della mia vita. Per riprenderla in mano, dovevo assolutamente allontanarmi da quell’ambiente, anche carcerario. Pensai che non mi avrebbe fatto male riconciliarmi con la scuola, anzi, con tutto quel tempo a disposizione, avrei potuto diplomarmi. Come uditore, frequentai di nuovo la terza media, unico corso di studi presente nel carcere.
A salvarmi arrivò una circolare appesa in bacheca, che invitava a iscriversi a un corso professionale di operatore della gestione aziendale presso la Casa Circondariale di Busto Arsizio. Chiesi immediatamente il trasferimento per ragioni di studio, pur sapendo che avrei dovuto sacrificare i colloqui settimanali con i miei familiari (soprattutto con mia madre) e rompere qualsiasi legame con gli amici. Ottenni ciò che desideravo. Fui felice di troncare con il passato, perché ritenevo negativa l’influenza dell’ambiente su di me.
Ed eccomi qui, alla vigilia del mio rilascio definitivo, con un diploma che spero, un giorno, possa aprirmi le porte di un lavoro qualificato. Che altro dire? La mia storia conferma pienamente la funzione rieducativa del carcere. La mia volontà di cambiare, di porre rimedio a una situazione disastrata di degrado anche morale mi ha spinto a rispondere positivamente alle proposte dell’area educativa, svolgendo, accanto al lavoro di studente, quello di bibliotecario e di addetto al guardaroba, come volontario. Non sono mai stato lasciato solo, chiuso in cella. Tante persone (psicologa, assistente sociale, cappellano, insegnanti, assistenti volontarie…) mi hanno sostenuto nei momenti di abbattimento morale; le educatrici si sono sempre interessate a me e lo fanno tuttora, soprattutto in vista della mia uscita.
Sto vivendo un momento particolarmente difficile. Si agitano in me sentimenti contrastanti. La gioia di ritrovare la libertà è offuscata dalla paura di essere solo ad affrontare i rischi e i problemi della nuova vita. Nelle mie riflessioni notturne mi accorgo di tremare.
Ecco la necessità, per uno come me che ritorna dopo anni nella società, della presenza dei Servizi Sociali. Ho bisogno che mi aiutino a trovare una casa e un lavoro, perché credo che – per la mia rinascita – sia fondamentale rimanere al Nord, lontano da un ambiente in cui sarebbe facile ricadere nei vecchi errori. L’assistenza da parte delle istituzioni eviterebbe che “i problemi sociali si trasformino in problemi di ordine pubblico”.
Credo che favorire il mio reinserimento – come quello degli altri detenuti -, non solo impedirà a me di commettere nuovi reati, ma assicurerà di conseguenza alla società maggiore sicurezza.